Gli aspetti psicologici ed emotivi della fase di follow-up

La fase di follow-up, in cui i medici monitorano lo stato di salute dei pazienti dopo il trattamento, può essere molto delicata.

Ultimo aggiornamento: 8 luglio 2024

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Introduzione

Fortunatamente, oggi le persone che ricevono una diagnosi di tumore sopravvivono sempre di più rispetto al passato. In Italia si stima che il 65 per cento circa dei malati di tumore sia vivo a distanza di 5 anni dalla diagnosi e il 39 per cento lo sia quando sono passati 10 anni. Per alcuni tipi di tumore l’aspettativa di vita è addirittura simile a quella di persone che non si sono ammalate, e in questi casi si può parlare di guarigione.

Follow-up: una nuova fase della malattia e della vita

Sopravvivere a un tumore significa superare la fase acuta della malattia. Questa termina quando non occorrono più i trattamenti e si passa ai controlli. In gergo medico queste visite ed esami, via via più distanziati nel tempo, prendono il nome di follow-up o di prevenzione terziaria. In questa fase i medici monitorano lo stato di salute dei pazienti per individuare i possibili effetti collaterali anche a lungo termine delle terapie e l’eventuale ricomparsa della malattia.

Rispetto all’intenso periodo delle terapie, pieno di incertezze, la fase del follow-up può sembrare più leggera. In realtà sono comunque appuntamenti molto delicati per i pazienti e i loro familiari. Innanzitutto, perché i trattamenti e l’impegno che hanno richiesto, tanto a livello clinico quanto a livello personale e lavorativo, ancora gravano sulle persone. Poi, anche se le terapie hanno funzionato, non è ancora possibile lasciarsi tutto alle spalle e vivere senz’ansia per il futuro. A volte possono anche comparire sensi di colpa nei confronti di altri malati che non ce l’hanno fatta.

In questa fase, le terapie effettuate potrebbero creare problemi e non è ancora possibile tenersi lontani del tutto da medici e ospedali. Al tempo stesso, si percepisce il venir meno del senso di protezione offerta per tutto il periodo delle cure dal centro in cui si è stati seguiti. È difficile immaginare il ritorno alla vita “di prima”, perché ormai è inevitabilmente diversa. Tutto questo fa sì che in questa fase, anche più che durante i trattamenti, alcuni pazienti cerchino un sostegno psicologico.

All’incertezza per ciò che potrebbe accadere in futuro si aggiunge l’esperienza di tutto quello che è stato vissuto, sia fisicamente sia psicologicamente. In alcuni casi in senso negativo, ma talvolta anche in senso positivo, per esempio quando le persone si adattano ai cambiamenti. A volte la malattia stimola i pazienti a trovare nuovi obiettivi e a rivedere le proprie priorità. Non di rado si affronta la quotidianità con una consapevolezza diversa: avere avuto il cancro può portare i pazienti ad avere maggiore chiarezza, a prendersi più cura di se stessi, ad apprezzare la propria vita e la propria salute, a migliorare le relazioni con gli altri e a resistere e reagire meglio ad eventi stressanti (una capacità che viene anche chiamata resilienza). Per gli psicologi questi fenomeni rientrano nella teoria della cosiddetta “crescita post-traumatica”, secondo cui le persone che subiscono dei traumi talvolta ne traggono, in parte, impatti positivi. La malattia, e soprattutto la fine delle cure, possono costituire una nuova fase che talvolta porta ad avere uno sguardo inedito nei confronti della vita.

I lati positivi e negativi della paura che il cancro possa tornare

Uno degli aspetti psicologici più importanti della fase di follow-up, come di altre fasi della malattia, è il timore che il cancro possa ripresentarsi. Nella letteratura scientifica internazionale è noto, in inglese, come “fear of cancer recurrence” ed è un fenomeno molto comune: si stima che, in forme più o meno intense, interessi circa l’80 per cento dei pazienti. Questa paura colpisce maggiormente le donne, i pazienti più giovani e quelli colpiti da alcuni tipi di tumore, tra cui il cancro del polmone, quello del colon e il melanoma. In ogni caso, come suggeriscono gli esperti, non è sempre dannosa. Infatti, se da un lato può generare ansia e preoccupazioni, dall’altro lato la paura che il cancro possa tornare, almeno quando è entro certi limiti, può anche essere d’aiuto.

Provare ansia e paura può a volte essere la spinta per adottare comportamenti salutari che aiutano a stare meglio, a non trascurarsi e a non saltare i controlli previsti. Anche se a volte ciò può accadere in maniera confusa, per esempio seguendo solo alcune indicazioni mediche e abitudini salutari. Come nel caso di coloro che iniziano a mangiare in maniera più varia ed equilibrata ma assumono anche abitudini più sedentarie. È noto invece che svolgere attività fisica, quanto e come possibile, può aiutare il recupero fisico, alleviare lo stress, contenere la fatica e controllare il peso. E contribuisce, così come una dieta sana, a ridurre il rischio di nuovi tumori e recidive. Tutti i consigli di prevenzione primaria, infatti, sono sempre validi, anche per chi sopravvive a un cancro.

In alcune situazioni, tuttavia, la paura non si traduce in azioni che fanno bene e, anzi, è controproducente. Talvolta interferisce così tanto nella vita dei pazienti da nuocere alla salute. Possono per esempio manifestarsi ansia, stress, un’esagerata attenzione nei confronti del proprio corpo e la ricerca di rassicurazioni da parte dei medici, anche tramite esami oltre quanto previsto dal proprio piano di follow-up. In gergo si parla di ipervigilanza. Oppure, all’opposto, si possono osservare atteggiamenti di evitamento, in cui i pazienti per esempio saltano esami e visite, ancora quanto mai necessari. O, ancora, adottano comportamenti per attenuare queste sensazioni sgradevoli, come il consumo di alcol, che però danneggia la salute.

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Paura, ansia, irritabilità sono comuni, soprattutto in prossimità delle visite di controllo e durante tutto il periodo di follow-up. A volte però, i pensieri legati alla malattia sono così intrusivi da essere debilitanti. Quando compromettono il sonno o l’appetito e stravolgono le abitudini di vita, è bene chiedere aiuto, come consigliano gli esperti dell’Associazione americana di oncologia medica (ASCO). L’oncologo potrebbe fornire un parere indirizzando verso servizi di psiconcologia.

Pochi pazienti in Italia ha accesso a questi servizi, nonostante una sempre maggiore consapevolezza del fatto che prendersi cura di un paziente oncologico includa anche forme di assistenza psicologica.

Scanxiety: l’ansia da controlli

Via via che il momento dalla diagnosi si allontana, gli esami di controllo hanno esito negativo, i pareri degli oncologi sono rassicuranti e le pause tra un controllo e l’altro diventano sempre più lunghe, anche il follow-up fa meno paura. Ciò nonostante, sottoporsi ad analisi ed esami di controllo come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la tomografia computerizzata (TC) può acuire i sentimenti di paura. Per descrivere questo tipo di ansia, alcuni psicologi hanno coniato un neologismo: “scanxiety”, dall’unione delle parole inglesi “scan”, che indica le tecniche di imaging come la PET e la TC, e “anxiety”, ansia. Ecco allora che, con il diradarsi degli appuntamenti, anche questa particolare forma d’ansia tenderà a diminuire. Il tempo, nel caso della “scanxiety” e di altre emozioni e sensazioni negative, è un alleato prezioso. Per imparare a gestire nuove paure serve tempo, come per trovare soluzioni a nuovi problemi e riprendere in mano la propria vita.

La relazione delle persone malate con i controlli e gli esami medici può essere però vissuta anche positivamente. Soprattutto nel caso in cui i test e gli esami abbiano dato spesso esiti negativi, le visite mediche possono essere vissuto come il momento per un respiro di sollievo, per riguadagnare un po’ di controllo sulla propria vita. Lo confermano i risultati, pubblicati nel 2023, di una ricerca condotta con alcuni pazienti sopravvissuti a un tumore al polmone.

Per arginare parte della paura, dell’ansia e dell’incertezza intorno al futuro della malattia, può essere d’aiuto parlare apertamente con i propri familiari, l’oncologo e gli infermieri, cogliendo proprio l’occasione delle visite. Lo raccomandano ancora l’ASCO e le principali istituzioni in cui sono seguiti i pazienti oncologici: il consiglio è di non esitare a fare domande aperte, sul piano di follow-up, sulle probabilità di recidiva e sui sintomi da monitorare, anche in relazione ai possibili effetti dei trattamenti effettuati. Aiuterà a prepararsi meglio e a capire a cosa prestare davvero attenzione.

Prendere confidenza con i cambiamenti

La fase di follow-up a volte può iniziare nel momento in cui ci si rende conto delle conseguenze della malattia e delle terapie, soprattutto a livello fisico. I trattamenti, soprattutto per alcuni tipi di tumore, possono aver alterato l’immagine del corpo, per esempio con cicatrici o con la perdita dei capelli. O ancora, possono aver lasciato effetti collaterali come sudorazione, nausea, secchezza vaginale, difficoltà a raggiungere l’erezione, aumenti di peso, affaticamento, difficoltà a concentrarsi. Tutto questo può, a sua volta, provocare disagio, stress, ansia, rabbia, influenzare la capacità di lavorare e di relazionarsi con amici e partner.

Per affrontare queste situazioni può essere di aiuto un dialogo aperto con le persone più care, con lo psiconcologo e con i medici, che possono prescrivere anche eventuali terapie per alleviare inestetismi e fastidi. È importante anche il contatto con le associazioni di pazienti, che consentono di trovare più velocemente soluzioni a problemi condivisi. Inoltre, può essere utile cercare di evadere, di distrarsi pensando ad altro, per esempio frequentando gli amici e programmando gite, uscite e attività nuove, come consigliano anche dalla Mayo Clinic, un importante centro clinico statunitense. Queste soluzioni aiuteranno a gestire lo stress e a ricaricarsi, in vista del futuro.

Referenze

  • Yao G., Lai J. S., Garcia S. F., Yount S., & Cella D. (2023). Positive and negative psychosocial impacts on cancer survivors. Scientific reports, 13(1), 14749. https://www.doi.org/10.1038/s41598-023-41822-x.
  • Schroevers M. J., Kraaij V., Garnefski N. (2011). Cancer patients' experience of positive and negative changes due to the illness: relationships with psychological well-being, coping, and goal reengagement. Psychooncology, 20(2):165-72. Doi: https://www.doi.org/10.1002/pon.1718.
  • Glaser S., Knowles K., Damaskos P. (2019). Survivor guilt in cancer survivorship. Soc Work Health Care, 58(8):764-775. Doi: https://www.doi.org/10.1080/00981389.2019.1640337.
  • Anna Lisa Bonfranceschi

    Dopo gli studi in biologia e una breve esperienza nel mondo della ricerca, dal 2010 scrive storie di scienza, salute e innovazione tecnologia. Oggi è giornalista pubblicista. Fuori dal lavoro soprattutto corre e va in mountain-bike.