Comprendere come funzionano gli studi clinici è importante per molte ragioni, tra cui dare a volontari e pazienti la possibilità di decidere in modo consapevole se partecipare o meno.
Gli studi clinici sono il metodo che la comunità della ricerca medica ha sviluppato per stabilire nella maniera più obiettiva e scientificamente attendibile se un trattamento è sicuro e se è più efficace di altri. Per chiunque è essenziale comprendere come funzionano queste ricerche, sia per interpretare meglio i risultati scientifici presentati dai media sia, in caso fosse necessario, per scegliere in modo consapevole se partecipare come volontari a una di queste sperimentazioni. Tutti i partecipanti agli studi clinici sono infatti esclusivamente volontari.
Uno studio clinico, a volte indicato anche con il termine inglese di clinical trial o semplicemente trial, è una ricerca medica che ha l’obiettivo di stabilire se un metodo preventivo, di diagnosi o di cura possa essere più sicuro ed efficace del miglior approccio standard disponibile fino a quel momento. Se per una malattia non esistono approcci consolidati, nello studio si cerca di stabilire se il trattamento in sperimentazione possa diventare una valida opzione, confrontandolo con un placebo, ovvero una sostanza che non ha effetti clinici.
Per valutare se un nuovo trattamento è vantaggioso, gli aspetti più importanti da considerare sono:
Accanto a queste valutazioni fondamentali bisogna poi analizzare altri aspetti, come l’impatto sulla qualità di vita, un aspetto di crescente rilievo in medicina, e i costi.
A volte non si tratta di mettere alla prova un nuovo farmaco, ma di verificare se tempi o modalità diverse di somministrazione di un trattamento esistente possono essere più accettabili di quelli precedenti. In altri casi si può valutare un intervento sullo stile di vita (per esempio un certo tipo di dieta o un determinato programma di attività fisica) o un protocollo per la diagnosi precoce di una malattia che potrebbe diventare uno screening oncologico di popolazione. Altre sperimentazioni cliniche possono confrontare tra loro l’affidabilità di diverse apparecchiature per la diagnosi di una malattia (per esempio, una mammografia, un’ecografia o una risonanza magnetica per rilevare noduli della mammella) o l’opportunità e le modalità dei controlli successivi alla fine di un trattamento (la cosiddetta fase di follow-up).
A seconda della domanda a cui si intende rispondere nello studio, i volontari coinvolti saranno persone con determinate malattie o caratteristiche, oppure persone perfettamente in salute, detti volontari sani. Questi ultimi sono coinvolti soprattutto nelle prime fasi delle sperimentazioni cliniche di un nuovo farmaco, quelle in cui si studia l’eventuale tossicità e si cerca la massima dose tollerata. Nel caso di studi su farmaci oncologici, tuttavia, anche nella prima fase sono coinvolti pazienti, e non volontari sani, poiché i farmaci potrebbero essere tossici e non sarebbe etico somministrarli a chi ne trarrebbe solo svantaggi.
Gli studi clinici più frequenti riguardano nuovi farmaci o nuovi protocolli di trattamento, e per questo motivo di seguito faremo riferimento a questo tipo di sperimentazione, anche se le considerazioni valgono anche per studi clinici su interventi preventivi o diagnostici.
Perché i risultati siano affidabili, uno studio clinico deve essere, quando possibile:
La ricerca clinica può essere profit o non profit: la prima è condotta da aziende farmaceutiche o biotecnologiche per lo sviluppo di nuovi farmaci, con obiettivi commerciali, mentre la seconda è promossa da enti accademici o fondazioni senza scopo di lucro, con il solo obiettivo di migliorare la salute pubblica e il benessere dei pazienti.
I risultati prodotti sono più solidi e spesso rilevanti quando lo studio clinico è:
La sperimentazione clinica serve a stabilire qual è il trattamento più sicuro ed efficace per una determinata malattia o condizione, in modo da garantire, nei limiti del possibile, le cure più adatte a ciascun caso e paziente.
Ogni sperimentazione clinica è preceduta, per legge, da ricerche precliniche, svolte in cellule in coltura e in animali di laboratorio. I risultati di queste fasi della ricerca sono essenziali a dare alcune indicazioni, ma non sono sufficienti a provare la sicurezza ed efficacia di un farmaco anche negli esseri umani, che per questo vanno dimostrate appunto in ambito clinico.
Prove scientifiche di questo tipo sono sempre più richieste dai servizi sanitari almeno dei Paesi avanzati, sia per tutelare la salute pubblica, sia per limitare la spesa sanitaria a trattamenti scientificamente dimostrati. Così l’impiego in medicina non solo di un nuovo farmaco, ma anche di un’apparecchiatura medica o diagnostica o di una nuova procedura chirurgica, sono soggette a procedure di regolazione e autorizzazione molto severe, in cui si valutano accuratamente i risultati ottenuti negli studi clinici. Di conseguenza, ogni studio clinico deve essere molto rigoroso ed essere condotto in base a protocolli che contengono tutti i dettagli rilevanti.
I tempi di uno studio clinico, soprattutto se si deve sperimentare un nuovo farmaco, sono molto lunghi. Occorre infatti procedere con estrema prudenza, aumentando gradualmente, in fasi successive, il numero di persone a cui somministrare la nuova sostanza, accertare quali dosi diano il risultato maggiormente efficace con il minor carico di effetti collaterali e così via.
Per valutare correttamente gli effetti di un trattamento per una malattia bisogna inoltre tenere conto delle caratteristiche della malattia stessa. Alcune malattie hanno un decorso lungo, cronico o con recidive a distanza di anni. Sarebbe quindi imprudente ed errato esprimere un giudizio affrettato sull’efficacia di una cura. Anche alcuni effetti collaterali di un farmaco si possono sviluppare a distanza di molto tempo, per cui talvolta può essere necessario seguire i pazienti anche per anni.
Ogni studio è articolato in quattro fasi, ognuna delle quali richiede un tempo adeguato, per rispondere ad almeno 4 domande:
1. È sicuro?
A questa domanda si cerca di rispondere, almeno preliminarmente, con gli studi di fase I. In questa prima tappa il farmaco da sperimentare viene infatti somministrato a dosi crescenti, partendo dalla più bassa possibile, a un gruppo molto piccolo di persone, per lo più volontari sani (tranne nel caso dei farmaci oncologici, dove anche in fase I sono coinvolti i pazienti). Lo scopo è identificare eventuali effetti indesiderati che non potevano essere riconosciuti negli studi preclinici, quelli condotti in cellule e animali di laboratorio, e individuare la cosiddetta massima dose tollerata.
2. Funziona? A quale dose?
L’efficacia del trattamento viene inizialmente valutata negli studi di fase II. Queste sperimentazioni coinvolgono in genere un gruppo di persone un po’ più numeroso rispetto a quelli della fase I e che include solo pazienti, se si tratta di studiare una cura. L’obiettivo di questa fase è anche stabilire la dose minima del farmaco che abbia attività contro una data malattia.
3. È la più sicura ed efficace delle alternative disponibili?
Negli studi di fase III l’efficacia e la sicurezza di un trattamento sono valutate su larga scala, in genere anche in migliaia di pazienti, di solito in centri diversi. La fase III potrà anche confermare o meno la superiorità del nuovo trattamento rispetto a quello standard usato fino a quel momento per la stessa malattia, o rispetto al placebo se non esistono ancora altre cure.
Superata la fase III, l’azienda che ha sviluppato il farmaco può chiederne l’autorizzazione al commercio alle autorità competenti (per l’Europa l’EMA, l’Agenzia europea del farmaco), anche se in casi particolari non è necessaria la fase III per poter richiedere l’approvazione.
Una volta ottenuta l’autorizzazione dell’EMA, valida per tutti i Paesi dell’Unione europea, in Italia entra in gioco l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), che ha il compito di stabilire se il farmaco autorizzato può essere o meno rimborsato dal Servizio sanitario nazionale e di regolamentarne l’eventuale rimborsabilità.
4. E dopo, nella pratica?
Una volta che il prodotto è stato immesso sul mercato, resta per sempre un sorvegliato speciale. Effetti indesiderati anche gravi possono infatti essere così rari da manifestarsi solo quando molte migliaia di persone, più numerose ed eterogenee di quelle che hanno partecipato agli studi, assumono il farmaco. Per questo si continuano a raccogliere informazioni sui farmaci e sugli eventuali effetti indesiderati anche a lungo termine, nella cosiddetta fase di farmacovigilanza.
Entrare in una sperimentazione clinica può servire a dare il proprio contributo al progresso della medicina, in modo che si possano mettere a punto cure migliori per chi si ammalerà in futuro. Può anche essere utile a ottenere un trattamento sperimentale per la propria malattia, possibilmente superiore a quelli disponibili al momento.
I risultati di diversi studi hanno dimostrato che chi partecipa a una sperimentazione clinica ha in media risultati di cura migliori di chi non vi prende parte, indipendentemente dal fatto che riceva il nuovo trattamento oppure no. Questo perché in ogni caso si usufruisce di controlli più frequenti, puntuali e standardizzati.
Prima di prendere la decisione di partecipare a uno studio clinico è tuttavia fondamentale acquisire tutte le informazioni che consentano di fare una scelta consapevole. Prima di tutto bisogna capire a quali quesiti clinici intende rispondere la ricerca, quali sono le caratteristiche che bisogna avere per partecipare (criteri di inclusione) e quelle che invece impediscono di prendervi parte (criteri di esclusione). È bene inoltre farsi spiegare come è impostato lo studio e chi lo sostiene economicamente, oltre a soppesarne i possibili rischi e benefici.
In genere sono i medici che hanno in cura un paziente a proporre di entrare in uno studio clinico. Sempre più di frequente capita però che siano i pazienti stessi, singolarmente o attraverso specifiche associazioni, a cercare attivamente sperimentazioni per la propria malattia. A questo scopo sono utili i registri pubblici degli studi clinici, database consultabili via internet, in genere creati e alimentati da enti comunitari o governativi e da associazioni di pazienti. In tali registri sono elencate le sperimentazioni autorizzate in corso, o quelle che stanno per cominciare, su una determinata malattia o problema. Si tratta di database molto corposi, complessi e ricchi di informazione. Per questo la consultazione può non essere semplice e richiedere l’aiuto di esperti.
Chi intende partecipare a uno studio clinico può cercare o approfondire le informazioni trovate su internet anche parlando con il proprio specialista o con le associazioni di pazienti.
I volontari che partecipano a uno studio clinico sono tutelati da una serie di regole stabilite da leggi internazionali e nazionali e da codici etici. Il protocollo di studio deve infatti essere approvato dalle autorità competenti e da un comitato etico indipendente, costituito da scienziati, operatori sanitari (come medici e infermieri) e semplici cittadini, non legati in alcun modo al gruppo di ricerca che ha richiesto l’approvazione.
Ogni studio clinico si attiene a delle norme di “buona pratica clinica” (GCP, Good Clinical Practice) che rappresentano uno standard internazionale di etica e qualità scientifica per progettare, condurre, registrare e relazionare una sperimentazione clinica che coinvolga soggetti umani. L’aderenza a questi standard è economicamente onerosa, ma garantisce pubblicamente, oltre l’attendibilità dei dati, anche la tutela dei diritti, della sicurezza, della salute e del benessere di chi è coinvolto in uno studio.
Al momento di iniziare lo studio ogni paziente riceve inoltre tutte le spiegazioni necessarie dal medico curante, dallo sperimentatore e tramite un documento scritto (il consenso informato) che dovrà comprendere fino in fondo e firmare per accettazione. La firma del consenso informato non è però vincolante a concludere la sperimentazione: in ogni momento un volontario può sospendere la propria partecipazione a uno studio. Inoltre, la privacy è tutelata e i rischi per ogni volontario sono coperti da un’assicurazione.
Ulteriori tutele speciali sono adottate se il paziente è un bambino, un anziano o una persona che non può decidere in autonomia.
Per migliorare la conoscenza delle persone di tutte le età che vivono in Europa sulla ricerca medica, e stimolare la partecipazione a studi clinici indipendenti e multinazionali, l’Unione europea ha sviluppato il progetto ECRAN (European Communication on Research Awareness Needs). Scopo di tale progetto è “rendere la ricerca medica facile da capire” superando la barriera di termini ostici e fornendo spiegazioni chiare e attendibili su concetti di base e avanzati. Ciò avviene tramite contenuti formativi offerte con modalità accattivanti e divertenti. A questo scopo sono stati realizzati materiali (tra cui giochi, video e glossari) nelle 23 lingue europee, raccolti nel sito www.ecranproject.eu.
Se decidi di partecipare a uno studio clinico, accertati di comprendere fino in fondo quali siano i possibili rischi e benefici.
Benefici
Rischi
Autore originale: Agenzia Zadig
Revisione di Sofia Corradin in data 29/10/2024
Agenzia Zadig
Articolo pubblicato il:
29 ottobre 2024