La nostra è una società che invecchia e lo farà sempre di più in futuro. Nel mondo, entro il 2050 oltre 2 miliardi di persone, ovvero più di una su 5, avranno più di 60 anni. Il doppio rispetto a oggi. E di queste mezzo miliardo avrà più di 80 anni. Una società in progressivo invecchiamento non può permettersi di trascurare dal punto di vista medico e sociale gli anziani o limitarsi a trattarli come dei “vecchi adulti”. Servono, in tutti i settori, attenzioni particolari che tengano conto delle caratteristiche e dei bisogni delle persone in là con gli anni, per garantire loro una buona qualità di vita. Compreso il settore dell’oncologia, tenuto conto che negli anziani si concentra gran parte delle diagnosi di tumore.
Le percentuali cambiano da Paese a Paese, a seconda, tra le altre cose, della composizione demografica della popolazione, dei differenti stili di vita e della disponibilità dei programmi di screening. Detto ciò, i vari tipi di cancro sono, quasi ovunque, malattie soprattutto della vecchiaia. Se si osserva l’incidenza, si vede chiaramente che dopo i 60 anni le curve dei nuovi casi subiscono un’impennata, soprattutto nei Paesi più sviluppati e dove la popolazione è mediamente più vecchia). Qui si stima che poco meno di un terzo di tutte le diagnosi di tumori colpisca persone sopra i 65 anni. In Italia i tumori più comuni negli anziani sono quello alla prostata, al polmone, alla mammella, al colon retto, alla vescica, allo stomaco e al pancreas.
La scoperta e la successiva terapia di un tumore in una persona che ha passato i 65 anni pongono immediatamente problemi legati all’età. Spesso gli anziani hanno già altre patologie, non di rado croniche, e assumono vari farmaci che possono interferire con le cure anticancro. Inoltre, talvolta non sono in grado di intendere pienamente.
Oggi ci si stupirebbe se un bambino malato di cancro non fosse affidato alle cure di un oncologo pediatra; allo stesso modo, un settantenne che necessita di una terapia anticancro dovrebbe ricevere il trattamento da parte di un oncologo geriatra, anche se è impensabile che alla gestione dei pazienti non partecipino anche altri specialisti.
L’oncologia geriatrica incontra anche ostacoli sociali e culturali poiché i malati con più di 65 anni fino alla prima metà del secolo scorso non vivevano abbastanza a lungo per trarre giovamento da una terapia antitumorale. Con l’aumento dell’aspettativa di vita, molti studi affidabili effettuati negli ultimi anni hanno dimostrato che le cure funzionano anche in queste fasce di età e che allungano la vita e ne migliorano la qualità. Esse devono però essere opportunamente calibrate e, inoltre, nel programma terapeutico devono essere tenuti in considerazione anche altri elementi che caratterizzano la salute e le malattie della terza età. Tra questi vi sono aspetti sociali, la condizione e le volontà dei familiari, il livello di istruzione dei malati, i loro sentimenti e atteggiamenti nei confronti della malattia e delle cure.
Tutto questo richiede un enorme impegno da parte dei medici coinvolti, che non possono essere solo gli oncologi o i geriatri esperti di tumori, ma occorre coinvolgere gruppi multidisciplinari con fisioterapisti, specialisti della terapia del dolore, infermieri, farmacisti, personale per l’assistenza domiciliare, nutrizionisti e psicologi. Questo è ancora un obiettivo ideale più che la realtà, perché, come denunciano alcuni esperti, nella pratica clinica spesso questo dialogo tra più discipline, a partire dall’oncologia e dalla geriatria, ancora manca, anche a causa di carenze di personale.
Fino a non molto tempo fa la cura di un anziano malato di cancro era empirica: sulla base dell’esperienza personale, il medico adattava protocolli che erano stati messi a punto in sperimentazioni cliniche con pazienti di altre fasce d’età, dato che le persone sopra i 65 anni o quelle che avevano altre malattie oltre al cancro erano escluse da questi studi. Tale approccio poteva avere varie conseguenze: terapie somministrate in dosi sbagliate per eccesso o per difetto, interazioni con altri farmaci, tossicità imprevista dovuta al funzionamento non ottimale del cuore, del metabolismo epatico o renale, rinuncia ingiustificata a cure efficaci e così via.
Nell’ultimo decennio, invece, sono partite le prime ricerche di base e le prime sperimentazioni cliniche di protocolli di cura o di diagnosi dedicate a questa categoria di pazienti. Inoltre, si analizzano retrospettivamente dati provenienti da grandi archivi, dai quali si possono trarre conclusioni valide a livello generale. Ciò ha avuto immediate ricadute nella pratica clinica, per cui oggi i pazienti sono inquadrati tenendo conto non solo della patologia oncologica, ma anche delle loro condizioni generali.
Per tenere in considerazione tutte le variabili cliniche, negli anni Novanta del secolo scorso è stata introdotta la cosiddetta Valutazione geriatrica multidimensionale (VGM), un programma nel quale si inseriscono tutti i dati medici riguardanti il paziente anziano e che possono influenzare il suo stato di salute e la sua autonomia. Così, accanto alla presenza di comorbidità, terapie e stato nutrizionale, vengono valutate anche le funzioni cognitive e le condizioni socioeconomiche, oltre ad altri possibili problemi tipici degli anziani, come per esempio incontinenza e osteoporosi.
Lo scopo è stabilire se il paziente anziano è in grado di affrontare la cura. Inoltre, si cerca di prevedere le possibili conseguenze di decisioni terapeutiche come, per esempio, un intervento chirurgico o una dieta particolarmente limitata. Le VGM permettono di suddividere i pazienti in categorie in funzione del livello di fragilità, in modo da identificare i soggetti che, per presenza di fattori medici e sociali, sono più a rischio di altri di effetti collaterali, disabilità, morte o complicazioni. Così, accanto a pazienti anziani che godono di buona salute e possono essere trattati come i pazienti più giovani, ce ne sono alcuni per i quali è richiesta una maggiore attenzione, ma la cui condizione non costituisce, di per sé, un ostacolo alla cura. E altri ancora, i più fragili, le cui condizioni sono così precarie da far preferire un piano di terapie di supporto e, se necessarie, del dolore (cure palliative). In questo modo è possibile calibrare gli interventi, evitando ai più vulnerabili il rischio di tossicità eccessive, somministrando invece terapie a chi può trarne beneficio.
La stesura di una VGM prevede il contributo di diversi specialisti, oltre che dei pazienti e dei loro familiari, che mettono in risalto i punti critici, in modo da formulare un programma il più possibile completo, preciso e mirato. Questo prevede una serie di interventi non direttamente connessi con la situazione oncologica, ma altrettanto importanti. L’anemia, per esempio, è una condizione assai comune tra gli anziani ed è aggravata dalle cure anticancro: se non se ne tiene conto può far diminuire l’effetto delle terapie stesse e quindi la probabilità di sopravvivenza.
Allo stesso modo, se un paziente anziano non è alimentato in modo adeguato o non è assistito psicologicamente in caso di necessità, le conseguenze possono essere molto gravi. Per questo quando si stabilisce un programma di terapia è anche necessario capire se i malati sono in grado di assumere i farmaci, nutrirsi e spostarsi in maniera autonoma: in caso contrario è necessario approntare un piano che includa anche l’assistenza.
Non si può certo eseguire in ambulatorio un intervento al fegato o al polmone. Quando i pazienti sono anziani, però, a volte il ricovero avviene anche quando non sarebbe strettamente necessario, semplicemente perché è più comodo o perché familiari e amici dei malati si sentono più sicuri o non hanno il tempo di accompagnarli in ambulatorio per visite o esami.
Il ricovero, quando non è necessario, non giova al paziente anziano, che fuori dalla propria casa e dalle sue abitudini è spaesato e in ansia. Per evitare la tendenza al “ricovero facile” è necessario innanzitutto sviluppare una rete di servizi efficiente che garantisca per esempio un’assistenza domiciliare completa o un servizio di riabilitazione adatto alle esigenze di chi non è autosufficiente.
Servono poi nuove idee e modelli di assistenza per accompagnare i pazienti dopo l’uscita dall’ospedale. Una volta curata la fase acuta della malattia con un intervento chirurgico o un ciclo di chemioterapia, radioterapia o immunoterapia, inizia una fase che può essere lunga e delicata e che coinvolge sia i malati sia i loro familiari.
Le ASL offrono servizi di assistenza domiciliare che a volte non sono sufficienti, ma possono essere integrati dai familiari, con l’aiuto delle associazioni di volontariato, per garantire le cure più adatte ed efficaci ed evitare nuovi ricoveri in ospedale.
L’ospedalizzazione domiciliare o territoriale è una particolare modalità di assistenza che in pratica trasferisce parte dell’attrezzatura e assistenza ospedaliera a domicilio, mettendo a disposizione dei malati anziani le risorse stabilite in base alle esigenze della persona, come una sorta di abito cucito su misura. Il servizio dovrebbe essere coordinato dal medico di medicina generale, in modo da coprire in modo capillare il territorio. Inoltre, coinvolge infermieri professionali, che forniscono l’assistenza specializzata, e operatori, spesso comunali, che provvedono a bisogni meno clinici ma non meno importanti, per esempio l’igiene personale dei malati. Quando un paziente si rivolge ai servizi di assistenza domiciliare integrata (ADI), disponibili presso molte ASL in Italia, un’équipe specializzata (medico, infermiere professionale, assistente sociale ed eventualmente terapista della riabilitazione) valuta la situazione e prepara un piano di assistenza personalizzato. Il piano viene discusso anche con il malato e la sua famiglia, e viene poi applicato alla vita di tutti i giorni.
Il medico di medicina generale assume il ruolo di responsabile clinico del paziente, mentre gli specialisti ospedalieri sono disponibili per consulenze e coordinano gli aspetti pratici legati ad appuntamenti e controlli richiesti dal medico che segue l’anziano. Infine, i servizi sociosanitari del comune organizzano le altre figure necessarie alle cure igieniche e alla preparazione dei pasti, se necessario.
Redazione
Articolo pubblicato il:
6 novembre 2023