Ultimo aggiornamento: 6 febbraio 2020
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Nel 2016 la notizia della sentenza con cui un tribunale americano ha condannato una delle più note aziende di prodotti di igiene a pagare un risarcimento di ben 72 milioni di dollari alla famiglia della signora Jackie Fox, morta di tumore ovarico, ha suscitato preoccupazione in tutto il mondo. Secondo la giuria l'azienda era responsabile di non aver adeguatamente informato i consumatori sul fatto che l'uso prolungato di prodotti per l'igiene a base di talco (in particolare a livello inguinale o, come si faceva fino a qualche anno fa, per mantenere asciutti i diaframmi contraccettivi in lattice di gomma) comporterebbe un aumento del rischio di tumore dell'ovaio. Ma è vero?
Innanzitutto è bene sgomberare il campo da un equivoco comune: negli Stati Uniti, come anche in Italia, una sentenza può non essere determinata da ciò che la scienza ha o non ha dimostrato. Il giudice e negli Stati Uniti anche la giuria popolare possono basare il giudizio su altri tipi di valutazione. Nello scontro tra le posizioni degli avvocati delle due parti, in questo caso specifico, la giuria popolare ha dato maggiore peso alla tesi dell'accusa, per cui sarebbe stato necessario quantomeno riportare un avvertimento cautelativo in etichetta, rispetto alla tesi della difesa, per cui non esistono solide dimostrazioni scientifiche della cancerogenicità del talco. Va aggiunto che, nel caso di Jackie Fox, la sentenza è stata ribaltata nel 2017 per problemi legati a specifiche competenze giuridiche. La signora risiedeva infatti in Alabama, ma l’azienda chiamata in causa aveva la propria sede in New Jersey e il caso è stato discusso a St. Louis: un giudice ha stabilito che ciò andava oltre le competenze del tribunale coinvolto.
La stessa azienda è stata coinvolta in un caso analogo che ha avuto come protagonista la californiana Eva Echeverria, anch’essa deceduta per tumore ovarico, alla cui famiglia la giuria aveva accordato inizialmente un risarcimento di 417 milioni di dollari. Nell’ottobre 2017 però un giudice ha ancora una volta modificato la sentenza iniziale, seppur con una motivazione differente da quella usata per Jackie Fox: la ragione del nuovo verdetto era la mancanza di prove sufficienti a dimostrare un legame tra l’uso di talco e il tumore. Il dibattito legale sull’associazione tra talco e tumore non è chiuso e a oggi nei tribunali sono numerose le cause di questo tipo in discussione.
Gli esperti sono concordi sul fatto che l'eventuale aumento del rischio di tumore dell'ovaio, in caso di esposizione prolungata al talco dell'area vicino alla vagina o al suo interno, è modesto in valore assoluto, dato che il tumore ovarico è una malattia poco frequente e rappresenta meno del 3 per cento di tutti i casi di tumore. Gli studi condotti negli ultimi anni sull'argomento, che hanno impiegato campioni più grandi e metodi più rigorosi, non hanno indicato il talco tra i possibili fattori di rischio per il tumore dell'ovaio.
La maggioranza degli studi condotti finora è considerato non rigoroso, poiché per verificare la relazione tra talco e rischio di tumore dell'ovaio, le partecipanti sono state invitate a ricordare che cosa hanno fatto nel passato. Si tratta di studi "caso-controllo", con cui si cerca di capire quali eventi o comportamenti del passato sono comuni tra le persone che si sono ammalate (i "casi") e non lo sono invece tra le donne che non si sono ammalate (i "controlli"). I dati sono raccolti tramite interviste o questionari a cui i partecipanti rispondono in base ai ricordi. Tuttavia la memoria è spesso labile e influenzabile a seconda di come vengono poste le domande. Per questo i ricercatori sanno che i risultati di questi studi sono poco attendibili.
Più affidabili sono gli studi detti di coorte, che reclutano un ampio gruppo di donne sane e le seguono nel tempo raccogliendo numerosi dati (tra cui per esempio il consumo di prodotti per l'igiene intima con talco) per cercare di capire che cosa differenzia le donne che a un certo punto vengono colpite dal tumore.
D'altra parte nessuno scienziato ha finora identificato né ipotizzato un meccanismo biologico per cui il talco potrebbe causare lo sviluppo del tumore (almeno da quando negli anni Settanta sono state eliminate tutte le contaminazioni da asbesto – lo stesso minerale contenuto nell'amianto – che fino ad allora erano comuni in tali prodotti). Secondo alcune teorie il talco potrebbe essere responsabile di un’infiammazione che, con il tempo, potrebbe dare origine al tumore, ma servono ulteriori dati a sostegno di tale ipotesi.
Più in dettaglio, i risultati di 16 studi che avevano coinvolto complessivamente 12.000 donne segnalavano (in una metanalisi pubblicata nel 2003) un aumento del rischio di cancro ovarico di circa un terzo associato all'uso del talco. Una revisione del 2013 degli studi americani (con circa 18.000 donne coinvolte tra casi e controlli) ha rilevato un aumento analogo associato all'uso del talco per l'igiene intima, ma non all'uso su altre parti del corpo. Entrambi questi studi sono di tipo caso-controllo, basati cioè su ciò che le donne ricordano delle proprie abitudini degli anni precedenti, e per questo, come detto, non sempre sono sufficienti a chiarire i fatti. Sulla stessa linea sono i risultati di alcune metanalisi più recenti, come quella pubblicata a gennaio 2018 e che ha preso in considerazione i dati di 24 studi caso-controllo e 3 studi di coorte, o la pubblicazione datata agosto 2019 nella quale sono stati inclusi 26 studi caso-controllo e 4 studi di coorte. Queste metanalisi hanno permesso di concludere che esiste un’associazione tra uso perineale di talco e tumore ovarico, pur riconoscendo che le dimensioni dell’aumento del rischio possano variare in base al disegno degli studi analizzati e al tipo di tumore ovarico preso in considerazione. Un altro ampio studio americano i cui risultati sono stati pubblicati nel 2000 – che coinvolgeva circa 80.000 donne e costituiva un ramo di un notissimo studio epidemiologico sulle infermiere americane – non ha rilevato alcuna correlazione, se non un debole legame con il tumore ovarico di tipo sieroso, che potrebbe anche essere frutto del caso o della contaminazione da amianto, un problema non più presente al giorno d'oggi. Anche una metanalisi pubblicata nel 2018 ha osservato un debole legame con questo specifico tipo di tumore. Nel 2007 una metanalisi di nove studi osservazionali che hanno studiato donne che hanno usato i diaframmi contraccettivi tradizionalmente conservati nel talco non ha osservato alcun legame: questo dato è considerato particolarmente rassicurante, dato che un'esposizione così ravvicinata alla sede di sviluppo della malattia dovrebbe avere un effetto più significativo e visibile. Ultimo, ma solo in ordine di tempo, uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel gennaio 2020 sulla prestigiosa rivista JAMA che ha analizzato i dati di oltre 252.000 donne, la più ampia coorte finora valutata sul tema. Si tratta di una analisi congiunta dei dati di 4 grandi studi di coorte statunitensi che ha permesso ai ricercatori di stimare il rischio di sviluppare un tumore ovarico a 70 anni nelle donne coinvolte nella ricerca. I risultati sono rassicuranti: nessuna associazione statisticamente significativa è stata rilevata tra uso di talco nell’area genitale e rischio di tumore ovarico, anche se gli autori avvertono che, per come è stata condotta, l’analisi potrebbe non essere riuscita a mettere in luce variazioni particolarmente piccole del rischio.
Nel complesso gli esperti sottolineano che anche un eventuale aumento del rischio di un terzo – il valore massimo osservato da alcuni studi – rimane di entità modesta in assoluto, perché il tumore dell'ovaio è già di per sé poco frequente.
Un altro elemento che gli esperti ritengono importante è la mancata relazione tra l'entità dell'esposizione al talco e l'entità dell'aumento di rischio, negli studi caso-controllo che hanno osservato un aumento di rischio. In pratica chi ha usato più spesso prodotti per l'igiene intima a base di talco, o chi usava a scopo contraccettivo un diaframma ricoperto di talco, non ha avuto un rischio maggiore rispetto a chi ha avuto un'esposizione minore o meno diretta. Nemmeno la durata dell’esposizione, in questo caso un maggior numero di anni di utilizzo del talco nell’area genitale, è risultata associata a un aumento del rischio di sviluppare un tumore ovarico. Anche questo viene interpretato come un dato a sostegno della relativa sicurezza del talco, perché quando una sostanza causa il cancro (come accade per esempio col fumo di tabacco nel cancro polmonare) vi è una netta relazione tra l’entità e la durata dell'esposizione e l'aumento del rischio.
Proprio il caso del polmone fornisce un'altra indicazione rassicurante: il talco viene impiegato anche in una procedura medica, chiamata pleurodesi, per curare alcuni disturbi respiratori: in quel caso polvere sterile di talco viene distribuita direttamente sul rivestimento dei polmoni, e la procedura non sembra avere mai comportato un aumento di rischio di cancro del polmone.
Le cause del tumore dell'ovaio restano in massima parte ignote: è probabile che non ci sia una sola causa, ma che contribuiscano numerosi fattori, in parte genetici e in parte ambientali.
Tra i molti milioni di donne che in tutto il mondo usano o non usano abitualmente il talco, una esigua percentuale, uguale nei due gruppi, sviluppa un tumore dell'ovaio. La malattia è più frequente con l'avanzare dell'età e quando in famiglia ci sono stati casi di tumore dell'ovaio e della mammella, e tende a ridursi nelle donne che hanno più figli.
Alla luce dei dati disponibili, l'International Agency for Research on Cancer (IARC), che fa capo all'Organizzazione mondiale della sanità:
Le sentenze statunitensi che hanno stimolato domande anche tra i non esperti sul possibile legame tra uso di talco e rischio di tumore ovarico si basano su considerazioni che sono solo in parte legate alle prove scientifiche. Chi ha fatto uso, nel passato, di talco a livello genitale non ha particolari ragioni per allarmarsi. Volendo applicare il principio di precauzione, è possibile suggerire di evitare l'uso di talco a livello perineale ed endovaginale, anche se è bene ribadire che la maggior parte degli studi non ha potuto dimostrare una relazione di causa ed effetto tra l'eventuale utilizzo e il piccolo aumento di rischio rilevato in alcune ricerche retrospettive di tipo caso-controllo.
Agenzia Zoe