Ultimo aggiornamento: 13 maggio 2024
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Lo studio del campo visivo per mezzo della perimetria computerizzata (chiamata anche campimetria computerizzata) è un esame importante sia in ambito oculistico sia in quello neurologico. In ambito oculistico viene effettuato, ad esempio, per la diagnosi del glaucoma e per monitorare la sua progressione. In ambito neurologico, invece, viene impiegato per rilevare eventuali danni alla corteccia visiva e alle vie ottiche, le area cerebrali e i nervi implicati nella visione. Tali eventuali danni possono causati da patologie neurologiche o ischemiche, da traumi e da tumori.
In particolare, una riduzione del campo visivo, anche senza altri sintomi, potrebbe essere il segnale della presenza di una massa tumorale che preme sulle strutture circostanti, tra cui le vie ottiche, compromettendone l’attività. È il caso del craniofaringioma, un tumore benigno raro, dalla crescita lenta, che colpisce prevalentemente in età infantile. Anche il macroadenoma ipofisario può causare questi sintomi: è detto “macro-” perché ha un diametro superiore a 1 centimetro. Si tratta di una forma benigna che si sviluppa dalle cellule della ghiandola ipofisaria e che crescendo verso l’alto può comprimere il cosiddetto chiasma ottico (il punto in cui i incrociano i nervi ottici destro e sinistro) provocando alterazioni del campo visivo.
L’esame del campo visivo permette di rappresentare graficamente su una griglia la porzione di spazio che una persona riesce a vedere con lo sguardo puntato dritto davanti a sé. Evidenzia eventuali difetti dell’area campimetrica, ovvero alterazioni del normale campo visivo, che possono dipendere da lesioni della corteccia cerebrale oppure da danni o compressioni delle vie ottiche. Inoltre, consente di capire se la retina della persona esaminata ha perso sensibilità e di quantificare l’eventuale riduzione.
Attualmente si esegue la cosiddetta perimetria computerizzata (chiamata anche campimetria computerizzata) che permette di esaminare in modo sistematico le aree dell’intero campo visivo.
Come molti altri esami oculistici, si effettua al buio. Viene valutato un occhio alla volta, mentre l’altro rimane chiuso. La persona appoggia il mento e la fronte su un supporto e guarda fisso, dritto davanti a sé, verso un preciso punto che non va mai perso di vista. Tale punto di fissazione è posizionato in una “cupola” al cui interno compaiono in successione, in posizione variabile, alcuni stimoli luminosi di diversa intensità: la persona sotto esame deve schiacciare un pulsante appena vede gli stimoli. La ridotta o assente risposta a uno o più stimoli luminosi indica che c’è un problema. In questo modo è possibile valutare, per ogni area del campo visivo, la cosiddetta sensibilità soglia, ossia il livello minimo di luminosità percepito. Al termine dell’esame il computer elabora immediatamente i dati tracciando una mappa in scala di grigi dove le tonalità più scure corrispondono alle aree di minore o nessuna sensibilità alla luce.
L’esame non presenta controindicazioni o particolari difficoltà, ma richiede una certa collaborazione da parte delle persone.
Per analizzare entrambi gli occhi sono necessari, con apparecchi di ultima generazione, al massimo 25 minuti.
No, ma è possibile che la prima volta si ottenga un risultato poco preciso e si debba ripetere l’esame dopo qualche tempo.
Non occorre essere accompagnati e si può guidare la macchina per tornare a casa.
No, l’esame non è doloroso. Non è invasivo, non si usano farmaci per dilatare la pupilla e non provoca nessun tipo di disagio.
Non comporta né rischi immediati né a lungo termine. Necessita solo dell’attenzione necessaria per guardare ininterrottamente il punto di fissazione. Se necessario, l’esame si può interrompere per far rilassare la persona e ripartire dallo stesso punto.
Dopo l’esame si può andare a casa senza problemi.
Si può riprendere da subito la propria vita normale in completa tranquillità.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Michela Vuga