Dopo la rinuncia al fumo di sigaretta, seguire un’alimentazione varia ed equilibrata è il metodo più efficace per ridurre il rischio di ammalarsi di diverse forme di cancro. Almeno un terzo di queste, infatti, sarebbe evitabile grazie ai comportamenti che teniamo a tavola. Tale dato arriva quasi a raddoppiare se si restringe la correlazione ai tumori che colpiscono gli organi dell’apparato digerente (l’esofago, lo stomaco, il colon-retto, il fegato, il pancreas e la colecisti). Di dieta in relazione ai tumori si parla dunque sempre più spesso, e in particolare negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione nei confronti del digiuno. A tale proposito, si parla genericamente di digiuno, di “dieta mima-digiuno” e di digiuno intermittente. Che differenze ci sono? Ma soprattutto: l’evidenza scientifica cosa racconta del legame tra un regime alimentare di questo tipo e il rischio oncologico?
Negli ultimi anni i risultati di alcuni studi hanno mostrato che brevi periodi di digiuno, seguendo strettamente le indicazioni mediche, sembrano portare giovamento alla nostra salute. I benefici sono stati osservati soprattutto in animali di laboratorio, ma anche negli esseri umani. Essi consistono in un generale aumento della longevità e nella riduzione della comparsa di malattie infiammatorie. Negli animali gli effetti sono stati rilevati anche sul cervello, con un incremento della rigenerazione dei neuroni, migliori performance legate all’apprendimento e alla memoria e un rischio contenuto di insorgenza di diverse forme di cancro. Sempre a livello preclinico, in cellule in coltura e in animali di laboratorio, si è osservato che periodi di digiuno effettuati seguendo le indicazioni del personale curante riducono gli effetti tossici della chemioterapia e sembrano potenziarne l’efficacia. Le premesse per sostenere misure di questo tipo sono quindi valide, ma bisogna evitare il “fai-da-te”, che potrebbe generare grossi danni alla salute senza portare i benefici sperati.
Quando si parla genericamente di digiuno, si fa riferimento a diversi schemi alimentari che hanno un obiettivo comune: ottenere gli stessi benefici delle diete normali senza risultare punitivi a tavola. Le evidenze scientifiche più solide riguardano tre forme di digiuno:
Più che a ciò che si mangia, il digiuno intermittente richiede di fare attenzione a quando lo si fa. Un aspetto che ha una ricaduta anche psicologica, soprattutto per persone che faticano a seguire una dieta proprio a causa delle privazioni che comporta. In linea generale possiamo dire che mangiando soltanto in determinati orari di una giornata (nelle ore di digiuno è consentito soltanto bere acqua e bevande prive di calorie, come il caffè e il tè), per diversi giorni alla settimana, si esauriscono le riserve di zucchero. L’organismo può aver bisogno di diverse settimane per adattarsi al nuovo schema alimentare, con la comparsa di effetti collaterali quali fame frequente, affaticamento, insonnia, nausea e mal di testa. In tali condizioni l’energia necessaria a svolgere i compiti quotidiani deriva dalla demolizione dei grassi di riserva. Nel concetto di digiuno intermittente sono racchiusi diversi tipi di dieta. Esempi sono la dieta “16:8” (che prevede di consumare i pasti di una giornata nell’arco di 8 ore) e quella “5:2” (che richiede di mangiare regolarmente 5 giorni alla settimana, limitando l’apporto calorico negli altri 2 giorni a 500-600 kcal). Indipendentemente dalla formula, i benefici riscontrati dalla comunità scientifica, perlopiù tramite esperimenti con animali di laboratorio, sono molteplici. In particolare includono un aumento delle capacità mnemoniche e di concentrazione; un miglioramento del profilo lipidico (colesterolo e trigliceridi), che riduce il rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari (grazie anche a un effetto di riduzione della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca) e del diabete di tipo 2; una riduzione dell’infiammazione (con potenziali ricadute positive sul rischio di insorgenza di malattie infiammatorie croniche intestinali, autoimmuni, respiratorie, neurodegenerative e oncologiche); e un miglioramento delle performance fisiche (perdita di massa e aumento della resistenza). Risultati in tal senso sono emersi negli studi condotti per misurare gli effetti del digiuno intermittente, ma anche degli altri due approcci più studiati: la dieta “mima-digiuno” e (più spesso) la restrizione calorica. Ai benefici sopra citati può aggiungersi anche la perdita di peso, che non è però quasi mai il primo obiettivo per cui si intraprende questa strada (gli schemi del digiuno non sono mai raccomandati alle persone obese).
Cereali integrali, verdura, frutta e legumi devono rappresentare la spina dorsale dell’alimentazione di chi adotta un regime di digiuno intermittente, sostenuti dalle proteine di origine animale (optando prevalentemente per il pesce e le carni bianche) e da un occasionale consumo di dolci. Per seguire uno degli schemi descritti sopra è comunque necessario confrontarsi con un medico nutrizionista, in grado di valutare e monitorare che il regime di digiuno adottato non arrechi danni alla salute. Il digiuno infatti, anche se non estremo, non è adatto a tutti. La comunità scientifica è concorde nel considerare una scelta di questo tipo non alla portata dei minori, delle donne in gravidanza o in allattamento, delle persone affette da diabete di tipo 1, di coloro che sono affetti da malattie croniche o che soffrono o hanno avuto esperienza di un disturbo del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata, sindrome da alimentazione notturna, pica, disturbo da ruminazione).
Le strategie nutrizionali adottate in oncologia riguardano la prevenzione dell’obesità (sia primaria sia secondaria) e la lotta alla malnutrizione (di cui parleremo più avanti). Visti i benefici per la salute riportati da diversi studi scientifici, sono stati indagati anche i potenziali effetti di uno schema di digiuno sia per prevenire il cancro, sia per rendere più efficaci le terapie. Tutta la ricerca in questo ambito – parte della quale sostenuta anche da Fondazione AIRC – è molto recente e ulteriori e più ampi studi sono necessari a consolidare risultati per ora preliminari.
In questi anni sono anche state indagate le risposte ormonali, molecolari e cellulari al digiuno da parte di un organismo alle prese con un tumore. Inoltre, sebbene per il momento si è valutato soltanto con studi di laboratorio se uno schema alimentare improntato al digiuno possa essere utile durante la chemioterapia. I risultati più significativi sono stati raccolti in relazione al digiuno intermittente, alla dieta “mima-digiuno” e alla restrizione calorica, regimi di più facile adozione anche per i malati oncologici. Sulla base delle prove attualmente disponibili, possiamo dire che è ragionevole pensare che la restrizione calorica mitighi la tossicità della chemioterapia. Gli studi hanno nel complesso evidenziato un ridotto danno al DNA, un aumento significativo della conta di globuli rossi, bianchi e piastrine, una riduzione dell’affaticamento e un miglioramento della qualità della vita nei pazienti che seguivano lo schema dietetico indicato rispetto a coloro che invece adottavano una dieta tradizionale. La maggior parte dei dati, compresi alcuni prodotti dai ricercatori sostenuti da Fondazione AIRC, sono stati ottenuti da donne con un tumore del seno. Riscontri analoghi, sebbene con numeri più contenuti, sono emersi anche da altre ricerche condotte coinvolgendo pazienti affetti da un tumore dell’esofago, dell’ovaio, dell’utero e del polmone. Derivano da studi di laboratorio, invece, alcuni dati secondo cui l’adozione di un regime di digiuno potrebbe potenziare l’efficacia della chemioterapia, delle cure ormonali e dell’immunoterapia. Risultati di questo tipo, ottenuti con esperimenti con cellule in coltura e animali di laboratorio, sono stati rilevati rispetto al tumore del seno (soprattutto riguardanti le terapie ormonali e l’immunoterapia), del colon-retto, del pancreas, al glioma e al melanoma. Ripetiamo però che i risultati sono ancora molto preliminari e che studi più ampi, anche negli esseri umani, sono necessari a validare queste prime conclusioni.
È bene precisare ancora una volta che tutti i risultati fin qui illustrati derivano da protocolli esclusivamente sperimentali. Nessuna linea guida, al momento, raccomanda schemi di digiuno a sostegno delle terapie oncologiche. Bisogna infatti ancora approfondire la conoscenza delle vie metaboliche sensibili al digiuno (alla base anche dell’eventuale sviluppo di farmaci in grado di mimare gli effetti determinati dalla dieta). Sarà necessario inoltre sviluppare biomarcatori in grado di valutare la sensibilità delle cellule al digiuno e la risposta complessiva dell’organismo una volta adottato questo regime nutrizionale. Sarà importante, infine, riuscire a identificare a monte i pazienti che potrebbero trarre maggiore giovamento dalla restrizione calorica e valutare quale effetto possa scaturire dal digiuno durante la somministrazione di un trattamento farmacologico.
L’attenzione alla dieta nel corso delle terapie oncologiche ha primariamente un obiettivo: evitare la comparsa della malnutrizione per difetto. Si tratta di una condizione che scaturisce dal depauperamento delle riserve dell’organismo (energetiche, proteiche e di altri nutrienti), che può compromettere lo stato di salute e comportare, nelle sue forme più gravi, la comparsa di altre malattie se non addirittura il decesso. In Italia si stima che questo problema provochi circa 30.000 decessi ogni anno tra i pazienti oncologici. Per questo la nutrizione nei pazienti oncologici deve essere considerata altrettanto importante di quanto lo sia nella prevenzione primaria. Per prima cosa occorre sapere che la presenza di un tumore può causare una condizione di anoressia, con conseguente marcata perdita di peso. Se non si adottano misure adeguate, può subentrare la cachessia, caratterizzata dalla perdita di massa muscolare (associata o meno a quella di massa grassa). La priorità, nei pazienti oncologici normopeso, è dunque la prevenzione del dimagrimento. Se l’alimentazione naturale è possibile, è consigliato seguire un piano dietetico personalizzato il più possibile rispondente alle preferenze dei pazienti. Dal punto di vista pratico, si possono adottare alcuni accorgimenti per aiutare i malati di cancro a seguire una dieta bilanciata, che preveda l’assunzione dei nutrienti (carboidrati, proteine, grassi, vitamine e sali minerali) attraverso il consumo di tutti i gruppi di alimenti (carni, pesce, uova; latte e derivati; cereali, tuberi e derivati; legumi; oli e grassi da condimento; ortaggi e frutta). Ai pazienti oncologici si consiglia di mangiare poco, ma spesso, tenendo sempre a portata di mano qualcosa da sgranocchiare, e di farlo lentamente, masticando bene e riposando dopo ogni pasto. Se l’appetito è buono, non dovrebbe essere difficile assumere adeguate quantità di calorie e proteine. Al contrario, se è scarso, si può optare per alimenti più ricchi in calorie e proteine, per garantire un apporto congruo di nutrienti attraverso un numero inferiore di pasti. In questi casi, si possono poi sostituire i piccoli pasti con bevande nutrienti dolci o saporite. Tra gli alimenti da prediligere si segnalano in particolare: cereali integrali, legumi ben cotti (anche in crema), pesce (meglio se azzurro) e verdure di stagione. Da limitare invece le carni rosse e lavorate (salumi, insaccati), i formaggi molto grassi e tutti gli alimenti a base di amido e composti da zuccheri semplici (frumento, patate, mais), responsabili dell’aumento dell’indice glicemico. Altre indicazioni possono essere fornite sulla base dei bisogni di ciascun paziente, per limitare la comparsa di effetti collaterali. Per ulteriori informazioni vi suggeriamo di leggere questo articolo.
Fabio Di Todaro
Articolo pubblicato il:
10 aprile 2023