Ultimo aggiornamento: 4 aprile 2023
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La perdita dei capelli (alopecia) è un effetto collaterale molto comune della chemioterapia. L’alopecia non ha ripercussioni mediche, ma ha un forte impatto psicologico, specialmente per le donne. Vedersi senza capelli è un promemoria della propria condizione di malati e può minare l’autostima, oltre a essere un segnale evidente di malattia per le altre persone. La perdita dei capelli può essere mascherata con un copricapo oppure con una parrucca, ma sicuramente provoca uno stress che ha ripercussioni negative sulla qualità della vita.
I farmaci chemioterapici agiscono bloccando la moltiplicazione delle cellule. Per quanto agiscano preferenzialmente contro le cellule tumorali, che si riproducono più intensamente, l’azione tossica riguarda tutte le cellule che si dividono, tra cui le cellule dei bulbi piliferi. La radioterapia può causare la perdita dei capelli solo se le radiazioni sono dirette al capo. Nel caso della chemioterapia invece non ha importanza dove si trovi il tumore, poiché il farmaco entra in circolo e raggiunge tutti i distretti dell’organismo. L’entità della perdita dei capelli dipende da tipo, dose e modi di somministrazione dei farmaci chemioterapici. Quasi sempre l’effetto è temporaneo: qualche tempo dopo avere finito la terapia i capelli e i peli ricrescono.
I primi esperimenti sull’uso dell’ipotermia per ridurre la perdita dei capelli indotta dalla chemioterapia risalgono agli anni Settanta. Il razionale su cui si basa questo approccio è che l’ipotermia fa restringere i vasi sanguigni, riducendo così il sangue che irrora la parte raffreddata. Inducendo ipotermia a livello del cuoio capelluto si impedisce che le radici dei capelli siano raggiunte dal sangue e quindi dai farmaci chemioterapici. La bassa temperatura inoltre blocca i processi biochimici, rendendo il capello meno sensibile ai danni della chemioterapia. Perché l’ipotermia sia efficace è necessario indurla prima dell’inizio della somministrazione del farmaco, per tutto il tempo dell’infusione e anche per un certo tempo dopo che questa è finita.
Per indurre ipotermia a livello del cuoio capelluto sono disponibili due sistemi: i caschetti refrigerati a gestione manuale (cool caps) e i caschetti refrigerati automatizzati (scalp cooling devices).
I primi a essere stati introdotti sono stati i caschetti refrigerati a gestione manuale. La forma più moderna di questo strumento sono cuffie che contengono un gel e funzionano come le mattonelle di ghiaccio sintetico che si mettono nella borsa frigo. Vanno raffreddati mettendoli in un congelatore biomedico, diverso dal freezer di casa, che non va bene perché non raggiunge temperature sufficientemente basse. Il limite dei caschetti refrigerati è che quando vengono tolti dal congelatore la loro temperatura immediatamente si alza. Poiché le sedute di chemioterapia durano alcune ore, è necessario sostituire ogni 30 minuti circa il caschetto in uso con un altro caschetto congelato, e i pazienti devono essere aiutati perché non possono farlo da soli. La temperatura del cuoio capelluto subisce forti oscillazioni anche mentre il caschetto è posizionato sulla testa e soprattutto quando si effettuano i cambi. Per di più, la temperatura iniziale è molto bassa e ciò può creare notevoli disagi ai pazienti. Va tenuto presente che il caschetto deve aderire perfettamente al cuoio capelluto per portare quest’ultimo alla temperatura desiderata: le aree che non entrano bene in contatto con la superficie refrigerata non risultano protette e si rischia una perdita di capelli a chiazze. Inoltre non è facile indossare il caschetto in modo corretto, considerando che il cambio va fatto il più rapidamente possibile.
In tempi più recenti sono stati introdotti strumenti più sofisticati: i caschetti refrigerati automatizzati. Sono costituiti da un’unità refrigerante computerizzata che fa circolare un liquido refrigerato all’interno di apposite cuffie. Il vantaggio di questi sistemi è che la temperatura viene abbassata gradualmente fino a 3-4°C, viene mantenuta costante per tutto il tempo necessario e poi rialzata, sempre gradatamente. Sono disponibili cuffie diverse per forma e dimensione, in modo che si adattino perfettamente al cranio dei pazienti. In Italia sono all’incirca una quindicina i reparti oncologici che si sono dotati di questi macchinari, che non sono forniti dal Servizio sanitario nazionale e devono essere acquistati autonomamente. L’utilizzo comporta alcuni problemi organizzativi: i tempi della terapia si allungano perché il caschetto refrigerato deve essere posizionato almeno mezz’ora prima e deve essere indossato per 1-2 ore dopo la fine della terapia; in più bisogna dedicare qualcuno dello staff alla gestione dello strumento e all’assistenza ai pazienti.
Sono stati pubblicati diversi studi scientifici a sostegno dell’utilità dell’ipotermia nel ridurre la perdita dei capelli indotta dalla chemioterapia. Una metanalisi, cioè una valutazione combinata di più studi sullo stesso argomento, pubblicata nel 2015, ha identificato 17 studi che avevano coinvolto più di 1.000 pazienti (soprattutto donne in cura per un tumore del seno). In questi studi erano stati testati diversi metodi per ridurre l’alopecia indotta dalla chemioterapia, tra cui ipotermia, compressione del cuoio capelluto e applicazione topica di minoxidil, un farmaco già usato contro la perdita di capelli maschile. Gli autori hanno concluso che l’unico trattamento che riduce significativamente il rischio di alopecia da chemioterapia è il raffreddamento del cuoio capelluto.
Nel 2017 la rivista JAMA ha pubblicato i risultati di due studi in cui è stata valutata l’efficacia dei caschetti refrigerati automatizzati in pazienti con tumore al seno in stadio iniziale. Il primo era uno studio randomizzato che ha coinvolto 182 donne trattate con taxani e/o antracicline. Le pazienti sono state assegnate in modo casuale a uno dei due gruppi: uno ha utilizzato il caschetto refrigerato automatizzato, l’altro no. I ricercatori hanno quantificato l’alopecia dopo la terapia e hanno osservato che metà delle pazienti sottoposte al trattamento preventivo hanno perso meno del 50 per cento dei capelli (alcune non li hanno persi per niente), mentre tutte le donne che non hanno usato il trattamento ipotermico del cuoio capelluto hanno perso più del 50 per cento dei capelli. Solo il 63 per cento delle pazienti che ha usato il caschetto, contro il 100 per cento di chi non l’ha utilizzato, ha ritenuto necessario coprire la testa con una parrucca o un turbante per mascherare la perdita di capelli.
Il secondo era uno studio osservazionale che ha coinvolto 106 donne trattate con taxani. Usando il caschetto refrigerato automatizzato, due pazienti su tre hanno perso meno del 50 per cento dei capelli; alcune pazienti non li hanno persi del tutto. Bisogna precisare che i due studi citati erano sponsorizzati dalle aziende produttrici dei dispositivi.
A favore dell’uso del caschetto refrigerato automatizzato ci sono anche risultati di studi indipendenti, come quelli pubblicati sulla rivista Current Oncology nel 2022 dagli oncologi del Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma. In un quinquennio 178 pazienti con tumore al seno in stadio iniziale o localmente avanzato, sottoposte a chemioterapia neoadiuvante o adiuvante presso questo centro, hanno utilizzato il dispositivo per prevenire l’alopecia. La percentuale di successo è stata mediamente pari al 68 per cento, simile a quella riportata in una metanalisi del 2021 in cui sono stati combinati i risultati di 27 studi che avevano coinvolto complessivamente 2.200 pazienti con tumore al seno.
La percentuale di successo variava però in base al tipo di chemioterapia. Se il 100 per cento delle donne a cui è stato somministrato il solo paclitaxel (un taxano) è riuscito a prevenire la caduta dei capelli, la percentuale era più bassa, attorno all’89 per cento, quando il trattamento era a base di docetaxel (un altro taxano) più ciclofosfamide; attorno al 71 per cento per le terapie a basi di un’antraciclina più un taxano seguita da carboplatino e del 60 per cento nel caso di assunzione di un’antraciclina più un taxano. Più di una paziente su quattro ha interrotto l’utilizzo del caschetto, metà delle quali a causa degli effetti collaterali, come il disagio causato dal freddo, e l’altra metà perché ormai era già caduta la maggior parte dei capelli. Nonostante quasi tre pazienti su quattro abbiano sperimentato almeno un evento avverso, come mal di testa o dolore allo scalpo o alla cervicale, il 70 per cento delle pazienti si è dichiarata soddisfatta di questo strumento.
Il successo del trattamento è influenzato da diversi fattori. Primo, è fondamentale che il sistema sia efficiente nell’indurre e mantenere l’ipotermia, per questo il caschetto deve aderire perfettamente alla cute e la bassa temperatura va mantenuta costante.
Secondo, alcune caratteristiche dei pazienti sono indicative del beneficio che si può ottenere con l’uso del caschetto. Contano il tipo di capello e le condizioni della capigliatura all’inizio del trattamento: chi ha i capelli molto rovinati o già radi per l’alopecia androgenica (la comune perdita di capelli maschile) molto probabilmente li perderà comunque. Anche i pazienti con tumori avanzati che saranno sottoposti a molti cicli di chemioterapia corrono un elevato rischio di perdere i capelli. Terzo, i dati a disposizione suggeriscono che il caschetto refrigerato non è ugualmente efficace con tutti i farmaci chemioterapici: per esempio funziona meglio con i taxani che con le antracicline. Quarto, generalmente l’uso del caschetto è proposto a pazienti con tumore al seno già sottoposte a intervento chirurgico, nei centri dove lo strumento è disponibile. Lo stesso metodo potrebbe essere impiegato anche durante la cura di altri tumori solidi. La fattibilità è limitata in parte dalla durata della chemioterapia: se il protocollo specifico richiede tempi molto lunghi per l’infusione del farmaco, aggiungere altre 2-3 ore può non essere gestibile. L’uso del caschetto refrigerato è invece assolutamente controindicato nei pazienti con tumori ematologici, cioè del sangue, perché i farmaci chemioterapici devono poter raggiungere tutto il sistema vascolare.
Applicare qualcosa di molto freddo sulla testa è poco confortevole e può provocare alcuni effetti collaterali. Il più comune è il mal di testa, ma sono possibili anche dolore e danni alla cute, nausea e brividi. Di solito ai pazienti sono fornite delle coperte per migliorare il benessere durante la chemioterapia. È stato avanzato il dubbio che l’uso del caschetto refrigerato aumenti il rischio di metastasi cutanee a livello della testa (assolutamente non di metastasi al cervello perché viene raffreddato solo lo scalpo). In teoria, se nella cute non arriva il farmaco chemioterapico alcune cellule tumorali potrebbero sopravvivere e formare metastasi. Sulla base dei dati disponibili, gli esperti ritengono però che questa possibilità sia estremamente remota.
Esistono dati scientifici che dimostrano che raffreddando il cuoio capelluto durante la chemioterapia si riduce la perdita dei capelli indotta dal trattamento. La Food and Drug Administration (FDA), l’ente americano che regolamenta l’uso dei farmaci e dei dispositivi medici, ha approvato l’utilizzo dei caschetti refrigerati automatizzati, che appaiono affidabili nell’indurre e mantenere correttamente l’ipotermia. Questo trattamento preventivo non è applicabile a tutti i pazienti e tipi di tumore e non tutti i pazienti che lo utilizzano ottengono gli stessi risultati.
Agenzia Zoe