Ultimo aggiornamento: 4 aprile 2023
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L’invecchiamento è un processo del tutto naturale e al tempo stesso estremamente complesso dal punto di vista biologico. Nel corso della vita si va infatti incontro a una serie di cambiamenti fisici e psicologici che l’interazione con l’ambiente è in grado di rallentare o accelerare. Dopo i 50 anni sia la statura sia il peso tendono progressivamente a ridursi. Con l’avanzare dell’età si registrano inoltre un aumento della massa grassa (soprattutto a livello addominale), una riduzione della massa muscolare, una demineralizzazione delle ossa e una riduzione dell’acqua corporea. Evoluzioni che, in linea generale, fanno da preludio a un peggioramento delle prestazioni fisiche e dello stato di salute di una persona anziana. Quando la riduzione della massa magra è tale da limitare lo svolgimento delle attività quotidiane, si parla di sarcopenia. Le manifestazioni principali di questo problema sono le seguenti: riduzione della forza, potenza e resistenza muscolare, dell’equilibrio e dell’abilità motoria. Se alla carenza di massa magra si associa un eccesso di massa grassa, allora si configura una condizione che viene definita obesità sarcopenica. Riguarda una persona su cinque sopra i 50 anni, è associata a un aumentato rischio di disabilità, morbilità e mortalità e di fatto è dovuta alla contemporanea coesistenza di obesità e di poca massa e forza muscolare.
Sarcopenia e obesità, insieme o singolarmente, possono dunque condizionare negativamente lo stato di salute. Questi cambiamenti sono anche responsabili della riduzione del metabolismo basale, ovvero della quota di energia necessaria allo svolgimento delle funzioni vitali a riposo. Di conseguenza un abbassamento del dispendio energetico quotidiano, insieme a una progressiva riduzione dell’attività fisica, può avere un impatto negativo sulla qualità della vita. Tra i fattori genetici, ambientali, individuali che influenzano questo processo, le abitudini alimentari salutari, l’attività fisica moderata e costante, il sonno adeguato e l’astensione dal fumo di sigaretta hanno un ruolo centrale nel condurre a un invecchiamento sano e attivo.
In questo contesto l’alimentazione (intesa come la somministrazione o assunzione di alimenti per il sostentamento dell’organismo) e la nutrizione (ovvero la somministrazione e l’utilizzazione degli alimenti dal punto di vista dietetico e biologico) sono considerati i modulatori capaci di influenzare la salute.
Perseguire scelte salutari e un’alimentazione adeguata contribuisce a contrastare la vulnerabilità a cui si va incontro col passare del tempo. Negli anziani è poi necessario prevenire carenze nutrizionali in funzione dei fabbisogni e la conseguente malnutrizione.
L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno intenso e progressivo che caratterizza le società occidentali. I soggetti con più di 65 anni oggi in Italia ̶ dove l’aspettativa di vita è raddoppiata rispetto agli inizi del secolo scorso ̶ corrispondono all’incirca al 20 per cento della popolazione. Detto ciò, occorre però distinguere tra coloro che possono essere definiti anziani soltanto su base anagrafica (oltre i 65 anni, ma in buona salute) e quelli che invece sono gli anziani fragili. A fare la differenza, tra queste due sottocategorie della popolazione, sono la costituzione genica e l’interazione dell’organismo con l’ambiente. Interagiamo con l’ambiente con, per esempio, la dieta, l’attitudine all’attività fisica, l’abitudine o meno al fumo di sigaretta e al consumo di alcolici o l’eventuale esposizione a rischi professionali. Tali abitudini incidono per circa il 70 per cento sulla durata e sulla qualità della vita e contribuiscono a determinare lo stato di salute di una persona nel corso della terza età.
Una delle leve di comando, come detto, è rappresentata dalla dieta. Con l’invecchiamento della popolazione, le persone con più di 65 anni sono in continuo aumento rispetto a quelle di altre fasce di età nella popolazione generale. Ecco perché anche l’attenzione all’alimentazione per le persone non più giovani è cresciuta negli ultimi 10-15 anni. In linea generale, la dieta degli anziani non differisce dal punto di vista qualitativo da quella degli adulti, sebbene sia il fabbisogno energetico sia l’appetito diminuiscano con il passare degli anni, a causa di alterazioni sensoriali, comparsa di problemi masticatori e modificazioni che coinvolgono l’apparato gastroenterico. Soltanto specifiche condizioni, tra cui la sedentarietà, la comparsa di una disabilità o l’alterazione funzionale di singoli organi, possono richiedere accorgimenti dietetici specifici, come in qualunque altra fascia d’età.
Non esistendo alcun alimento completo, o meglio, che racchiuda in sé le quantità adeguate dei vari nutrienti, l’unico modo per garantire al proprio organismo un adeguato apporto nutrizionale consiste nel ricorrere a un’alimentazione più varia possibile. Anche in questa fase della vita, come nell'età adulta, la condizione essenziale per godere di un buono stato di salute è mantenere un peso corporeo ottimale. Presupposto non sempre semplice da realizzare e che negli anziani deve tenere conto anche dei rischi legati alla malnutrizione per difetto.
Alla luce di questa elevata complessità, è importante garantire un completo apporto di tutti i nutrienti con una dieta varia ed equilibrata e soprattutto non escludere alcun alimento. Per un uomo anziano, il fabbisogno energetico giornaliero (la quantità di energia necessaria per far fronte alle funzioni metaboliche basali) si aggira intorno alle 2.000 chilocalorie, mentre per la donna è tra 1.700 e 1.800 chilocalorie.
A incidere non è però soltanto la quantità degli alimenti, ma pure la loro qualità. Uno schema a cui far riferimento, anche in età geriatrica, è quello della dieta mediterranea. I benefici sono tanto più significativi quanto più precoce è stata l’adozione di questo modello nel corso della vita. Detto ciò, questo regime alimentare aiuta a vivere un’ultima fase della vita in salute anche coloro che decidono di seguirla a partire dai 65 anni. Come è stato documentato da una ricerca condotta dagli epidemiologi dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) nell’ambito del progetto di ricerca Moli-Sani. I dati sono stati pubblicati sul British Journal of Nutrition.
La dieta mediterranea negli anziani prevede però delle integrazioni rispetto alle indicazioni che riguardano gli adulti. In particolare occorre porre molta attenzione al consumo di acqua, che deve mantenersi intorno a 1,5 litri al giorno. Il suo apporto è fondamentale in tutte le fasi della vita, ma ancora di più oltre i 65 anni. Sono tre le ragioni: una generale tendenza alla disidratazione (dovuta alla ridotta percezione del senso della sete), un aumento delle perdite urinarie di liquidi (dovuta alla diminuita sensibilità dei reni all’azione dell’ormone antidiuretico) e la riduzione complessiva dell’alimentazione. Il consumo di brodo, passato di verdure, tè e tisane senza zucchero può aiutare a integrare un’adeguata quantità di acqua giornaliera.
Una volta assicuratisi un’idratazione sufficiente, i macronutrienti che devono far parte della dieta nel corso della terza età sono gli stessi di tutte le altre fasi della vita. Anche la dieta degli anziani deve avere come perno il consumo di carboidrati e dunque di alimenti a base di cereali (pane, pasta, riso, farro, orzo), per i quali è prevista la presenza a ogni pasto principale (colazione, pranzo e cena). Per un totale di 4-5 porzioni al giorno. Lo stesso discorso va fatto per la frutta e la verdura, la cui scelta deve ricadere preferibilmente sui prodotti di stagione (3-5 porzioni al giorno). Quanto agli alimenti ricchi di zuccheri semplici (come lo zucchero da tavola, il miele e i dolci), l’invito alla moderazione è sempre valido. O meglio: lo è ancora di più tra gli anziani, considerato che il diabete di tipo 2 è una malattia che colpisce prevalentemente nel corso della terza età ed è considerato un fattore di rischio per lo sviluppo anche di diverse forme di cancro. Se si ha l’abitudine di dolcificare caffè, tè, tisane e latte, è consigliabile non superare i 2-3 cucchiaini al giorno di zucchero. E, quando possibile, preferire dolcificanti naturali, come quelli a base di stevia.
Nonostante con l’avanzare dell’età si registri spesso un progressivo calo dell’appetito, è fondamentale che la persona anziana assuma ogni giorno due porzioni di alimenti del gruppo “carne, pesce e uova”. Occorre invece limitare il consumo di carne rossa e insaccati e privilegiare pesce (fonte naturale di omega-3), carni bianche e uova. Naturalmente, in alcuni casi, i legumi possono sostituire un secondo piatto a base di carne o pesce oppure costituire un piatto unico insieme ai cereali. Mantenere un adeguato apporto di proteine è infatti fondamentale per preservare la salute dei muscoli e delle ossa. E, di conseguenza, prevenire l’insorgenza della sarcopenia.
Il tutto da condire preferibilmente con condimenti di origine vegetale, quale l’olio extravergine di oliva, naturalmente ricco di vitamine e di antiossidanti naturali, per garantire un adeguato apporto di lipidi. Al contempo sono quindi da limitare i condimenti di origine animale, come burro, strutto, panna. Quanto agli altri grassi, gli anziani dovrebbero prediligere il consumo di alimenti con un modesto contenuto di grassi saturi e colesterolo: come il latte parzialmente scremato e lo yogurt magro, i formaggi preferibilmente freschi (evitando quelli fusi, che potrebbero creare problemi nella masticazione) e le carni magre (pollo, tacchino, coniglio, vitello). E non dimenticare di consumare regolarmente un’adeguata quantità di pesce fonte naturale di omega-3, evitando quelli preimpanati e prefritti.
Se si ha l’abitudine di consumare alcolici, meglio preferire quelli a basso tenore di etanolo (birra e vino). E ricordare che le soglie massime di consumo raccomandate per le persone sopra i 65 anni sono inferiori a quelle per gli adulti: non più di una unità alcolica al giorno (330 millilitri di birra e 125 di vino), in questo caso senza differenze tra uomini e donne. Resta sempre valida però l’indicazione dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), che nel Codice Europeo invita a moderare il più possibile il consumo di alcolici. E ricorda come, per ridurre al minimo il rischio di sviluppare un tumore, sia meglio non bere.
Infine, il sale. Gli anziani dovrebbero limitarne l’utilizzo, in quanto primo fattore di rischio per l’insorgenza dell’ipertensione arteriosa. I 5 grammi al giorno che sono fissati come limite dalle principali società scientifiche dovrebbero essere sempre iodati. Per evitare gli eccessi, nel corso della terza età è preferibile evitare i preparati per brodo, che contengono dadi ricchi di grassi vegetali idrogenati e di glutammato monosodico, e incentivare l’uso di spezie ed erbe aromatiche.
Per agevolare il mantenimento di un buono stato di salute anche nel corso della terza età riportiamo il decalogo della longevità stilato dal Ministero della salute. Si parte dalla tavola, per tenere in considerazione anche altri fattori della vita sociale.
Se non sono già in sovrappeso o obesi al momento del raggiungimento del traguardo dei 65 anni, è difficile che gli anziani vadano incontro a un aumento di peso nell’ultima fase della vita. Quando si parla di mantenere un adeguato peso corporeo, si fa perlopiù riferimento al rischio di un dimagrimento eccessivo e all’instaurarsi di una o più carenze nutrizionali, da cui insorge uno stato di malnutrizione. Un problema che può riguardare sia i macronutrienti (carboidrati, proteine, grassi) sia i micronutrienti. Un deficit, quest’ultimo, più insidioso in quanto maggiormente difficile da intercettare.
In relazione alle necessità di minerali e vitamine, bisogna prestare attenzione ad alcuni micronutrienti a maggior rischio di carenza nel corso della terza età. Nello specifico le vitamine A e C, l’acido folico, il ferro e il calcio sono i micronutrienti più spesso deficitari a causa di errori alimentari, dell’adozione di una dieta monotona e della tendenza a prediligere cotture lunghe e a temperature elevate. In linea generale, non vi sono indicazioni per la supplementazione della dieta con integratori alimentari. Ma è bene che la dieta diventi argomento di confronto tra un anziano e il proprio medico di medicina generale, che dovrà appurare se sussiste un rischio di carenze specifiche, che possano avere un contraccolpo sulla salute. Su tutte, quelle di calcio e vitamina D che, se non assunte nelle dosi indicate anche nei Livelli essenziali di assunzione dei nutrienti e dell’energia (LARN), aumentano il rischio che un individuo sviluppi l’osteoporosi. E, di conseguenza, una maggiore fragilità delle ossa, alla base della maggiore incidenza di fratture in questa fascia della popolazione.
Per potenziare l’apporto di calcio si potrebbe puntare su latticini e formaggi, con il rischio però di far assumere troppe calorie attraverso i grassi che contengono. Meglio allora scegliere un’acqua con un buon contenuto di calcio, la frutta secca, per esempio noci e mandorle, e i semi di sesamo. Anche le crucifere contengono calcio, che viene anche ben assorbito dall’intestino se prima vengono cotte. Infine non dimentichiamo le arance: un bicchiere di succo d'arancia fresco e appena spremuto può offrire un apporto di calcio pari a circa 70 milligrammi.
Quanto alla vitamina D, la sua funzione è strategica. Si tratta di un ormone sintetizzato a livello cutaneo grazie all’esposizione ai raggi solari che regola il metabolismo delle ossa. Induce un maggiore assorbimento di calcio intestinale e renale di calcio, mantenendo alta la mineralizzazione e la salute delle ossa. Questo spiega perché il suo ruolo sia cruciale nella prevenzione dell’osteoporosi, che si stima colpisca fino a cinque milioni di persone in Italia. L’intero fabbisogno giornaliero della vitamina D varia dalle 200 alle 600 unità, dai giovani ai più anziani, ma sono frequenti casi di ipovitaminosi, come avviene in oltre il 60 per cento delle persone sopra i 65. Una delle cause principali è la mancata esposizione ai raggi solari, per cui diventano ancora più importanti le scelte compiute a tavola. La vitamina D è un micronutriente che si trova in modeste quantità negli alimenti: pesci grassi (salmone e aringhe), uova, verdure a foglia verde, latte (ma non in quello materno) e derivati. Una dieta bilanciata, che includa il consumo di questi alimenti, è quindi sufficiente a raggiungere il fabbisogno minimo. Tuttavia, se gli anziani vivono pochissimo tempo all’aria aperta potrebbero trovarsi in una condizione di ipovitaminosi. È in questa situazione che occorre considerare col proprio medico di ricorrere a un’integrazione della vitamina, ma solo dopo aver verificato l’effettiva carenza con un esame del sangue.
Quando si parla di carenza di macronutrienti negli anziani, invece, si fa quasi sempre riferimento alle proteine. Un apporto inadeguato è alla base dell’accentuarsi della sarcopenia. Si tratta di una condizione che inizia a comparire intorno alla quarta decade di vita e porta a una perdita di massa muscolare del 3-5 per cento entro i 50 anni e in seguito dell’1-2 per cento ogni anno. Da questo andamento consegue che circa il 40 per cento delle persone dimezzi il patrimonio muscolare entro i 75 anni, con una prevalenza leggermente maggiore negli uomini rispetto alle donne. Ciò ha ripercussioni notevoli sulle capacità motorie e sul livello di attività fisica. Mentre nei casi più gravi compromette l’autonomia di movimento, l’equilibrio diviene instabile, si diventa incapaci di salire e scendere le scale o portare a casa la spesa. La frequenza del passo, inoltre, risulta fortemente ridotta. L’abbinamento tra queste conseguenze è alla base dell’aumentato rischio di cadute e fratture associato alla sarcopenia, e che rappresenta la principale causa di invalidità e debolezza negli anziani.
Lo sviluppo di questa condizione ha origine in molti fattori, tra cui l’azione degli ormoni, il metabolismo delle proteine, la frequenza e l’attività fisica svolta, lo stress ossidativo e la comparsa di alterazioni neuromuscolari. Tutti elementi che vanno ad aggiungersi alla malnutrizione, ormai riconosciuta tra le cause della sarcopenia. Rispetto agli apporti calorici, le recenti linee guida della Società europea di nutrizione clinica e metabolismo suggeriscono agli anziani di ricavare almeno 30 chilocalorie per chilo di peso corporeo ogni giorno attraverso la dieta. Per fare un esempio, una persona di oltre 70 anni che pesa 60 chili, dovrebbe seguire una dieta che garantisca quotidianamente un apporto di 1.800-2.000 chilocalorie.
Oltre alla quantità di calorie necessarie, la principale strategia nutrizionale è rappresentata da una dieta che garantisca un congruo apporto giornaliero di proteine. Dovrebbe essere tale da superare la ridotta capacità di sintesi proteica muscolare tipica degli anziani. Infatti secondo i risultati di diversi studi, nelle persone sopra i 65 anni l’apporto giornaliero di proteine non è adeguato. A partire dai 60 anni la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) raccomanda di assumere quotidianamente 1,1 grammo di proteine per chilo di peso corporeo, rispetto allo 0,9 indicato nel corso dell’età adulta. Ma in presenza di una malattia acuta o cronica, la quota proteica deve essere ulteriormente aumentata a 1,2-1,5 grammi al giorno per chilo di peso corporeo. Quanto alla suddivisione delle proteine tra i pasti, gli esperti raccomandano un’equa distribuzione tra pranzo e cena per ottimizzare lo stimolo sulla sintesi proteica muscolare.
Grazie al più elevato apporto di amminoacidi essenziali, le proteine di origine animale svolgono una maggior azione protettiva contro la perdita di massa e forza muscolare rispetto a quelle vegetali. Ciò vuol dire che la carne va consumata con una frequenza di 2-3 volte alla settimana, secondo le indicazioni già riportate. Sono più salutari le carni bianche rispetto a quelle rosse e bisogna limitare a casi eccezionali il consumo di salumi e insaccati. Al contempo è comunque importante che la dieta degli anziani garantisca apporti adeguati di pesce, per gli omega-3, latte e derivati, soprattutto per calcio e vitamina D, e di legumi. Legumi che, se abbinati ai cereali, rappresentano un ottimo piatto unico sia per il pranzo sia per la cena.
Soltanto nel caso in cui gli anziani non siano in grado di acquisire attraverso la dieta le proteine di cui necessitano (spesso per la concomitanza di altre malattie), è indicato ricorrere a supplementi nutrizionali orali in polvere o liquidi. O, nei casi più gravi, alla nutrizione artificiale. In questo secondo caso, se si hanno di fronte pazienti con un apparato digerente accessibile e funzionante, il supporto deve essere garantito attraverso il tratto gastrointestinale con la nutrizione enterale. Lasciando soltanto ai casi più complessi il ricorso alla nutrizione per via venosa, detta parenterale.
Le conseguenze della sarcopenia rischiano di acuirsi se gli anziani sono anche alle prese con un tumore. L’attenzione alla dieta nel corso delle terapie oncologiche ha un obiettivo: evitare la comparsa della malnutrizione per difetto. Questa condizione può compromettere lo stato di salute dei pazienti e comportare, nelle forme più gravi, la comparsa di altre malattie, fino al decesso. In Italia si stima che la malnutrizione oncologica provochi circa trentamila decessi ogni anno.
La presenza di un tumore può infatti causare una condizione di anoressia, con conseguente marcata perdita di peso. Se non si adottano misure adeguate può subentrare la cachessia, caratterizzata dalla perdita di massa muscolare associata o meno a quella di massa grassa. La priorità, nei pazienti oncologici di peso nella norma, è dunque la prevenzione del dimagrimento. Se l’alimentazione naturale è possibile, è consigliata l’elaborazione di un piano dietetico personalizzato il più possibile rispondente alle preferenze dei pazienti. Dal punto di vista pratico, i malati di cancro dovrebbero seguire una dieta bilanciata che preveda l’assunzione dei nutrienti, quali carboidrati, proteine, grassi, vitamine e sali minerali, attraverso il consumo di tutti i gruppi di alimenti: carni, pesce, uova; latte e derivati; cereali, tuberi e derivati; legumi; oli e grassi da condimento; ortaggi e frutta.
Ai pazienti oncologici si consiglia di mangiare poco, ma spesso, tenendo sempre a portata di mano qualcosa da sgranocchiare. E di masticare lentamente e bene, riposando dopo ogni pasto. Se l’appetito è buono, non dovrebbe essere difficile assumere adeguate quantità di calorie e proteine. Al contrario, se è scarso, si può optare per alimenti più ricchi in calorie e proteine: per garantire un apporto congruo di nutrienti attraverso un numero inferiore di pasti. Ragion per cui, in questi casi, si possono sostituire piccoli pasti con bevande nutrienti dolci o saporite. Tra gli alimenti da prediligere, gli esperti raccomandano il consumo di cereali integrali, di legumi ben cotti (anche in crema), di pesce (meglio se azzurro) e di verdure di stagione. Da limitare invece il ricorso alle carni rosse e lavorate (salumi, insaccati), ai formaggi molto grassi e a tutti gli alimenti a base di amido (a base di frumento, patate, mais) composti da zuccheri semplici, responsabili dell’aumento dell’indice glicemico. Ci sono poi altre indicazioni che vengono fornite sulla base dei bisogni di ciascun paziente, per limitare gli effetti collaterali.
Fabio Di Todaro