Ultimo aggiornamento: 8 giugno 2017
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Se ne parla sempre più spesso come di una risorsa formidabile nel campo dell'innovazione, e anche in medicina le nanotecnologie sono considerate un'arma promettente che aiuterà a trovare nuove terapie e nuovi strumenti diagnostici, contribuendo a rendere anche il cancro sempre più curabile.
Se ne parla però anche con qualche preoccupazione. Le stesse ragioni per cui le nanoparticelle entusiasmano - ovvero la caratteristica di poter ottenere dalla materia proprietà nuove in termini per esempio di robustezza, leggerezza e reattività chimica - potrebbero comportare anche nuovi rischi, per la salute umana e per l'ambiente, e richiederebbero quindi una cautela particolare.
Con il termine nanoparticelle si intendono sostanze in cui almeno una delle tre dimensioni fisiche richiede di essere misurata in poche decine di nanometri, ovvero nella scala dei miliardesimi di metro (o milionesimi di un millimetro). È una misura difficile da immaginare: se si visualizza lo spessore di un capello umano, occorre poi provare a immaginare qualcosa di almeno mille volte più piccolo.
Le nanoparticelle possono essere di origine naturale (per esempio prodotte dalla combustione ad alte temperature in particolari condizioni) o artificiale, e in questo caso possono avere forma e dimensioni predefinite o essere il sottoprodotto di una lavorazione industriale.
Da tempo si è scoperto che molte sostanze di cui si pensava di conoscere tutte le caratteristiche presentano, in scala nanometrica, proprietà molto diverse da quelle studiate e note da tempo in scala macro o microscopica. Inoltre si è scoperto che esse possono mutare in modo significativo anche nell'ambito della scala nanometrica, quando vengono modificate anche leggermente forma e dimensioni. In pratica ciascuna variante (materiale, forma, dimensioni) di una sostanza in formato "nano" può dare origine a un comportamento specifico, che richiede di essere valutato con attenzione se entra in contatto con l'organismo umano.
Poiché molti processi biologici avvengono nella scala nanometrica, la possibilità di mettere a punto strumenti piccolissimi per interagire con l'organismo appare molto promettente: per questo le pubblicazioni scientifiche che esplorano potenziali applicazioni - per esempio per la messa a punto di principi attivi e strumenti diagnostici più efficaci, di veicoli capaci di rilasciare il farmaco solo dove serve e di rivestimenti ad alta biocompatibilità per protesi e impianti come stent o pacemakers - sono in crescita, anche se nella maggioranza dei casi lo sviluppo è ancora nelle fasi preliminari.
In ambito oncologico le nanotecnologie possono avere un ruolo di primo piano nel potenziare la diagnosi precoce, come dimostrano le numerose applicazioni già presenti in clinica. Grazie a specifiche nanoparticelle unite a molecole capaci di legarsi al tumore, si possono per esempio amplificare i segnali che vengono letti in esami come la risonanza magnetica o la tomografia computerizzata.
Se la diagnosi sta già godendo dei benefici delle nanotecnologie, le applicazioni terapeutiche sono ancora in fase iniziale, anche se i risultati non mancano. Dal punto di vista farmacologico possono essere utilizzate per ridurre la tossicità dei farmaci, creando nuove formulazioni che riescono a entrare nei tessuti in modo selettivo: è già successo con i taxani, molto usati in oncologia e con molte altre molecole in fase di studio. I principali obiettivi sono portare il principio attivo direttamente all'interno del tumore o delle metastasi, risparmiando i tessuti circostanti, oppure creare una sorta di 'navicella' che permetta di trasportare fino al tumore molecole attive ma troppo instabili perché vi arrivino da sole senza essere degradate per strada.
Sono numerosi i laboratori che in tutto il mondo lavorano per trovare soluzione ai numerosi ostacoli che ancora impediscono alle nanoparticelle di diventare protagoniste della terapia oncologica. Fra questi, il fatto che spesso, quando le nanoparticelle sono legate a un principio attivo (un farmaco antitumorale), esse raggiungono il tumore, ma perdono per strada il loro carico. Risolvere questi problemi permetterà di aggiungere nuovi e potenti strumenti per curare in modo sempre più efficace il cancro.
Dal punto di vista sia della tossicità, sia dell'efficacia, le applicazioni approvate delle nanoparticelle in medicina sono sicure grazie alle regole severe che governano l'introduzione di terapie per gli esseri umani nella routine clinica.
I laboratori che desiderano usare nanoparticelle devono prima di tutto dimostrare che sono innocue per l'organismo. È già accaduto che nanoparticelle studiate con un obiettivo terapeutico abbiano dimostrato di generare problemi a livello cellulare già nella fase sperimentale e per questo siano state eliminate. Quando una nanoparticella arriva alla routine clinica, è già stata ampiamente testata e la sua sicurezza è stata verificata.
L'impiego delle nanotecnologie è oggi in rapidissima crescita. Secondo le stime questo ambito industriale potrebbe valere fino a 75 miliardi di dollari all'anno entro il 2020. Troviamo nanoparticelle nei materiali per costruzioni, nelle materie plastiche, nel packaging, nei cosmetici e nell'industria alimentare (sia come additivi , sia nel contenitore allo scopo di proteggere e conservare meglio e più a lungo gli alimenti), nell'industria dell'energia e della protezione dell'ambiente, nell'industria tessile e dei trasporti, nell'elettronica e in ambito militare.
In pratica si trovano già in moltissimi oggetti o sostanze di impiego quotidiano, talvolta a insaputa dei consumatori.
Questa rapida diffusione, combinata con i risultati di alcuni studi che mostrano effetti negativi delle nanoparticelle a livello delle cellule e persino del DNA, hanno risvegliato le preoccupazioni degli esperti e degli enti di controllo. Uno studio dell'Università della West Virginia, per esempio, ha dimostrato che nanoparticelle di carbonio di forma tubolare possono avere effetti cancerogeni simili a quelli dell'amianto se inalate in ambito professionale.
Il numero delle pubblicazioni scientifiche sui nanomateriali censite nel database PubMed cresce al ritmo di decine di migliaia all'anno, mentre le ricerche che indagano sui potenziali effetti per la salute umana sono circa l'8 per cento del totale, ma rimangono tuttora molte aree di incertezza.
Da anni si è scoperto che gli strumenti con cui da tempo si valuta il rischio di tossicità di sostanze su scala macro- o microscopica non forniscono indicazioni chiare quando si tratta di sostanze in scala nanometrica, come spiega il rapporto europeo "Nanosafety in Europe 2015-2025: Towards Safe and Sustainable Nanomaterials and Nanotechnology Innovations".
La valutazione del rischio associato a una sostanza si basa infatti sull'identificazione del potenziale pericolo, sulla definizione della relazione tra dose e risposta dell'organismo, sull'identificazione e l'analisi della modalità di esposizione e infine sulla valutazione del rischio associato all'esposizione in ambito professionale o domestico.
Per i nanomateriali è necessario raccogliere una gran quantità di dati (oltre a quelli già citati) senza dare per scontato che sostanze inerti o innocue a livello macro o microscopico lo siano anche quando le dimensioni sono nanometriche. Vale anche il contrario: non si può dare per scontato che un test rassicurante su una nanoparticella di una specifica sostanza sia valido anche per una nanoparticella della stessa sostanza ma di forma o dimensione diverse.
Al momento, quindi, la valutazione di sicurezza richiede studi molto approfonditi con la raccolta di enormi quantità di dati su tutte le fasi del cosiddetto "ciclo vitale" del nanomateriale, che con il passare tempo può persino cambiare alcune delle sue caratteristiche.
Questa valutazione approfondita avviene sistematicamente prima di qualsiasi applicazione in campo medico - dove sono le procedure di approvazione a richiederla - e in ambito alimentare, dove una direttiva europea impone che i nanomateriali siano non solo citati in etichetta ma soggetti alla valutazione preventiva del rischio da parte dell'EFSA , l'Autorità europea per la sicurezza alimentare che ha sede a Parma. Finora sono state concesse autorizzazioni solo per alcuni additivi da usare come materiale plastico a contatto con gli alimenti (soprattutto bevande) e di cui è stata esclusa la migrazione nel cibo.
In altri ambiti la valutazione preliminare appare meno scrupolosa: secondo il progetto danese che alcuni anni fa ha cominciato a censire i prodotti di consumo contenenti nanoparticelle, ci sono attualmente in commercio molte centinaia di prodotti per i quali non sono richiesti studi preliminari di sicurezza (i dati sono raccolti nel sito nanodb.dk, che a oggi censisce oltre 3.000 sostanze). Proprio per questa ragione si sta discutendo a livello europeo una nuova normativa che obblighi i produttori a eseguire test di sicurezza su tutte le nanoparticelle e a segnalarne la presenza e la natura in etichetta.
Agenzia Zoe