Ultimo aggiornamento: 19 maggio 2023
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Anche gli animali si ammalano di tumore. Trattandosi di organismi diversi dagli esseri umani, ci possono essere delle differenze tra le specie. Per esempio, alcuni grandi animali, come gli elefanti, in proporzione si ammalano di meno di cancro rispetto ai membri della nostra specie. Il cancro ha origine da danni al DNA delle cellule, perciò si potrebbe pensare che, dato che l’elefante ha molte più cellule di un essere umano, le probabilità che abbia qualche cellula col DNA danneggiato in grado di trasformarsi in cellula tumorale sia maggiore e di conseguenza l’elefante abbia un rischio più elevato di sviluppare tumori. In realtà non è così: l’incidenza dei tumori non aumenta all’aumentare delle dimensioni degli animali. Questa osservazione va sotto il nome di paradosso di Peto, dal nome dell’epidemiologo inglese che l’ha formulata, Richard Peto. Le ragioni non sono chiare, ma sembrano legate a meccanismi compensativi acquisiti durante l’evoluzione. Nei grandi animali i sistemi cellulari di sorveglianza, riparazione e risposta al danno al DNA sono diversi e, in qualche modo, più efficienti rispetto a quelli degli esseri umani e degli altri animali più piccoli. Questo fenomeno è interessante ed è studiato perché potrebbe svelare meccanismi su cui agire per ridurre la probabilità che in un soggetto a rischio insorga un tumore.
Oltre a essere animali di grosse dimensioni, gli squali, come le mante e le razze, hanno una caratteristica particolare: sono pesci cartilaginei, ovvero il loro scheletro non è fatto di ossa, ma di una cartilagine ricca di calcio, sufficientemente rigida da sostenere il corpo degli animali nell’acqua. Per questo hanno una notevole quantità di tessuto cartilagineo. La cartilagine è un tessuto elastico in grado di resistere alla pressione e alla trazione e svolge funzioni di sostegno. Una qualità notevole della cartilagine di questi pesci e degli altri animali è che è sprovvista di vasi sanguigni: i nutrienti penetrano direttamente nel tessuto, che è molto permeabile. L’assenza di vasi sanguigni nella cartilagine è il motivo per cui gli squali sono diventati animali interessanti per chi studia i tumori.
Tutte le cellule, anche quelle tumorali, per sopravvivere hanno bisogno di nutrienti e di ossigeno e devono eliminare le scorie attraverso il sangue. Quando un tumore maligno inizia a crescere richiede nuovi vasi sanguigni che vadano a irrorare la massa di cellule tumorali che si sta formando: la creazione di nuovi vasi si chiama angiogenesi. Negli anni Settanta, alla Harvard University, Judah Folkman e Henry Brem studiavano il processo di angiogenesi e avevano ipotizzato che, interferendo con questo processo, si potesse bloccare la crescita di un tumore. Dovendo identificare sostanze anti-angiogeniche, l’attenzione si rivolse alla cartilagine. Il loro ragionamento era che, se nella cartilagine non crescono i vasi sanguigni, in quel tessuto ci deve essere qualche sostanza che lo impedisce. Utilizzando cartilagine di coniglio e di vitello, Folkman e Brem riuscirono a impedire la crescita di alcuni tipi di tumore in animali di laboratorio e pubblicarono i risultati della ricerca sulla prestigiosa rivista Science. Un loro collaboratore, Robert Langer, ripeté l’esperimento, con risultati analoghi, utilizzando la cartilagine dell’animale ideale da usare come fonte di questo tessuto: lo squalo.
Cosa si sapeva allora sui tumori negli squali? Poco o nulla. Nel 1982 Carl Luer, ricercatore in un acquario della Florida, aveva pubblicato i risultati di una ricerca sulla cancerogenesi negli squali. Aveva esposto squali neonati a una sostanza altamente cancerogena, l’aflatossina B1, e i pesci non si erano ammalati. Dopo essere venuto a conoscenza delle ricerche di Langer e Luer, nel 1992 I. William Lane, laureato in Scienze della nutrizione, pubblicò con Linda Comac un libro dal titolo Gli squali non si ammalano di cancro: come la cartilagine di squalo può salvarti la vita. Nel libro Lane e Comac sostenevano che la cartilagine di squalo aveva un effetto antitumorale. Il libro ebbe un grandissimo successo di pubblico e la televisione gli dedicò uno speciale in cui Lane descrisse risultati strabilianti di test clinici condotti con pazienti in cliniche situate in Messico, a Panama e a Cuba. Tali risultati non furono però mai pubblicati su riviste scientifiche che richiedono un processo di “peer review”, la revisione da parte dei pari, ossia l’attestazione dell’attendibilità dei risultati di uno studio da parte di esperti dello stesso campo scientifico.
Lane sviluppò una tecnica di polverizzazione per ottenere una polvere di cartilagine finissima e iniziò a vendere pillole contenenti cartilagine di squalo. Molti altri si accodarono. Nell’ultimo decennio milioni di squali sono stati uccisi, sia per rifornire il mercato alimentare dei paesi asiatici, dove la zuppa di pinne di squalo è considerata una prelibatezza, sia per produrre integratori a base di cartilagine venduti a caro prezzo. Secondo una commissione statunitense di esperti, la quantità di cartilagine di squalo effettivamente presente in una confezione di questi prodotti è comunque molto bassa.
Nel frattempo è stato dimostrato che in realtà anche gli squali si ammalano di tumore. Nei risultati di uno studio, pubblicati sulla rivista Cancer Research nel 2004, Gary K. Ostrander e i suoi collaboratori descrivono 24 casi di tumore negli squali e 16 casi nelle razze e nelle mante. I casi descritti sono riportati nella letteratura scientifica e nel Registry of Tumors in Lower Animals (un archivio che raccoglie campioni biologici e dati da tutto il mondo). In qualche caso il tumore ha colpito proprio la cartilagine. Non sappiamo quale sia l’incidenza del cancro negli squali e difficilmente lo sapremo mai, per la difficoltà degli studi necessari. Per un’analisi statisticamente valida sarebbe infatti necessario studiare un grande numero di animali, ma un pescatore che cattura uno squalo difficilmente è interessato a sapere se l’animale ha un tumore ed è anche assai probabile che uno squalo ammalato venga eliminato da altri predatori prima di essere catturato da un ricercatore. È possibile, ma non dimostrabile, che questi animali, che vivono in mare aperto, siano relativamente poco esposti a sostanze cancerogene e che il cancro non sia comune tra gli squali.
La cartilagine di squalo è stata valutata in tre studi clinici. Il primo studio, del 1998, ha coinvolto 60 pazienti con tumore in stadio avanzato: la cartilagine di squalo non ha modificato il decorso della malattia né aumentando la sopravvivenza, né migliorando la qualità di vita dei pazienti.
Nel 2005 il Centro nazionale per la medicina complementare e alternativa statunitense ha presentato i risultati di un secondo studio condotto con 88 pazienti con tumori del seno e del colon-retto: metà dei pazienti ha ricevuto le cure standard, l’altra metà le stesse cure più la cartilagine di squalo. Anche in questo caso la cartilagine di squalo non ha influito sulla sopravvivenza o sulla qualità di vita dei pazienti.
Nel terzo studio, condotto tra il 2007 e il 2010, i ricercatori hanno valutato i possibili effetti di un estratto altamente purificato di cartilagine di squalo in pazienti con tumori del polmone in stadio avanzato che erano in cura con radioterapia e chemioterapia. La malattia è progredita allo stesso modo nei pazienti che, in aggiunta alle terapie convenzionali, assumevano la cartilagine di squalo e in quelli che assumevano il placebo.
Perché i ricercatori hanno effettuato studi clinici con questa sostanza, nonostante non ci siano basi scientifiche che ne suggeriscano un’utilità? Perché non sono pochi i pazienti che la provano ed è importante sapere se essa interferisce con le terapie la cui efficacia è dimostrata e se è tossica. Non solo la cartilagine di squalo non funziona, ma non è neppure completamente sicura. Sono stati riportati effetti collaterali come disturbi gastrointestinali, un aumento del calcio e variazioni nella concentrazione di zucchero nel sangue. In particolare, la cartilagine di squalo è sconsigliata a pazienti che soffrono di malattie del fegato.
Inoltre non è da sottovalutare il fatto che le preparazioni a base di cartilagine di squalo possono contenere sostanze contaminanti pericolose. Uno studio del 2014, in cui sono stati analizzati alcuni campioni commerciali di cartilagine di squalo, ha rivelato la presenza, oltre che di basse dosi di mercurio, di una neurotossina di origine batterica che potrebbe avere un ruolo nelle malattie neurodegenerative. Peraltro è già successo che dei lotti di capsule contenenti cartilagine di squalo siano stati ritirati dal commercio perché contaminati da Salmonella.
L’idea che introdurre per via orale la cartilagine di squalo prevenga o curi un tumore ricorda le credenze di alcune tribù primitive che mangiavano i nemici per assimilarne la forza. Peraltro, l’invulnerabilità degli squali al cancro è un mito: sono stati pescati e catalogati esemplari di squalo che avevano tumori.
La cartilagine, di squalo e non, forse potrebbe contenere sostanze in grado di ridurre la crescita dei tumori, ma questa linea di ricerca è ancora in fase di sviluppo. In ogni caso le eventuali sostanze attive contenute nella cartilagine, essendo di natura proteica, dopo essere state ingerite verrebbero distrutte dal processo digestivo e non potrebbero entrare integre nel sangue. La Food and Drug Administration (FDA), l’autorità americana per la sicurezza alimentare e dei farmaci, ha diffidato i laboratori dal promuovere il proprio preparato a base di cartilagine di squalo come trattamento “per la prevenzione, il contenimento e la cura del cancro e di altre malattie”. Assumere integratori a base di cartilagine di squalo non offre benefici ed espone al rischio di seri effetti collaterali.
La credenza che introdurre per via orale la cartilagine di squalo prevenga o curi un tumore è assimilabile alla credenza delle tribù che mangiavano i nemici per assimilarne la forza. Peraltro, l’invulnerabilità degli squali al cancro è un mito: sono stati pescati e catalogati degli esemplari di squalo che avevano tumori.
La cartilagine, di squalo e non, potrebbe realmente contenere sostanze in grado di ridurre la crescita dei tumori, ma questa linea di ricerca è ancora in fase di sviluppo. In ogni caso le eventuali sostanze attive contenute nella cartilagine, essendo di natura proteica, dopo essere state ingerite verrebbero distrutte dal processo digestivo e non potrebbero entrare integre nel sangue. La Food and Drug Administration, l’autorità americana per la sicurezza dei farmaci, ha diffidato i laboratori dal promuovere il proprio preparato a base di cartilagine di squalo come trattamento “per la prevenzione, il contenimento e la cura del cancro e di altre malattie”. Assumere integratori a base di cartilagine di squalo non apporta benefici ed espone al rischio di effetti collaterali.
Agenzia Zoe