Ultimo aggiornamento: 12 febbraio 2024
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Tra chi si oppone all’uso dei vaccini è particolarmente diffusa la convinzione che le vaccinazioni attualmente raccomandate per gli esseri umani possano avere effetti cancerogeni. Vediamo da dove nasce questa diceria e come è stata ampiamente smentita.
SV40 è l’abbreviazione di Simian vacuolating virus 40, un poliomavirus che può contagiare gli esseri umani e altri primati. Tra il 10 e il 30 per cento dei vaccini antipolio somministrati negli Stati Uniti tra il 1955 e il 1963 erano risultati contaminati dal virus. La causa fu poi chiarita: alcune cellule di rene di scimmia, in cui era stato cresciuto in coltura il poliovirus per il vaccino, erano infette con il SV40.
Secondo alcuni studi effettuati in cavie da laboratorio, il virus SV40 avrebbe capacità mutagene e oncogene, inducendo in alcuni casi la formazione di sarcomi (tumori dei tessuti molli) ed ependimomi (tumori cerebrali). Alcuni studi di laboratorio hanno mostrato che può favorire gli effetti cancerogeni di altre sostanze. Tuttavia, a differenza delle prove di laboratorio, il ruolo cancerogeno di SV40 negli esseri umani è meno convincente e più difficile da dimostrare.
La comunità scientifica rimane divisa sul ruolo di questo virus. Nel 2004 il National Cancer Institute statunitense ha emesso un documento, basato su due ampi studi, in cui afferma che non vi sono prove epidemiologiche che il virus possa provocare il cancro. Due anni prima, però, altri esperti riuniti dalla National Academy of Sciences affermavano che un’esposizione al virus poteva aumentare il rischio di ammalarsi.
La scoperta che i vaccini antipolio prodotti negli Stati Uniti potevano essere contaminati da SV40 ha ovviamente aumentato la sorveglianza per coloro che erano stati vaccinati all’epoca. Dosi di vaccino contaminato sono state distribuite fino al 1963 in alcuni Paesi del mondo e, secondo alcune ricerche, fino al 1980 nei Paesi del blocco sovietico, in Cina, Giappone e in alcuni Paesi africani. Malgrado la diffusione dei vaccini contaminati, gli studi epidemiologici nelle popolazioni esposte non hanno mai dimostrato un aumento dei casi di sarcomi, ependimomi o altri tumori, facendo così mancare la prova più importante per sostenere che i vaccini antipolio contaminati potessero avere effettivamente effetti cancerogeni.
Dal 1961 tutti i lotti prodotti negli Stati Uniti e in Europa sono stati testati per la presenza di SV40 e le procedure di produzione sono state modificate per evitare eventuali contaminazioni.
Su diversi siti “no vax” appare l’ipotesi che i vaccini possano aumentare il rischio di sviluppare linfomi di tipo non Hodgkin. Alla base di questa ipotesi vi è l’idea che i vaccini, attivando le risposte immunitarie in modo selettivo, possano stimolare la crescita di cloni cellulari, alcuni dei quali potrebbero avere mutazioni oncogene.
Per confutare questa ipotesi gli strumento più efficaci e potenti sono gli studi epidemiologici. È infatti necessario verificare se il tasso di tumori del sangue diagnosticati è più elevato tra i soggetti vaccinati rispetto ai non vaccinati e, in particolare, se esistono differenze tra vaccino e vaccino. È quanto hanno fatto numerosi ricercatori in studi, i cui risultati hanno dimostrato una possibile associazione solo con il vaccino per il bacillo di Calmette-Guerin (BCG). Il BCG è un vecchissimo vaccino attenuato che protegge contro la forma cerebrale e infantile della tubercolosi, molto diffusa nei Paesi del Sud del Mondo ma non nei Paesi occidentali. Il BCG non è inserito né raccomandato nelle misure di profilassi generale in Italia.
Sembra invece che i vaccini contro la varicella, il colera, la febbre gialla, l’influenza, il morbillo, il tetano e la poliomielite siano addirittura protettivi, dato che il numero di casi di linfoma non Hodgkin tra i vaccinati è risultato inferiore a quello dei non vaccinati.
Il timerosal (o thimerosal) è un conservante a base di mercurio, utilizzato per decenni nei vaccini polivalenti (cioè quelli che immunizzano contro più malattie con una sola iniezione). Il timerosal contiene etilmercurio, una forma di mercurio eliminata dall’organismo umano molto rapidamente e quindi ritenuta sicura, a differenza del metilmercurio, un composto neurotossico usato prevalentemente dall’industria pesante e riversato in fiumi e mari. Il timerosal non è mai stato utilizzato (neanche negli Stati Uniti) come conservante nel vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia, e nemmeno nel trivalente difterite-tetano-pertosse ma prevalentemente nel cosiddetto vaccino esavalente (che immunizza con una sola iniezione contro tutte e sei le malattie).
A seguito di una serie di denunce da parte di associazioni di consumatori statunitensi, che ritenevano che il timerosal potesse essere collegato a un aumento delle diagnosi di autismo e di leucemie infantili, il timerosal è stato eliminato in via precauzionale da tutti i vaccini prodotti dopo il 1999.
Dopo tale ritiro, la Food and Drug Administration (FDA, agenzia statunitense per la salute pubblica) ha svolto un’attenta opera di monitoraggio tra i bambini vaccinati prima di tale data, ma i nessi sia con l’autismo sia con le leucemie sono stati ampiamente smentiti dai dati raccolti. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato il timerosal sicuro anche se non è più utilizzato da svariati decenni.
Da molti decenni nella produzione di alcuni vaccini contro agenti virali e batterici si utilizza formaldeide. Il suo utilizzo è risultato sicuro negli studi di tossicità che sono obbligatori prima della messa in commercio dei vaccini. Nonostante ciò, continuano a girare online messaggi allarmistici che riferiscono di un rischio di ammalarsi di cancro per via della formaldeide presente nei vaccini.
La formaldeide viene usata nella produzione dei vaccini per inattivare l’agente infettivo in modo che non possa provocare la malattia oppure per eliminare le tossine prodotte dai batteri nel terreno di coltura, come accade per la tossina difterica nel vaccino contro la difterite. La formaldeide viene poi eliminata dal prodotto nel corso del processo di produzione, ma possono comunque rimanere minime quantità di residui, di molto inferiori rispetto a quelle che l’organismo umano produce naturalmente. In effetti la formaldeide è prodotta anche dal nostro corpo nel normale metabolismo energetico, l’insieme dei processi che le cellule compiono per produrre energia. Partecipa alla sintesi degli amminoacidi che servono per la costruzione delle proteine. La quantità di formaldeide contenuta in un corpo umano dipende dal peso: in un neonato di circa tre chili ci sono concentrazioni di formaldeide circa 60-70 volte più elevate di quelle presenti in una dose di vaccino.
La formaldeide è quindi innocua? No, ma è pericolosa solo se presente in quantità eccessiva e, in particolare, quando viene inalata. Il maggior rischio cancerogeno, infatti, è stato rilevato dagli studi in categorie come i tecnici di laboratorio, che la utilizzano spesso per i propri studi e che ne respirano i fumi. La formaldeide è presente nell’ambiente a concentrazioni molto più elevate di quelle rimaste eventualmente come residuo nei vaccini: per esempio è utilizzata in alcuni materiali da costruzione.
L’International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, organizzazione che coordina e conduce ricerche epidemiologiche sul cancro, ha classificato la formaldeide tra i cancerogeni certi. Nel proprio rapporto la IARC afferma però che “non vi sono prove che colleghino l’insorgenza di cancro all’esposizione sporadica a piccole quantità di formaldeide”, come quelle che possono eventualmente essere presenti in un vaccino.
Dato che alcuni ceppi di virus del papilloma umano sono in grado di indurre mutazioni cellulari e, dopo qualche anno, la comparsa di un tumore della cervice, alcuni temono che la vaccinazione possa avere lo stesso effetto. In realtà non è possibile che ciò accada. Perché un virus possa indurre una mutazione in una cellula deve essere integro e attivo, cioè capace di trasferire parte del proprio patrimonio genetico nel nucleo della cellula ospite. I vaccini contro l’HPV attualmente in commercio sono costituiti da virus inattivati, cioè uccisi con agenti chimici o col calore.
Non è materialmente possibile che un virus inattivato sia cancerogeno perché non è più in grado di infettare le cellule dell’organismo ospite.
L’ultimo, infondato, allarme lanciato sulla presunta cancerogenicità dei vaccini riguarda i vaccini anti-COVID-19. La molecola finita nell’occhio del ciclone in questo caso si chiama ALC-0315, un lipide (una molecola di grasso) che fa parte della composizione del vaccino a mRNA prodotto da BioNTech/Pfizer (il nome commerciale del vaccino è Comirnaty).
I vaccini a mRNA approvati dalle autorità sanitarie contengono nanoparticelle lipidiche, vescicole piccolissime al cui interno è conservata proprio la molecola di mRNA, ossia l’acido nucleico che è il principio attivo dei vaccini stessi. L’involucro di lipidi serve a dare stabilità all’mRNA e a favorire l’ingresso delle particelle nelle cellule. L’ALC-0315 è uno dei lipidi usati a questo scopo.
Qualcuno, andando a leggere la scheda illustrativa di un’azienda che produce l’ALC-0315 (peraltro non quella che fornisce la sostanza a BioNTech/Pfizer), ha trovato la dicitura “solo per uso di ricerca e non per uso umano” e quindi ha concluso che il vaccino anti-COVID-19 conterrebbe una sostanza nociva per gli esseri umani. La verità è che si tratta di un’informazione decontestualizzata. La scheda illustrativa si riferisce al prodotto utilizzato come reagente per gli esperimenti di laboratorio, in cui l’ALC-0315 viene commercializzato sciolto in cloroformio, un solvente sospettato di attività cancerogena. A essere pericoloso non sarebbe perciò l’ALC-0315 ma il liquido in cui si trova. Il cloroformio però non fa assolutamente parte della composizione del vaccino anti-COVID-19. Affermare che, siccome contiene l’ALC-0315, allora il Comirnaty contiene una sostanza cancerogena è un’informazione errata.
I vaccini approvati per uso umano sono tra i farmaci più sicuri e testati che esistano. Osservazioni epidemiologiche lunghe decenni permettono di escludere il nesso tra vaccini e tumori: chi sostiene questo nesso lo fa in cattiva fede, per screditare uno strumento che è invece una delle maggiori conquiste della medicina moderna.
Viceversa, è bene ricordare che i vaccini sono una potente arma nella riduzione dei casi di cancro indotti da virus oncogeni. Il vaccino contro l’HPV ha dimostrato di ridurre le infezioni di oltre il 90 per cento, e di conseguenza nei prossimi anni ci si attende un calo drastico dei casi di cancro della cervice. In effetti, una flessione dell’incidenza si osserva già negli ultimi dati pubblicati. Inoltre, il vaccino contro il virus dell’epatite B, disponibile dagli anni Ottanta, ha già ridotto drasticamente i casi di epatite cronica dovuti all’infezione causata da questo virus, un importante fattore di rischio per il carcinoma epatico.
Agenzia Zoe