Ultimo aggiornamento: 4 aprile 2023
Tempo di lettura: 13 minuti
Con un tweet lanciato a ottobre 2017, il chirurgo della mammella Kefah Mokbel, esperto di cancro del seno e autore di diversi studi di genetica molecolare, annunciò di aver condotto una metanalisi (ovvero una revisione statistica di tutti gli studi esistenti in materia) sulla relazione tra l’uso di tinture per capelli e il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Secondo i risultati della sua analisi, pubblicati sulla rivista Anticancer Research, il rischio di ammalarsi di tumore aumenterebbe del 19 per cento circa in caso di uso mensile di tinture per capelli, rispetto a chi non si tinge. La sua raccomandazione, quindi, era di non tingere i capelli più di sei volte l’anno. La metanalisi di Mokbel aveva preso in esame otto studi caso-controllo, condotti tra il 1980 e il 2017, in cui si confrontava il numero di cancri della mammella in un gruppo di donne che si tingevano i capelli rispetto al numero di casi in un gruppo di donne di eguale età che non usavano tinture. L’anno in cui gli studi sono stati condotti è importante poiché la composizione delle tinture per capelli è molto cambiata nel tempo.
La possibile relazione tra l’uso di tinture e il cancro al seno era già stata sollevata da Sanna Heikkinen, del Registro tumori finlandese, che in uno studio precedente aveva osservato un’associazione statistica tra i due fattori. Aveva comunque precisato l’impossibilità di dimostrare una relazione di causa ed effetto tra il ricorso alle tinture e la malattia, perché le donne che si colorano i capelli fanno in media un uso maggiore anche di altri cosmetici.
A dicembre 2019 sono stati pubblicati sull’International Journal on Cancer i risultati di uno studio molto interessante per la mole di dati esaminati. Si tratta di un’analisi condotta da un gruppo di epidemiologi dei National Institutes of Health statunitensi per dieci anni su un campione di quasi 50.000 donne reclutate nel cosiddetto “Sister Study”, che aveva l’obiettivo primario di valutare il rischio di sviluppare un cancro del seno nelle donne che hanno avuto una sorella malata. La popolazione presa in considerazione era quindi già possibilmente più a rischio rispetto a una popolazione di persone che non avevano una sorella malata.
I risultati hanno mostrato che l’uso di tinture permanenti era associato a un aumento del rischio relativo di ammalarsi di cancro del seno del 7 per cento circa, rispetto a chi non si tingeva, con un’ampia variabilità individuale (dall’1 al 17 per cento). La ragione di tale rischio aumentato non è però nota. I dati epidemiologici, infatti, permettono di osservare un’associazione tra due fenomeni (in questo caso l’uso delle tinture e il cancro del seno) mentre non sono in grado di chiarire la causa ultima. In questo caso potrebbero essere possibili cause una particolare componente chimica delle tinture, insieme a un particolare assetto genetico, o altri fattori ignoti. È bene ricordare che si sta parlando di aumento del rischio relativo, ovvero dell’aumento di rischio rispetto al rischio base di chi non usa tinture: in numeri assoluti l’aumento è decisamente piccolo, poiché anche il rischio di base è basso.
Il gruppo più a rischio nella popolazione studiata sembra essere quello delle donne afroamericane: l’uso di tinture permanenti aumenta il loro rischio relativo di cancro del seno del 45 per cento circa, mentre l’utilizzo di tinture semipermanenti lo aumenta, sempre in questa popolazione, del 15 per cento circa (anche in questi casi con ampie variazioni a livello individuale). I prodotti per lisciare i capelli, molto utilizzati negli Stati Uniti proprio dalla comunità afroamericana, aumentano invece il rischio relativo del 18 per cento circa. Le donne afroamericane, quindi, risultano essere una categoria particolarmente a rischio.
La pubblicazione dei dati di questo studio ha sollevato notevoli preoccupazioni, ma gli esperti non ritengono che i dati siano sufficienti a sconsigliare l’uso della tinta per capelli, eventualmente solo a consigliarne un uso non eccessivo, anche se non è possibile definire che cosa sia davvero “eccessivo” in termini di rischio a livello individuale.
Lo stesso studio mostra un aumento del rischio più consistente tra le professioniste, cioè tra le parrucchiere che applicano i prodotti ai clienti, per quanto si tratti di un campione di circa 200 donne, un numero che, a detta degli stessi autori, non permette di giungere a conclusioni statisticamente valide.
Tra i limiti metodologici di questo studio c’è innanzitutto la popolazione esaminata: essendo tutte donne con familiarità per la malattia, è possibile che vi siano fattori individuali tali da renderle particolarmente vulnerabili. Non si possono quindi estendere i risultati a una popolazione diversa di donne senza casi di cancro del seno fra le sorelle.
Inoltre si tratta di uno studio condotto negli Stati Uniti, dove molte sostanze chimiche vietate in Europa sono invece consentite e dove la concentrazione di altre sostanze potenzialmente tossiche nell’ambiente può essere più elevata che in Europa.
Non è stato possibile registrare la composizione esatta delle tinture utilizzate dalle donne prese in esame nello studio, quindi, non si possono fare ipotesi sul ruolo di eventuali sostanze cancerogene specifiche né sul meccanismo d’azione (che potrebbe essere un effetto diretto sul DNA oppure mediato dagli ormoni, poiché le tinture possono contenere interferenti endocrini).
Infine, questa analisi si è concentrata sul cancro del seno e non ha valutato altri tipi di tumori, né il rischio oncologico complessivo delle persone.
Gli autori hanno concluso che i dati indicano un potenziale aumento di rischio pari a quello che si registra in caso di obesità o di altri fattori sui quali si può intervenire attivamente. Altri esperti hanno invece messo in luce l’assenza di una chiara correlazione di causa ed effetto, presente per altri fattori di rischio come appunto l’eccesso di peso. Insomma, i risultati di questo studio vanno presi con cautela, dato che saranno necessarie ulteriori analisi per capire se il rischio aumentato osservato nella popolazione presa in considerazione possa valere anche per persone con caratteristiche diverse.
Non si tratta però della prima volta che i ricercatori si interrogano sui possibili rischi associati all’uso delle tinture, pur non riuscendo a giungere a una risposta univoca.
Il numero di persone che fa ricorso alle tinture per capelli è in aumento in tutto il mondo: si stima che circa una donna su tre sopra i 18 anni e un uomo su dieci sopra i 40 si colori la chioma.
I coloranti attuali sono classificati in tre categorie: permanenti (che contengono sostanze ossidanti), semipermanenti (che possono contenere ossidanti in quantità inferiore oppure altre sostanze fissanti) e temporanei (che si lavano via dopo uno o due shampoo). Nell’80 per cento dei casi, chi ne fa uso acquista o si fa applicare una tintura permanente.
Dal punto di vista chimico, nelle tinture per capelli vi sono composti non colorati (i cosiddetti intermediari, in genere della famiglia delle ammine aromatiche) e composti colorati che, in presenza di acqua ossigenata, reagiscono tra loro per formare le molecole di pigmento. Più intenso e scuro è il colore, maggiore è la quantità di intermediari necessaria.
Una delle ragioni che rendono difficile studiare la relazione tra questi cosmetici e l’eventuale aumento di rischio di sviluppare un cancro è la complessità della composizione (sono oltre 5.000 le possibili diverse molecole contenute nelle tinte, alcune delle quali sono già elencate tra le sostanze cancerogene per gli animali, sebbene a concentrazioni decisamente più elevate e per esposizioni più lunghe di quelle previste per l’uso umano).
L’altra difficoltà metodologica dipende dall’evoluzione delle tecnologie e dai tempi di sviluppo dei tumori. Le prime tinture per capelli contenevano alcune ammine aromatiche sicuramente cancerogene negli animali, eliminate dai produttori tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Poiché i tumori impiegano anche qualche decina d’anni a svilupparsi, gli studi epidemiologici effettuati oggi rilevano verosimilmente casi che possono essere dovuti all’uso di vecchie formulazioni, ma non ci dicono nulla sui rischi di quelle attuali, che saranno eventualmente osservabili tra qualche decina d’anni.
La IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS, responsabile degli studi sulla cancerogenicità delle sostanze, ha stabilito che le tinture per capelli rientrano nella categoria 2A, ovvero tra i probabili carcinogeni umani, ma valuta il rischio come consistente solo per i professionisti (parrucchieri e simili).
Alcuni studi hanno infatti collegato l’uso personale delle tinture con un aumento di linfoma non Hodgkin e leucemia, mentre altri ancora hanno smentito il legame (come peraltro accade anche per il cancro della mammella, associato all’uso delle tinture in alcuni studi, ma risultato indipendente in altri).
Sulla base dei dati disponibili, deboli e discordanti, il rapporto IARC conclude che le tinture per capelli non sono classificabili tra i carcinogeni umani quando se ne fa un uso personale. Bisognerà vedere se ulteriori studi epidemiologici confermeranno quanto evidenziato dal “Sister Study” e se emergeranno ipotesi sui meccanismi di causa ed effetto.
Un’altra analisi recente, pubblicata sul British Journal of Medicine nel 2020, ha riguardato un campione di circa 120.000 infermiere reclutate nel “Nurses’ Health Study”. Iniziato nella seconda metà degli anni Settanta per studiare la relazione tra contraccettivi orali e tumore del seno, lo studio alla fine ha consentito di indagare gli effetti a lungo termine anche di altri fattori comportamentali, come l’alimentazione o l’utilizzo di tinte, e ambientali, grazie alla grande mole di informazioni raccolte.
Gli autori non hanno riscontrato alcuna associazione tra l’uso personale di tinte permanenti e il rischio di ammalarsi o di morire di cancro per la maggior parte dei tipi di tumore. Un piccolo aumento del rischio è stato segnalato per i carcinomi basocellulari della pelle e, per le donne che avevano utilizzato le tinte spesso e a lungo, per il tumore del seno e dell’ovaio. Anche questo studio, pur avendo il pregio di avere analizzato un’ampia casistica, presenta dei limiti di cui occorre tenere conto. Tra questi, il lungo follow-up di 36 anni ha comportato il fatto che sono stati registrati casi potenzialmente legati alle tinture di vecchia concezione.
Diversi studi hanno valutato la relazione tra l’uso personale di tinture per capelli e il rischio di sviluppare un linfoma non Hodgkin, con risultati contrastanti, in parte dovuti al numero limitato di persone prese in considerazione.
Un’analisi aggregata di quattro studi caso-controllo per un totale di circa 4.500 donne con linfoma non Hodgkin e quasi 6.000 persone sane ha dimostrato che le donne che hanno iniziato a tingersi i capelli prima del 1980 hanno un rischio aumentato di contrarre la malattia del 30 per cento circa rispetto a chi tiene i capelli al naturale. La percentuale può sembrare elevata ma, data la relativa rarità di questo linfoma, si tratta di pochi casi in più in numeri assoluti. Analizzando i sottotipi di malattia, i ricercatori hanno stabilito che sebbene il rischio riguardi soprattutto chi usava i coloranti prima del 1980, si riscontra un lieve aumento di linfoma follicolare (un sottotipo di linfoma non Hodgkin) anche in alcune donne che hanno usato i coloranti più scuri dopo tale data. Questi risultati sono compatibili con l’ipotesi che le tinture di vecchia data fossero più pericolose di quelle attuali, così come le tinture più scure rispetto a quelle chiare.
Anche gli studi sulla relazione tra tinture e leucemia hanno mostrato risultati contrastanti. Uno studio caso-controllo, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2004 sull’American Journal of Epidemiology, è stato condotto in una popolazione statunitense e canadese di 769 pazienti con leucemia acuta e 623 individui sani, trovando un legame con l’uso di tinte semipermanenti o temporanee di vecchia concezione. Tuttavia l’aumento di rischio non è statisticamente significativo e non è stato trovato alcun nesso con l’uso di tinte più moderne.
I risultati di un altro studio italiano, del 2005, pubblicati sulla rivista Archives of Environmental and Occupational Health, non hanno invece mostrato alcun legame, se non un lieve incremento di rischio tra gli utilizzatori di colori molto scuri.
Anche in questo caso i risultati sono contradditori. In uno studio aggregato di 17 ricerche non è stata trovata alcuna relazione tra tinte e cancro alla vescica, ma studi più recenti, i cui dati sono stati pubblicati tra il 2005 e il 2011, hanno rilevato un lieve incremento statisticamente non significativo, in particolare con i colori più scuri in chi fa uso personale di tinte per capelli. Gli studi sui professionisti (parrucchieri, coloristi) forniscono invece indicazioni diverse, dimostrando che conta anche la frequenza e il tempo di esposizione.
Alcuni dati pubblicati nel 2007 sulla rivista Critical Reviews in Toxycology hanno mostrato un aumento di rischio di cancro della vescica tra parrucchieri e barbieri. Era già nota la relazione tra questo tipo di tumore e l’esposizione ad alcune ammine aromatiche, che sono però presenti anche in altre sostanze usate da questi professionisti e non solo nelle tinture.
L’American Cancer Society (ACS) è l’unica società scientifica ad aver preso una posizione in merito. La risposta, contiene anche consigli per alcune precauzioni. Nel testo si afferma la necessità di condurre ulteriori indagini e si argomenta sul fatto che i risultati degli studi condotti finora non hanno dimostrato un aumento quantificabile del rischio oncologico. Infatti l’origine degli aumenti rilevati in alcuni di questi studi può anche essere legato ad altre abitudini e comportamenti, oltre all’uso delle tinture per capelli. Tiene inoltre conto del fatto che le sostanze contenute nei prodotti per colorare i capelli sono classificate come cancerogene dalle agenzie regolatorie a concentrazioni molto più elevate di quelle presenti nei prodotti cosmetici e per tempi di esposizione impossibili da raggiungere con un uso normale. Lo stesso accade per moltissime sostanze cancerogene a cui siamo costantemente esposti, dall’alcol alla carne, per fare alcuni esempi pratici. Il testo originale è precedente alla pubblicazione dei dati del “Sister Study” che hanno mostrato un possibile aumento del rischio di cancro del seno nelle donne con una familiarità per la malattia e che utilizzano con frequenza tinture permanenti o prodotti liscianti, ma non per chi usa tinture vegetali o semipermanenti. Tuttavia la posizione dell’ACS, aggiornata a novembre 2022, non è ancora cambiata, verosimilmente a causa dei limiti del “Sister Study” a cui si accennava sopra.
Su questo tema non ci sono studi sufficienti per dare una risposta univoca, e infatti i consigli dei medici variano molto. In linea generale si sconsiglia l’utilizzo delle tinture durante la chemioterapia e nei sei mesi successivi. Non tanto per un eventuale, remoto, rischio carcinogeno, quanto per i cambiamenti della struttura del capello, che tende a ricrescere più fragile (quindi potrebbe cadere nuovamente se trattato in modo aggressivo), e della pelle dello scalpo, più soggetta ad allergie.
Le linee guida degli oncologi medici negli Stati Uniti e Gran Bretagna suggeriscono di evitare le tinture chimiche solo in questi particolari periodi, facendo ricorso a quelle di origine esclusivamente vegetale, come l’henné e altre erbe. Attenzione però alla composizione delle tinture «erboristiche» vedute già pronte: spesso la componente colorante è di origine vegetale (henné o mallo di noce), ma le sostanze fissanti non lo sono. Per esempio contengono quasi tutte acqua ossigenata o composti ossidanti per fissare il colore.
Agenzia Zoe