Ultimo aggiornamento: 10 ottobre 2019
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Le terapie cellulari rientrano tra le cosiddette terapie avanzate, in grado di offrire nuove e innovative opportunità di trattamento. Nello specifico, utilizzano una preparazione di cellule o tessuti manipolati in laboratorio, in modo che le caratteristiche siano modificate.
L'oncologo pediatra Andrea Biondi parla delle terapie cellulari CAR-T.
Con il termine CAR–T, Chimeric Antigen Receptor (cellule T con recettore chimerico dell’antigene), si definisce un tipo di trattamento in cui i linfociti T prelevati da un paziente vengono reinfusi nel suo organismo dopo essere stati modificati geneticamente in laboratorio per potenziarne l’azione contro il tumore. I linfociti T sono cellule fondamentali del sistema immunitario, una delle armi più potenti che il nostro organismo ha a disposizione per contrastare lo sviluppo di numerose malattie infettive e non solo. Nella tecnica per produrre CAR-T, nel DNA dei linfociti T viene inserito, tramite un vettore virale reso inattivo, un gene che fa esprimere un recettore detto CAR. Questa proteina trasforma i linfociti T in una sorta di killer delle cellule tumorali che in superficie portano un bersaglio specifico, riconosciuto appunto dal CAR. Il CAR, recettore chimerico per l’antigene, deve il suo nome al fatto di essere costituito da porzioni di molecole diverse assemblate in laboratorio, così come la mitologica chimera è composta da parti di diversi animali.
Si tratta di un trattamento personalizzato, sviluppato individualmente per ogni paziente, che viene somministrato una tantum. La terapia CAR-T rappresenta una delle forme più avanzate di immunoterapia antitumorale.
Le cellule Natural Killer, NK in sigla, sono linfociti molto attivi nel riconoscere e attaccare tumori e patogeni. Sono cellule “nate per uccidere”, ed è stato accertato che se le loro funzioni sono compromesse aumenta il rischio di diversi tipi di cancro. Nella terapia a base di cellule NK, queste cellule non vengono prelevate dallo stesso paziente ma da un donatore sano (in alcune sperimentazioni sono ottenute dal sangue del cordone ombelicale) e sempre con la tecnica utilizzata per le CAR-T vengono prima ingegnerizzate e poi infuse nel paziente.
L’utilizzo di cellule CAR-NK è oggetto di diversi studi sperimentali per il trattamento sia dei tumori ematologici sia di quelli solidi, come per esempio il cancro all’ovaio e il glioblastoma.
Le cellule CIK (Cytokine Induced Killer) sono particolari linfociti T che uniscono all’attività citotossica dei T quella antitumorale delle cellule Natural Killer. La terapia CAR-CIK si basa sull’impiego di linfociti di donatori compatibili e di tecniche di ingegnerizzazione semplificate e meno costose rispetto a quelle utilizzate per produrre le CAR-T, che non prevedono l’impiego di vettori virali ma di trasposoni (particolari sequenze di DNA definite “mobili”), considerati più sicuri. È una strategia sperimentale, nata in Italia grazie anche al sostegno di AIRC, messa a punto da ricercatori dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo guidati da Alessandro Rambaldi e dal team di Andrea Biondi dell’Ospedale San Gerardo di Monza. Al momento è sperimentata in pazienti con leucemia linfoblastica acuta in recidiva o resistente agli altri trattamenti.
Le cellule TIL sono i linfociti infiltranti i tumori, ovvero linfociti del paziente che già “riconoscono” la malattia, ma non sono capaci di sconfiggerla. Uno scenario promettente che sfrutta i TIL arriva da uno studio sperimentale del National Cancer Institute di Bethesda, condotto su una donna con tumore al seno metastatico che non rispondeva ad altri trattamenti. I risultati sono stati pubblicati su Nature Medicine a giugno 2018. I ricercatori hanno messo a punto una forma modificata di terapia cellulare altamente personalizzata che ha permesso di identificare e selezionare i TIL più capaci nel riconoscere il tumore della paziente. Li hanno poi cresciuti in coltura e reinfusi nella donna a cui è stato anche somministrato pembrolizumab, un inibitore di checkpoint. A distanza di 22 mesi dal trattamento il carcinoma metastatico era scomparso, si è ottenuta cioè la completa remissione. Si tratta di un primo risultato, certamente importante, ma che deve essere confermato da altre ricerche che utilizzino la stessa procedura.
Le terapie cellulari che utilizzano linfociti ingegnerizzati sono state inizialmente sviluppate per la cura dei tumori ematologici, dando risultati nel trattamento di leucemie e linfomi di tipo B, mentre proseguono le sperimentazioni per altri tumori del sangue come la leucemia linfatica cronica e il mieloma multiplo. Molte ricerche sono ancora in corso per studiarne l’efficacia anche nei tumori solidi come per esempio quelli dell’ovaio, del seno, del polmone, del pancreas, il neuroblastoma e il glioblastoma.
La prima terapia cellulare approvata in Italia dall’AIFA nell’agosto 2019 è quella con CAR-T denominata tisagenlecleucel, indicata per pazienti fino a 25 anni di età con leucemia linfoblastica acuta (LLA) a cellule B e per pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL), resistenti alle altre terapie o nei quali la malattia sia ricomparsa dopo una risposta ai trattamenti standard. Può essere prescritta e utilizzata presso i Centri specialistici selezionati dalle Regioni.
In Italia, grazie anche al sostegno di AIRC, l’uso di terapie CAR-T nella leucemia linfoblastica del bambino ha già dato risultati in fase sperimentale all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, con il gruppo guidato da Franco Locatelli, e all'Ospedale San Gerardo di Monza, con a capo della ricerca Andrea Biondi, dove nel 2016, nell’ambito dello studio per la registrazione del tisagenlecleucel, è stata trattata in via sperimentale la prima bambina italiana.
Lo stesso Locatelli ha condotto uno studio, sostenuto da AIRC, Ministero della salute e Regione Lazio, in cui l’editing genetico prevede anche l’inserimento della Caspasi 9 (in sigla iC9), una sorta di gene “suicida” in grado di bloccare i linfociti T modificati, attivabile qualora si presentassero degli effetti collaterali a causa dei trattamenti con CAR-T. Il primo paziente trattato all’inizio del 2018 è stato un bambino di 4 anni affetto da leucemia linfoblastica acuta di tipo B cellulare che aveva già avuto due ricadute della malattia; nel giro di poco tempo dall’infusione la malattia del bambino è andata in remissione, ovvero non c’erano più tracce di cellule leucemiche nel suo midollo osseo. Il team di Locatelli sta lavorando per utilizzare questa tecnica anche contro il neuroblastoma, il tumore solido più frequente in età pediatrica; altre possibili applicazioni potrebbero essere le terapie contro il mieloma multiplo e il linfoma non Hodgkin a cellule B.
Il progetto INCAR (Innovative CAR Therapy Platform), guidato da Andrea Biondi dell’Università degli Studi di Milano Bicocca e Ospedale San Gerardo di Monza, si pone invece l'obiettivo di rendere i trattamenti con CAR-T più accessibili ed economici, elaborando metodi di produzione che permettano di sviluppare ulteriormente questa terapia per poterla applicare anche ad altri tipi di tumori. INCAR è sostenuto da Accelerator Award, il programma internazionale nato nel 2018 da tre organizzazioni non profit: la britannica Cancer Research UK (CRUK), la spagnola Fundación Científica - Asociación Española Contra el Cáncer (FC AECC) e l’italiana Fondazione AIRC.
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Michela Vuga