Ciò che si mangia può aiutare a limitare il rischio che un tumore si ripresenti.
Un’alimentazione varia ed equilibrata non è solo una guida e uno strumento di prevenzione primaria, ovvero di difesa finché si è sani. Ha un ruolo importante anche quando si è già scoperto di avere un tumore e avviato il percorso di cura. Oltre a essere uno degli elementi con cui fronteggiare la tossicità delle terapie oncologiche, la dieta è uno dei capisaldi della prevenzione terziaria. Con questa espressione si indica un insieme di azioni e abitudini che aiutano a ridurre il rischio che un tumore si ripresenti e che comprendono, oltre alla dieta, l’attività fisica, la rinuncia al fumo, la protezione dai raggi solari e l’evitare infezioni con alcuni agenti infettivi oncogeni. La prevenzione terziaria è anche in grado di ridurre la mortalità dovuta al cancro, dal momento che le recidive e soprattutto la diffusione di metastasi sono ancora la ragione della quasi totalità dei decessi in oncologia.
Ormai sono molte le evidenze solide sull’importanza di un’alimentazione varia ed equilibrata per la prevenzione primaria dei tumori, inclusi molti tipi di cancro per cui sono disponibili valide opzioni terapeutiche. Da circa vent’anni la comunità scientifica ha iniziato a esplorare la possibilità che le scelte compiute a tavola possano avere un effetto anche sul rischio di progressione o di recidiva di una malattia oncologica già diagnosticata. Da qui il crescente interesse nei confronti del ruolo che la dieta può avere sulla prognosi di un tumore, a partire da quelli per cui la dieta è considerata un fattore che può incidere sul rischio.
Questo specifico ambito di ricerca pone la comunità scientifica di fronte a sfide diverse rispetto a quelle che affronta quando per esempio si studia l’impatto della dieta o di un singolo nutriente sul rischio di sviluppare una forma di cancro. Innanzitutto, occorrono studi randomizzati e controllati, da avviare quanto più possibile a ridosso della diagnosi e con un lungo periodo di osservazione. Poi, in questo tipo di studi occorre considerare l’ampio ventaglio di possibili esiti, dalla mortalità complessiva a quella specifica per il tumore, dalla comparsa di una recidiva all’insorgenza di una seconda neoplasia.
Tutti questi aspetti spiegano perché questo ambito della ricerca è più indietro rispetto ad altri, al punto che al momento non sono disponibili raccomandazioni nutrizionali specifiche, sotto forma di linee guida, per le persone che hanno superato una diagnosi di cancro. Per questo oggi nel dare indicazioni a una persona che ha già avuto un tumore si parte quasi sempre dai consigli rivolti alla popolazione generale. Come raccomanda anche l’American Cancer Society, si consiglia di consumare almeno 4-5 porzioni di frutta e verdura al giorno e preferire i cereali integrali a quelli raffinati. Inoltre si suggerisce di ridurre al minimo l’apporto di carni rosse e processate (e di alimenti ricchi di grassi, in generale) per dare più spazio ai legumi come fonte di proteine, di rinunciare alle bevande zuccherate e di ridurre al minimo tollerabile il consumo di bevande alcoliche (massimo un’unità al giorno per le donne, due per gli uomini).
Si tratta di indicazioni che rientrano in ciò che chiamiamo comunemente dieta mediterranea e che possono essere calibrate, con i dovuti accorgimenti, anche per i pazienti oncologici. Sono infatti spesso consigliate sia a chi è in sovrappeso sia a chi potrebbe aver sviluppato problemi che condizionano l’assunzione degli alimenti, in entrambi i casi anche come conseguenza dei trattamenti oncologici. L’obiettivo è favorire un’alimentazione e una forma fisica adeguate: due aspetti importanti per ridurre il rischio di ricadute del tumore.
La comparsa di recidive e metastasi rappresenta ancora oggi il principale limite all’efficacia delle terapie a disposizione dei pazienti. È per questo che si guarda anche a una nutrizione che possa aiutare sempre più pazienti ed ex pazienti oncologici a ridurre il rischio di ricaduta di una malattia oncologica a distanza di anni dalla prima diagnosi.
Sulla falsariga di quanto accaduto con lo sviluppo di nuovi farmaci, i progressi compiuti nell’ambito della genomica e della metabolomica hanno portato a considerare la dieta una delle “leve” con cui influire anche a livello molecolare sull’integrità del DNA (genetica), sull’espressione dei geni (trascrizione, traduzione ed epigenetica), sulla composizione del microbiota intestinale, sull’attività del sistema immunitario e sul metabolismo. A loro volta, questi processi possono condizionare la risposta a una possibile ripresa di malattia. Da qui l’attenzione nei confronti dei meccanismi d’azione di numerosi composti contenuti all’interno degli alimenti, per valutare un loro potenziale utilizzo in sinergia con le terapie. Molte di queste evidenze già disponibili derivano però da studi condotti solo in cellule in coltura o in animali di laboratorio. Ragion per cui, come nella prevenzione primaria, non ci sono dati sufficientemente solidi per raccomandare l’apporto di un singolo nutriente o il consumo di un determinato alimento con l’obiettivo di prevenire la ricaduta di uno specifico tumore.
Tra i composti più studiati in questo senso negli ultimi 15 anni circa vi sono i polifenoli, valutati soprattutto in relazione a tumori molti diffusi, come quelli che colpiscono il seno, il colon-retto e la prostata, e per cui oggi sono disponibili diverse opzioni terapeutiche. Alcuni flavonoidi (composti della famiglia dei polifenoli) hanno dimostrato attività antitumorali e antiproliferative che potrebbero tornare utili per prevenire le ricadute di un tumore anche negli esseri umani.
I composti finora più indagati sono stati l’epigallocatechina gallato (presente soprattutto nel tè verde), la quercetina (capperi, uva, cipolla rossa, tè verde, mirtillo, mela, sedano, radicchio), l’apigenina (frutta, verdura, erbe aromatiche), la naringenina (scorza degli agrumi), la procianidina B2 (semi d’uva, mela) e la curcumina (dalla curcuma). Per alcuni di questi composti, in alcuni studi si è osservata la capacità di inibire, attraverso diversi meccanismi, la ricomparsa di tumori del polmone, della prostata, del colon-retto e del seno. Per questi ultimi due tipi di cancro, evidenze preliminari sono emerse anche da alcuni composti appartenenti alla famiglia dei grassi polinsaturi (acidodocosaesanoico) e dei fitosteroli (β-sitosterolo-d-glucoside) di origine vegetale. Tuttavia, tutti questi studi presentano numerosi limiti metodologici, per cui non è possibile stabilire davvero né la sicurezza né l’efficacia dei composti valutati.
Non sono neppure chiare le dosi eventualmente da assumere. A oggi, infatti, non è possibile stabilire quale sia la biodisponibilità di tali composti, ossia la quantità che viene assorbita e utilizzata dall’organismo a partire da un alimento o un composto ingerito. Inoltre, non sono chiare le possibili interazioni di tali composti con gli altri componenti derivati dalla dieta, con eventuali altre terapie farmacologiche (che in alcuni casi ne sconsiglierebbero l’uso) e con i microrganismi del microbiota. Nonostante questo, in linea generale si può dire che il consumo degli alimenti contenenti queste molecole può essere raccomandato anche a chi ha già affrontato un percorso di cure oncologiche, in ragione del loro potenziale antiossidante e antinfiammatorio, che già di per sé contribuisce a rendere l’ambiente più ostile alla diffusione di un tumore.
L’attenzione a questi composti e la necessità di garantirne un apporto adeguato ha dato impulso al mercato degli integratori, attraverso i quali potrebbe essere in principio possibile garantire un apporto misurato dei singoli micronutrienti. Non è però dimostrato che l’integrazione di questi composti (così come di vitamine e sali minerali) sia d’aiuto a persone che puntano a ridurre il rischio che un tumore si ripresenti.
Come riassunto in un articolo pubblicato sulla rivista JCO Oncology Practice, in questo ambito le domande aperte sono in realtà molte di più delle risposte consolidate. Sebbene un apporto adeguato di questi composti attraverso una dieta equilibrata sia ritenuto importante, non è dimostrato che la loro integrazione raggiunga lo scopo sperato, determinando davvero un beneficio, per esempio riducendo il rischio di recidiva. Non va peraltro trascurato il fatto che diversi studi hanno dato risultati contrastanti: per esempio, la supplementazione di beta carotene e vitamina E (quando non è motivata da un deficit stabilito tramite specifici esami) può talvolta aumentare l’incidenza del cancro ai polmoni e alla prostata. Anche per questo l’indicazione all’integrazione di qualsiasi composto dovrebbe essere sempre prescritta da uno specialista e solo dopo che questi abbia verificato in maniera analitica l’effettiva carenza di uno o più micronutrienti.
In conclusione, la possibilità di variare la dieta per ridurre il rischio che un tumore si ripresenti sta suscitando sempre più interesse. Al momento, però, sono poche le certezze. Non esistono infatti alimenti che da soli, se assunti a quantità definite sono in grado di metterci al riparo dal rischio che un tumore possa ripresentarsi. Quel che si sa è che l’eccessivo aumento di peso e una successiva diagnosi di diabete di tipo 2 o di sindrome metabolica possono avere effetti dannosi nelle persone che hanno superato una diagnosi di cancro. Le evidenze più significative, in questo senso, riguardano i tumori che hanno colpito il seno e lo stomaco. Per queste ragioni, quello che al momento si può raccomandare ai pazienti (o ex pazienti) oncologici è di preservare un peso corporeo nella norma, mantenendosi attivi e seguendo una dieta varia ed equilibrata, ricca in alimenti di origine vegetale e cereali integrali e povera di grassi saturi. Anche se nessun regime dietetico specifico è al momento indicato in questo senso, le indicazioni fornite sono conformi ai pilastri della dieta mediterranea.
Agenzia Zoe
Articolo pubblicato il:
10 maggio 2024