Ultimo aggiornamento: 8 gennaio 2025
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Ogni tumore richiede un approccio diverso e, spesso, anche tempi di cura diversi. In generale, più una diagnosi è precoce più la cura può essere tempestiva ed efficace. Ci sono però delle eccezioni. Alcuni tumori, come quello del testicolo, rispondono bene alle chemioterapie e possono guarire completamente anche quando hanno già dato luogo a metastasi. Altri tumori, invece, come alcuni tumori cerebrali, sono difficilmente curabili anche quando sono iniziali e localizzati.
In genere si considera guarita una persona che non manifesta più segni o sintomi di malattia dopo 5 anni dal termine delle cure e ha un’aspettativa di vita analoga a quella di coetanei che non hanno mai avuto un tumore. In alcuni casi, come per alcune forme di tumore polmonare o della prostata, si preferisce aspettare 10 anni prima di sciogliere la prognosi. Questo non significa che la persona sia sottoposta continuamente a cure, anzi: spesso queste si concentrano nei primi mesi dopo la diagnosi e, in seguito, si procede solo con controlli periodici per verificare l’eventuale presenza di cellule tumorali residue o la ripresa di malattia.
Semplificando, i tumori si manifestano in modalità che nella pratica clinica sono distinte in più fasi. In fase precoce si ha in genere la malattia iniziale, o localizzata, in cui è presente solo un tumore in un’unica sede. Dopo il trattamento locale può poi seguire l’eventuale fase delle recidive, in cui la malattia si ripresenta nello stesso organo (recidiva locale) o a distanza (recidiva metastatica). Infine, si parla di tumore disseminato se le cellule maligne sono uscite dall’organo di origine, colonizzando altri organi, anche a distanza con le metastasi. I tumori del sangue sono per loro natura diffusi fin dall’inizio, ma si distinguono anch’essi in 3 possibili fasi: iniziale, di malattia minima residua e di recidiva.
Per combattere i tumori, la medicina ha a disposizione diversi strumenti e trattamenti, prescritti singolarmente o in combinazione tra loro, a seconda del tipo di tumore, delle sue caratteristiche e dei pazienti.
Talvolta sui media si parla di terapie oggetto di studi clinici che potrebbero essere potenzialmente rivoluzionarie per alcuni tipi di tumori. Capita quindi che pazienti oncologici si chiedano se potrebbero fare al caso loro. Tuttavia, ci sono molti aspetti tecnici da considerare, a partire dal significato di termini che sembrano simili ma che non lo sono.
Per esempio, la parola “cura” ha un significato diverso in italiano e in inglese, la lingua in cui è scritta gran parte della letteratura medica specialistica. La parola “cure” in inglese viene usata per indicare un trattamento con finalità di guarigione, mentre in italiano non è così: si parla di cura anche quando non ci si può liberare della malattia, ma il trattamento rende possibile convivere a lungo con un cancro.
Un altro esempio è la differenza fra uno studio preclinico, che si effettua in laboratorio, e uno clinico, che coinvolge gruppi più o meno numerosi di volontari sani e malati.
Anche lasciando da parte i contenuti meno attendibili, i media spesso riportano dati che si riferiscono a fasi molto iniziali di una ricerca su una nuova terapia. Ciò significa che le prove di efficacia sono promettenti, ma ancora insufficienti per poter offrire la terapia, una volta approvata, a tutti i pazienti. Ciò vale anche per risultati scientifici di prim’ordine, pubblicati su riviste di grande valore, come The Lancet o il New England Journal of Medicine. Per confermare l’efficacia e la sicurezza di un trattamento occorrono infatti anni, per approfondire la sicurezza e l’efficacia in fasi di studio sempre più approfondite e specifiche, prima in laboratorio e poi in ampi gruppi di pazienti. Ci possono volere anche 15 anni per arrivare alla conferma della sicurezza e dell’efficacia di un trattamento negli esseri umani.
Vi sono poi risultati considerati a volte strabilianti in termini di remissione della malattia, ma che riguardano solo piccoli gruppi di malati. A volte in effetti si leggono storie di persone con una malattia avanzata che sono ancora in buona salute a vent’anni dalla diagnosi, a fronte di una sopravvivenza media molto più modesta degli altri pazienti trattati con la medesima terapia. Ciò può accadere perché non tutti i tumori sono uguali e non tutti i pazienti sono uguali. Per questo motivo spesso i medici si trovano costretti a ridimensionare loro malgrado gli entusiasmi dei pazienti che hanno letto notizie di questo tipo su internet.
Il primo passo è chiarire il senso del percorso proposto dal medico. È importante distinguere tra terapie a fini curativi, trattamenti di mantenimento e terapie palliative.
In sintesi, il medico spiega al paziente:
In ogni caso la strategia non è predefinita, ma si calibra nel tempo, in relazione alla risposta alle terapie.
Dopo aver chiarito lo scopo del trattamento proposto, è bene chiedere al medico quanto a lungo possono durare i benefici. La risposta non sempre è precisa, perché può dipendere da caratteristiche individuali della persona, ma talvolta è possibile ipotizzare un quadro verosimile.
È importante che un paziente, nel momento in cui si affida a un medico per una terapia antitumorale, abbia chiari quali possano essere gli effetti collaterali e di quale intensità. Anche se non tutti i malati rispondono nello stesso modo agli stessi farmaci, il medico può dare in anticipo indicazioni di massima su quali sono gli effetti più fastidiosi, quanto sono invalidanti, quanto a lungo possono durare e con quale frequenza si presentano. Ciò consentirà ai pazienti di programmare meglio la propria vita durante il periodo della cura.
In alcuni casi il tumore può tornare anche dopo uno o più cicli di trattamento. La recidiva si manifesta nello stesso sito in cui si è presentata la malattia la prima volta ed è dovuta alla permanenza in forma quiescente (ovvero di “riposo”) di alcune cellule maligne che hanno resistito alla chirurgia e ai trattamenti radioterapici e chemioterapici. Quando la malattia si ripresenta, invece, in un altro punto del corpo, si tratta di metastasi o tumori secondari. Ciò accade perché alcune cellule cancerose si sono diffuse nell’organismo.
Una delle principali ragioni all’origine della resistenza farmacologica è la cosiddetta eterogeneità del tumore, cioè la coesistenza all’interno dello stesso tumore di cellule diverse, che quindi non rispondono al farmaco tutte allo stesso modo. Una parte consistente della ricerca sul cancro è volta a capire come gestire questo problema. Le domande a cui cerca di rispondere la scienza sono essenzialmente:
Grazie alla ricerca, oggi si può rispondere in parte a queste domande. I ricercatori hanno per esempio chiarito alcuni dei meccanismi alla base dell’insensibilità dei tumori al trattamento: alcuni sono genetici, altri epigenetici, altri ancora sono legati al metabolismo o al sistema immunitario dei pazienti. Sappiamo inoltre che anche il microambiente tumorale, cioè l’ambiente in cui il tumore prolifera, può talvolta favorire le resistenze ai trattamenti.
Una possibile strategia è riuscire a intercettare il prima possibile la resistenza in ogni paziente, in modo da scegliere altri approcci terapeutici. In quest’ottica potrebbe essere di aiuto la biopsia liquida, un metodo ancora sperimentale con cui si analizza un fluido (per esempio il sangue) prelevato dal paziente per individuare e analizzare eventuali frammenti di DNA tumorale circolante. Tale presenza potrebbe segnalare la ripresa di malattia prima che questa possa essere rilevata con altre tecniche diagnostiche. Un esempio è l’utilizzo (sempre sperimentale) della biopsia liquida nei pazienti con carcinoma polmonare con mutazione del gene EGFR per individuare precocemente i meccanismi di resistenza legati alla mutazione T790M, presente in molti pazienti trattati con inibitori specifici di EGFR.
I tumori sono malattie a volte difficili da trattare e non in tutti i casi sono purtroppo curabili. Grazie alla ricerca sono però disponibili sempre più trattamenti mirati, più sicuri ed efficaci. Non è raro, quindi, che si senta parlare di presunte soluzioni semplici e definitive per trattarli. Purtroppo, però, la ricerca scientifica non ha ancora trovato una cura definitiva per tutti i tipi di tumore. Secondo chi propone terapie “miracolose”, gli interessi di non meglio precisati “potenti” impedirebbero di rendere pubblico il beneficio reale di terapie poco costose. In realtà spesso, anche se non sempre, proprio chi propone queste terapie miracolose ha interessi economici o di visibilità.
Per qualsiasi dubbio è bene verificare su più fonti autorevoli, per le quali è cioè possibile risalire alle fonti scientifiche originali, agli autori dei contenuti e a un eventuale comitato scientifico composto da membri della comunità scientifica internazionale. Quest’ultima può trovarsi in disaccordo sul significato dei risultati di una ricerca o sul senso di investire in una o in un’altra direzione, ma non è mai in discussione il metodo scientifico. Quest’ultimo si basa su ricerche e controlli sperimentali rigorosi, sulla pubblicazione dei risultati ottenuti e sulla possibilità da parte di altri membri della comunità scientifica di verificare e riprodurre i dati pubblicati.
Alcuni campanelli d’allarme per riconoscere una pubblicità ingannevole sono i seguenti:
Oggi esistono sistemi sofisticati di intelligenza artificiale in grado di rispondere alle nostre domande in ambito medico: pensiamo a ChatGPT, a Bard e a Gemini. Diversi studi hanno interrogato questi sistemi e hanno evidenziato che possono dare risposte corrette a molti quesiti a tema medico, soprattutto se il sistema viene interrogato attraverso più domande, permettendo di inquadrare meglio che cosa vogliamo sapere. Tuttavia, talvolta commettono degli errori e le fonti riportate possono essere poco attendibili o addirittura inventate. Occorre infatti fare attenzione alle diverse funzioni assolte dai differenti sistemi di intelligenza artificiale. Per esempio, gli strumenti come ChatGPT non sono motori di ricerca, che trovano informazioni e le mettono insieme, bensì simulatori di conversazione: danno solo l’illusione, per quanto convincente, di capire e parlare la nostra lingua. In inglese la loro abilità si chiama Natural Language Processing.
Il quesito rimane: possiamo fidarci dell’intelligenza artificiale? La risposta è complicata, dato che si tratta di tecnologie relativamente nuove. La scienza, inclusa la medicina, sta iniziando a sfruttare sistemi di intelligenza artificiale perché consentono di processare e analizzare grandi quantità di dati in tempi brevissimi – un risultato che altrimenti sarebbe impossibile. Un conto però è processare informazioni, aiutare a fare sintesi, individuare correlazioni in modo più veloce e mirato; altra cosa è valutare cosa è meglio fare in una specifica situazione. Si può scegliere di essere cittadini e pazienti informati anche usando questi sistemi, ma con le pinze e senza mettere in discussione la costruzione di competenze e soprattutto il valore dello spirito critico della comunità scientifica internazionale e dei medici a cui occorre sempre rivolgersi in caso di malattia.
Le informazioni presenti in questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Autore originale: Agenzia Zadig
Revisione di Cristina Da Rold in data 08/12/2024
Agenzia Zadig