Ultimo aggiornamento: 31 gennaio 2025
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Gli anticorpi, o immunoglobuline, sono proteine prodotte dai linfociti B (un tipo di cellule del sistema immunitario). Ogni anticorpo è capace di riconoscere uno specifico antigene, ossia un particolare sito presente per esempio sulla superficie di un patogeno o di una cellula tumorale, e di formare un legame con questo.
Il legame tra un anticorpo e il proprio antigene fa parte della risposta immunitaria acquisita, in genere preceduta dalle azioni del sistema immunitario innato. Quest’ultima è una forma di difesa più antica e generalista, che coinvolge cellule come i macrofagi, numerosi processi infiammatori e il rilascio di molecole come le citochine. Queste ultime, insieme anche a cellule come le cosiddette Treg, ossia linfociti T regolatori, sono in grado di richiamare i linfociti B nel sito di infiammazione, dove si trova per esempio un’infezione o un tumore. Il richiamo serve anche da stimolo affinché i linfociti B producano grandi quantità di anticorpi specifici per il “nemico” da legare e distruggere.
Capire quali sono i numerosi e diversi antigeni presenti sulla superficie di ogni cellula tumorale può consentire di sviluppare specifici anticorpi monoclonali, ovvero anticorpi prodotti in laboratorio in modo che leghino in maniera selettiva un singolo antigene. Sono detti “monoclonali” perché sono prodotti a partire da un solo clone, a differenza di quanto avviene con gli anticorpi policlonali, prodotti a partire da cloni diversi.
Gli anticorpi monoclonali rientrano nel novero delle terapie mirate contro il cancro, anche dette a bersaglio molecolare (in inglese “targeted therapy”). Oggi sono utilizzati comunemente, da soli in alcuni casi oppure in combinazione con altri agenti antitumorali come i chemioterapici. Gli anticorpi monoclonali sono anche alla base delle recenti immunoterapie dirette contro i cosiddetti checkpoint immunitari, molecole che, se inibite, possono permettere al sistema immunitario di attaccare con maggiore efficacia il cancro.
Gli anticorpi monoclonali possono essere di diversi tipi in base al modo in cui agiscono. In ambito oncologico, grazie agli anticorpi monoclonali si può:
Abbiamo già anticipato che alcuni anticorpi monoclonali sono coinvolti nelle cosiddette immunoterapie. Per esempio, sono anticorpi monoclonali alcuni inibitori dei cosiddetti checkpoint immunitari, ovvero proteine che si trovano sulla superficie dei globuli bianchi e frenano la risposta immunitaria affinché non si protragga oltre il dovuto, causando infiammazione e danni all’organismo. Il cancro può interferire con i checkpoint immunitari facendo sì che i linfociti non reagiscano contro il tumore. Anticorpi monoclonali come il nivolumab (anti-PD1) possono rimuovere tali freni, ripristinando la risposta immunitaria contro il tumore.
Gli inibitori dei checkpoint immunitari stanno cambiando la prognosi di alcuni tipi di tumore. Tuttavia, i freni del sistema immunitario sono numerosi, e non tutti i checkpoint immunitari purtroppo hanno ancora il “proprio” anticorpo monoclonale. I farmaci oggi in commercio sono in particolare mirati contro la proteina PD-1 (cemiplimab, dostarlimab, nivolumab e pembrolizumab), PD-L1 (durvalumab, atezolizumab e avelumab) o CTLA-4 (ipilimumab e tremelimumab), anche se ve ne sono molti altri in sperimentazione. I primi risultati in termini di aumento della sopravvivenza sono stati ottenuti contro il melanoma in fase metastatica e contro tumore del polmone già trattati con la chemioterapia, ma nel giro di pochi anni le indicazioni degli anticorpi diretti contro i checkpoint immunitari sono aumentate notevolmente.
Oggi gli inibitori di checkpoint immunitari sono un trattamento standard per:
Negli ultimi anni, i risultati di numerosi studi hanno documentato l’efficacia degli anticorpi diretti contro i checkpoint immunitari anche come trattamento preoperatorio oppure post-operatorio nei casi in stadio precoce. Questo vale, per esempio, per i tumori del polmone, del rene, della vescica, del retto, dell’esofago e per alcuni tipi di tumore della mammella.
Per quanto le immunoterapie siano efficaci, non tutti i pazienti rispondono. Per i tipi di tumore che finora si sono rivelati insensibili all’immunoterapia sono in corso studi per renderli più “caldi”, ossia più attivi dal punto di vista delle reazioni di difesa.
Gli anticorpi monoclonali possono essere progettati in diversi modi a seconda dell’obiettivo terapeutico.
Georges Kolher, César Milstein e Niels Jerne vinsero nel 1984 il Premio Nobel per la fisiologia o la medicina per aver messo a punto la prima tecnica per la produzione degli anticorpi monoclonali. Si trattava di fondere un linfocita B in grado di produrre uno specifico anticorpo con una cellula di mieloma capace di produrre anticorpi con straordinario vigore. Da tale cellula ibrida, anche chiamata ibridoma, sarebbero state rilasciate grandi quantità soltanto dell’anticorpo desiderato. Da allora gli anticorpi monoclonali hanno avuto un impatto straordinario, soprattutto nelle malattie del sangue, ma non solo. Oltre che per il trattamento di tumori ematici quali leucemie, linfomi e mielomi, si sono dimostrati essenziali in fase diagnostica (per la classificazione delle neoplasie ematologiche acute e croniche, in base alla presenza nei campioni di analisi di determinati antigeni), per il monitoraggio della malattia sia durante sia dopo la terapia e per l’eventuale diagnosi di recidiva.
Il rituximab è stato il primo anticorpo monoclonale che ha dimostrato una evidente efficacia clinica, in associazione con la chemioterapia, in primo luogo nei linfomi non-Hodgkin a cellule B e nella leucemia linfatica cronica. Di fatto, si è aperto un nuovo capitolo nel trattamento di queste neoplasie: quello della chemio-immunoterapia. La combinazione ha rivoluzionato l’approccio terapeutico, aumentando le risposte cliniche e migliorando la prognosi di molti pazienti. Per alcune neoplasie ematologiche si è osservato che il rituximab è utile anche come terapia di mantenimento, ovvero per tenere la malattia sotto controllo dopo un trattamento iniziale (per esempio una chemioterapia).
Sono poi stati sviluppati ulteriori anticorpi:
Gli anticorpi monoclonali bispecifici sono efficaci e usati anche per i linfomi non-Hodgkin, il mieloma multiplo e la leucemia mieloide acuta.
Da anni anche il trattamento standard di numerose neoplasie solide comprende l’impiego di anticorpi monoclonali. Per esempio, nei pazienti affetti da carcinoma del colon avanzato il trattamento standard comprende la chemioterapia combinata con un anticorpo monoclonale diretto contro l’Epidermal Growth Factor Receptor (il cetuximab oppure il panitumumab) o con un anticorpo diretto contro il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (il bevacizumab). Quest’ultimo agisce contro l’angiogenesi, ovvero la produzione di vasi sanguigni che rappresenta un fattore importante per la crescita e la proliferazione di molti tipi di tumore. Infatti, è stato impiegato in varie neoplasie oltre che contro quella del colon-retto, per esempio contro i tumori del polmone, del rene e della cervice uterina.
Il trastuzumab (anticorpo monoclonale anti-HER2) è probabilmente uno dei farmaci che più ha rivoluzionato il trattamento del tumore della mammella, in particolare dei casi di tipo HER2-positivo, in genere più difficili da trattare di altre forme di tumore del seno. Usato dalla fine del Novecento nei casi metastatici, dal 2005 è diventato parte importante del trattamento dei casi diagnosticati in stadio precoce, modificando sostanzialmente la prognosi dei casi HER2-positivi. Il trastuzumab è stato poi impiegato anche nei casi di tumore dello stomaco HER2-positivi.
Negli ultimi anni, gli anticorpi monoclonali coniugati, cioè combinati con altri farmaci come alcuni chemioterapici, stanno producendo risultati molto importanti in numerose neoplasie solide. Per esempio, il trastuzumab emtansine (TDM1) e il trastuzumab deruxtecan sono diventati parte del trattamento standard del tumore della mammella HER2-positivo, mentre l’enfortumab vedotin ha prodotto risultati interessanti nei pazienti affetti da tumore della vescica. È probabile che questi farmaci nei prossimi anni acquisiranno uno spazio progressivamente crescente nel panorama dei trattamenti dei tumori solidi.
Gli anticorpi monoclonali vengono somministrati per via endovenosa, ovvero in ospedale tramite infusione. Qualche anticorpo monoclonale può essere somministrato anche per via sottocutanea.
La frequenza del trattamento dipende dal tipo di tumore e dal farmaco che si utilizza. Solitamente la durata dell’infusione endovenosa è di alcune ore, a seconda anche del dosaggio richiesto.
In molti casi questi anticorpi vengono somministrati in combinazione con altri farmaci, tra cui chemioterapici o farmaci per la terapia ormonale.
Anche gli anticorpi monoclonali, come tutti i farmaci, presentano dei possibili effetti collaterali. Una possibilità è l’allergia al farmaco, che si manifesta con difficoltà respiratorie, febbre, brividi, eruzioni cutanee, nausea, diarrea, stanchezza, sensazione di svenimento. In genere si presenta dalle prime fasi di somministrazione, ed è per questo che alla prima infusione si procede molto lentamente, di modo da introdurre il farmaco poco per volta.
Alcuni anticorpi monoclonali possono causare anche effetti avversi (in relazione all’antigene a cui si legano). Tra questi, emorragie, ipertensione, trombosi, problemi renali o eruzioni cutanee. Per esempio, gli anticorpi monoclonali anti-fattore di crescita epidermico (anti-EGF), come il cetuximab e il panitumumab, possono provocare un’importante tossicità cutanea perché il loro bersaglio non è espresso solo dalle cellule tumorali, ma anche dalle cellule sane della cute.
Il bevacizumab, interferendo con l’angiogenesi (quindi con i vasi sanguigni), può tipicamente provocare ipertensione, nonché aumentare i rischi di emorragia e di trombosi.
Gli anticorpi coniugati contengono un farmaco chemioterapico che, grazie alla specificità dell’anticorpo per il bersaglio, dovrebbe colpire solo le cellule tumorali e poco le cellule sane. In realtà, questa specificità non è mai totale, per cui alcuni di questi farmaci possono provocare effetti simili a quelli della chemioterapia. Per esempio, possono ridurre il numero di globuli bianchi o indurre nausea, diarrea oppure neurotossicità. Le immunoterapie possono inoltre provocare in alcuni casi tossicità cardiache.
Come tutti i farmaci contro il cancro, anche gli anticorpi monoclonali, tra cui le immunoterapie, possono perdere di efficacia nel tempo. La ragione può risiedere nel fatto che le cellule tumorali possono mutare, perdendo l’antigene a cui si lega l’anticorpo. In tali circostanze il tumore non è più riconosciuto dall’anticorpo e per questo può continuare a proliferare. Si può approfondire l’argomento sulla pagina: La resistenza ai farmaci.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Cristina Da Rold