Ultimo aggiornamento: 23 marzo 2023
Tempo di lettura: 7 minuti
Lo statunitense Roy J. Plunkett non aveva ancora trent’anni quando, nel 1938, scoprì il politetrafluoroetilene. Secondo un racconto dello stesso Plunkett, chimico presso l’azienda DuPont, la scoperta fu del tutto accidentale, tanto che il giovane pensò a un esperimento fallito quando trovò della polvere bianca in un cilindro che, almeno in teoria, avrebbe dovuto contenere il gas tetrafluoroetilene (TFE). Quella polvere era il risultato di un processo che aveva portato le molecole del gas TFE, ciascuna composta da due atomi di carbonio e quattro di fluoro, a unirsi in quello che i chimici chiamano un polimero, fatto di tante unità uguali ripetute. Il polimero prese il nome di politetrafluoroetilene (PTFE) e quello che tutti conosciamo come uno dei più comuni rivestimenti antiaderenti è quindi in origine una polvere inodore, bianca e leggera, che non si scioglie in acqua e in nessun solvente. È inerte, ovvero non reagisce con altre sostanze chimiche, non è infiammabile, non conduce elettricità e rimane stabile fino a temperature molto elevate (vicine ai 300 gradi). Tutte queste caratteristiche hanno fatto del politetrafluoroetilene un prodotto di grande successo, presentato al pubblico a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
I tegami antiaderenti sono senza dubbio i prodotti più noti tra quelli che contengono politetrafluoroetilene, ma non sono gli unici. Nella Seconda guerra mondiale il politetrafluoroetilene venne utilizzato per rivestire e proteggere attrezzature militari. Oggi, grazie alle sue caratteristiche, viene impiegato in numerosi prodotti plastici come per esempio filtri, guarnizioni, valvole e protezioni di vario tipo contro la corrosione. Ma il PTFE entra anche negli armadi. Alcuni tessuti sintetici altamente impermeabili e traspiranti sono composti proprio da politetrafluoroetilene microporoso, che viene utilizzato per realizzare indumenti “tecnici” amati dagli sportivi. Non mancano gli usi del PTFE in medicina, dalla creazione di protesi vascolari a base di PTFE espanso all’uso in alcuni impianti dentali.
Infine ci sono pentole e padelle, presenti a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso nella maggior parte delle case. Il rivestimento antiaderente è in genere di colore nero ed è composto da diversi strati di PTFE che rivestono un substrato in metallo, spesso alluminio. Il numero degli strati può variare, così come il metallo sottostante, e questi due elementi determinano la qualità del tegame.
L’American Cancer Society afferma che il politetrafluoroetilene di per sé non è cancerogeno e non provoca rischi per la salute alle dosi con le quali normalmente si viene in contatto.
Il rischio per la salute nell’utilizzo di prodotti che contengono politetrafluoroetilene è legato in realtà all’acido perfluoroottanoico, noto anche con le sigle PFOA o C8, un composto impiegato in alcune fasi della produzione del politetrafluoroetilene stesso. Il composto fa parte di un gruppo più ampio di sostanze chimiche, note come sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS), che comprende anche un’altra sostanza molto utilizzata, il perfluorottano sulfonato (PFOS). La caratteristica dei PFAS è che restano nell’ambiente e possono essere ritrovati a bassi livelli nell’aria, nella polvere, in alcuni alimenti o anche nell’acqua potabile contaminata, in particolare nelle aree accanto agli impianti industriali che ne fanno uso.
Sul PFOA gli studi non mancano e hanno portato alcune agenzie internazionali a pronunciarsi sull’argomento. Qualche anno fa l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (EPA) ha affermato che i dati oggi disponibili suggeriscono un possibile legame causale tra PFOA, PFOS e cancro. Più di recente, tenendo conto degli studi epidemiologici e di quelli tossicologici effettuati negli animali, l’EPA ha proposto di indicare il PFOA come “probabilmente cancerogeno”, senza inserirlo ufficialmente nell’Integrated Risk Information System (IRIS). Si tratta di un database elettronico che elenca le informazioni sugli effetti sulla salute umana dell’esposizione a varie sostanze presenti nell’ambiente. L’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) ha rilasciato nel 2021 un documento aggiornato sul profilo tossicologico delle sostanze perfluoroalchiliche, dove raccoglie anche le evidenze disponili sul possibile legame tra queste, e in particolare di PFOA e PFOS, e il cancro.
Nel 2016 l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), ente con sede a Lione, in Francia, e legato all’Organizzazione mondiale della sanità, ha classificato il PFOA nel gruppo 2B, del quale fanno parte le sostanze “possibilmente cancerogene per l’uomo”. In effetti studi condotti con animali di laboratorio hanno mostrato un aumento di tumori di fegato, testicoli, mammella e pancreas dopo l’esposizione a PFOA. Spesso però a dosi molto elevate e per periodi prolungati, condizioni difficili da realizzare nella vita quotidiana. I dati degli effetti sugli esseri umani sono meno chiari e si basano in particolare su studi condotti su persone esposte per motivi professionali o di residenza vicino a un impianto di produzione. Anche in questi casi ci sono prove di un possibile incremento del rischio di alcuni tumori, in particolare rene e testicolo, ma servono dati più affidabili per arrivare a conclusioni più solide. Il politetrafluoroetilene si trova invece nel gruppo 3, che raccoglie le sostanze non classificabili come carcinogene, per mancanza di sufficienti prove.
Gli autori di uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel marzo 2020 sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health hanno fatto un passo in più per comprendere il legame tra questo tipo di sostanze e il cancro. Analizzando 26 composti, tutti facenti parte delle sostanze perfluoroalchiliche, hanno valutato in laboratorio il loro effetto su alcune funzioni biologiche legate allo sviluppo di tumori. Dallo studio è emerso che in effetti molte PFAS hanno attività simile a quella di carcinogeni già noti. Portano a stress ossidativo e soppressione delle funzioni del sistema immunitario, e possono inoltre influenzare la proliferazione delle cellule e indurre modifiche epigenetiche del DNA, che non cambiano la struttura dell’acido nucleico ma possono modificarne l’espressione. Per altri processi importanti nello sviluppo dei tumori, come per esempio lo sviluppo di infiammazione cronica o l’alterazione dei meccanismi di riparazione del DNA, i dati non sono ancora sufficienti per giungere a una conclusione chiara.
Nel 2006 l’EPA e otto aziende che utilizzavano regolarmente PFOA hanno dato il via a uno speciale programma, con l’obiettivo di ridurre i livelli di emissioni e i prodotti contenenti questa sostanza del 95 per cento entro il 2010 e di eliminarli completamente entro il 2015. Secondo i dati e le dichiarazioni delle aziende, l’obiettivo è stato raggiunto. Inoltre, dal 2021 l’EPA, così come altri agenzie governative statunitensi tra cui la Food and Drug Admistration (FDA), hanno annunciato di voler compiere nuove azioni al fine di esaminare i PFAS negli alimenti, così come dell’acqua e nell’aria. In Europa la Commissione europea ha chiesto all’Autorità europea per la sicurezza degli alimenti (EFSA) di valutare i rischi per la salute umana delle sostanze perfluoroalchiliche, tra le quali si possono citare in particolare il PFOS e il PFOA. La prima parte dello studio, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2018, è stata seguita da una seconda e conclusiva relazione, apparsa nel 2020, che ha apportato alcune modifiche.
Dopo le valutazioni scientifiche effettuate dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), il 4 luglio 2020 sono entrate in vigore restrizioni alla fabbricazione e all’immissione sul mercato dei PFOA, dei suoi sali e dei composti correlati.
È possibile utilizzare in modo sicuro le pentole antiaderenti seguendo alcune regole molto semplici:
Il rivestimento delle pentole antiaderenti non è di per sé pericoloso per la salute, ma alcune sostanze, PFOA in particolare, che possono essere utilizzate nel processo di produzione del prodotto, sono state associate a un aumento del rischio di tumore e altre patologie. Tuttavia i tegami di produzione più recente non dovrebbero contenere PFOA. Resta da dire che alcune regole di base per l’adeguato utilizzo delle pentole con rivestimento antiaderente sono necessarie: acquistare prodotti di qualità, leggere le istruzioni fornite dal produttore e buttare via le padelle quando il rivestimento appare molto rovinato.
Agenzia Zoe