Ultimo aggiornamento: 1 settembre 2021
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Il seno è posto tra la pelle e la parete del torace ed è costituito da un insieme di ghiandole e tessuto adiposo. Le strutture ghiandolari, chiamate lobuli, sono unite tra loro a formare un lobo, e in un seno vi sono da 15 a 20 lobi. Il latte giunge al capezzolo dai lobuli attraverso piccoli tubi chiamati dotti galattofori (o lattiferi).
Il tumore al seno è una malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata per tempo. È dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne e acquisiscono la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per invadere quelli circostanti e, col tempo, anche organi più lontani. In teoria tutte le cellule presenti nel seno possono dare origine a un tumore, ma nella maggior parte dei casi il cancro ha origine dalle cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle che formano la parete dei dotti.
L'oncologo medico Lucia Del Mastro parla del tumore al seno e dei progressi della ricerca su questa malattia.
Secondo i dati riportati nel report I numeri del cancro in Italia 2020 a cura tra gli altri dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) e l’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), il tumore della mammella resta la neoplasia più frequente in Italia.
Con 54.976 nuove diagnosi in un anno, questo tumore rappresenta infatti il 30,3 per cento di tutti i tumori che colpiscono le donne e il 14,6 per cento di tutti i tumori diagnosticati in Italia.
Tuttavia, se l’incidenza (numero di nuovi casi) è in leggera crescita soprattutto nelle donne più giovani, la mortalità è in diminuzione (una riduzione del 6 per cento nel 2020 rispetto al 2015), pur rimanendo questa malattia la prima causa di morte per tumore nelle donne.
Vi sono diversi fattori di rischio per il cancro del seno, alcuni dei quali sono detti modificabili, in quanto si può agire su di essi in modo da ridurre anche il rischio di sviluppare un tumore, mentre altri non possono essere modificati.
Tra i fattori non modificabili vi è l’età, in quanto il rischio di ammalarsi aumenta con l’invecchiamento, tanto che la maggior parte dei casi di tumore del seno interessa donne con più di 50 anni e una storia familiare o personale di tumore mammario.
In particolare, per quanto riguarda la familiarità, si stima che una percentuale compresa tra il 5 e il 7 per cento dei tumori mammari sia ereditaria, ovvero sia legata alla presenza di una mutazione trasmessa dai genitori in specifici geni.
Tra i geni più noti e studiati vi sono BRCA1 e BRCA2: mutazioni in questi geni sono responsabili del 50 per cento circa delle forme ereditarie di cancro del seno.
Gli ormoni hanno un ruolo di primo piano nel determinare il rischio di ammalarsi di tumore del seno e rappresentano fattori di rischio che, almeno in parte, possono essere modificati.
Aumentano leggermente il rischio un primo ciclo mestruale precoce (prima dei 12 anni) o una menopausa tardiva (dopo i 55 anni), ma anche l’assenza di gravidanze. Possono aumentare il rischio anche alcuni metodi contraccettivi orali come la pillola (che pure sembra ridurre le probabilità di ammalarsi di alcuni altri tipi di tumore) o alcune terapie ormonali usate in menopausa per contrastarne i sintomi.
Infine, molti dei fattori di rischio modificabili sono legati ad abitudini e comportamenti. Tra questi il sovrappeso e l’obesità, che sono spesso risultato di una dieta ricca di grassi e zuccheri e povera di frutta e verdura, hanno un ruolo di primo piano, assieme al consumo di alcol. L’allattamento al seno riduce invece il rischio.
Esistono numerosi tipi di tumore del seno e sono diversi anche i possibili metodi utilizzati per classificare queste malattie.
Nella maggior parte dei casi si tratta di carcinomi, ovvero di tumori che prendono origine da cellule epiteliali.
Il carcinoma duttale si sviluppa a partire dalle cellule dei dotti e può poi diffondersi anche oltre la parete del dotto stesso. Rappresenta tra il 70 e l'80 per cento di tutte le forme di cancro del seno.
Il carcinoma lobulare parte invece dal lobulo e si può estendere oltre la sua parete. Rappresenta il 10-15 per cento di tutti i tumori del seno e può colpire contemporaneamente ambedue i seni o comparire in più punti nello stesso seno.
Altre forme di carcinoma meno frequenti sono il carcinoma tubulare, quello papillare, quello mucinoso e quello cribriforme. Hanno prognosi favorevole.
Il carcinoma intraduttale in situ è invece una forma di tumore non invasiva (o pre-invasiva) con una prognosi molto favorevole.
In generale è possibile ridurre il proprio rischio di ammalarsi aderendo ai programmi nazionali di screening e assumendo comportamenti salutari, come per esempio mantenere un peso nella norma, svolgere attività fisica, evitare il consumo di alcolici e alimentarsi con pochi grassi e molti vegetali (frutta e verdura, in particolare broccoli e cavoli, cipolle, tè verde e pomodori).
Anche allattare i figli aiuta a combattere il tumore del seno, perché l'allattamento consente alla cellula del seno di completare la propria maturazione e quindi di essere più resistente a eventuali trasformazioni neoplastiche.
I programmi di screening oncologico nazionale prevedono la possibilità di eseguire gratuitamente la mammografia ogni due anni per tutte le donne di età compresa tra 50 e 69 anni di età. In alcune regioni è stata adottata l’estensione dello screening a donne tra 45 e 49 anni con cadenza annuale e a quelle con età tra i 70 e i 74 anni con cadenza biennale. La mammografia è senza dubbio il metodo attualmente più efficace per la diagnosi precoce.
L’ecografia è un esame molto utile in particolare per esaminare il seno giovane. Si consiglia di farvi ricorso, su indicazione del medico, in caso di comparsa di sintomi o noduli.
È inoltre buona abitudine fare una visita del seno presso un medico esperto almeno una volta l'anno, indipendentemente dall'età.
Infine, l'autopalpazione: è una tecnica che consente alla donna di individuare precocemente eventuali trasformazioni del proprio seno. La sua efficacia in termini di screening è però molto bassa: questo significa che costituisce un di più rispetto alla sola visita e alla mammografia a partire dall'età consigliata, ma non può sostituirle.
Quando lo studio della storia medica familiare o personale mette in luce specifiche caratteristiche di rischio, per esempio di aver ereditato una mutazione genetica che aumenti le probabilità di ammalarsi, il counselling genetico e l’eventuale esecuzione di test genetici per la ricerca di mutazioni nei geni BRCA 1 e 2 possono essere utili strumenti di prevenzione. Prima di sottoporsi ai test genetici è tuttavia necessario rivolgersi a un genetista esperto che confermerà o smentirà l'utilità dell'esame. In caso di positività di questi test, è possibile rafforzare le misure di controllo, usando la risonanza magnetica per identificare il tumore in una fase precoce qualora dovesse presentarsi, oppure ricorrere alla mastectomia preventiva, ovvero alla rimozione chirurgica del seno. Nei casi di mutazioni in BRCA1/2, legate anche al rischio di tumore ovarico, la mastectomia può essere accompagnata anche dalla rimozione delle ovaie.
In genere le forme iniziali di tumore del seno non provocano dolore. Uno studio effettuato in quasi mille donne con dolore al seno ha dimostrato che solo lo 0,4 per cento di esse aveva una lesione maligna, mentre nel 12,3 per cento dei casi erano presenti lesioni benigne (come le cisti) e nel resto dei casi non vi era alcuna lesione. Il dolore era provocato solo dalle naturali variazioni periodiche degli ormoni.
Eventuali noduli palpabili o addirittura visibili sono invece in genere segni di una forma tumorale già avanzata. Va sottolineato che la metà dei casi di tumore del seno si presenta nel quadrante superiore esterno della mammella.
La donna ha un ruolo attivo e di primo piano nella diagnosi precoce del tumore al seno: è importante infatti “conoscere” il proprio seno e segnalare al medico eventuali alterazioni della forma del capezzolo (in fuori o in dentro), perdite da un capezzolo solo (se la perdita è bilaterale il più delle volte la causa è ormonale) e cambiamenti della pelle (aspetto a buccia d'arancia localizzato) o della forma del seno. Anche un ingrossamento dei linfonodi ascellari potrebbe rappresentare un campanello d’allarme.
Il cancro del seno viene diagnosticato prevalentemente attraverso esami cosiddetti di “diagnostica per immagini”, in particolare la mammografia e l'ecografia mammaria: la scelta di quale dei due esami utilizzare dipende da diversi fattori, tra i quali l’età. In alcuni casi specifici (per esempio di fronte a mammelle molto dense o a lesioni difficili da classificare) è possibile ricorrere anche alla risonanza magnetica.
L'eventuale identificazione di noduli o formazioni sospette porta in genere il medico a consigliare una biopsia, che può essere eseguita in un ambulatorio di senologia diagnostica con un prelievo mediante un ago inserito nel nodulo. In alcuni casi particolari è possibile dover ricorrere al lavaggio dei dotti. Consiste nell'introduzione di liquido nei dotti galattofori attraverso i forellini presenti sul capezzolo. Il liquido raccolto dopo questo "lavaggio" contiene alcune cellule della parete dei dotti stessi che possono essere studiate al microscopio alla ricerca di eventuali atipie (ovvero differenze rispetto alla norma).
Sul campione prelevato vengono eseguite diverse analisi che permettono di esaminare le caratteristiche delle cellule (esame citologico) o del tessuto (esame istologico). Fondamentali, soprattutto ai fini di determinare la prognosi e il trattamento, sono le indagini molecolari che vengono effettuate sul tessuto prelevato alla biopsia per valutare alcune caratteristiche del tumore, quali l’espressione dei recettori ormonali, la velocità di crescita e l’espressione dell’oncoproteina HER-2. Sul campione istologico viene inoltre determinato il grado della malattia, ovvero quanto le cellule del tumore differiscano dalle cellule normali: un grado più basso indica una malattia meno aggressiva.
Una volta stabilita la presenza di tumore, in base alle sue caratteristiche ed estensione, il medico valuterà la necessità di effettuare ulteriori indagini radiologiche per verificare l’eventuale diffusione in altre aree dell’organismo, attraverso esami quali radiografia del torace, ecografia, tomografia computerizzata (TC), scintigrafia ossea o tomografia a emissione di positroni (PET).
Assegnare uno stadio al tumore – un processo chiamato “stadiazione” – è fondamentale per scegliere le terapie da somministrare al paziente. Come per la maggior parte dei tumori solidi, anche per il tumore mammario si utilizza il sistema di stadiazione TNM che valuta in particolare tre parametri: l’estensione della malattia (T), il coinvolgimento dei linfonodi (N) e la presenza di metastasi (M).
La scelta del percorso terapeutico dipende da diversi fattori, tra i quali le condizioni del paziente, le caratteristiche molecolari e di diffusione della malattia e molto altro ancora.
In linea generale, la maggior parte delle donne con un tumore del seno viene sottoposta a un intervento chirurgico per rimuovere i tessuti malati.
Se possibile si ricorre alla chirurgia conservativa, ovvero a interventi chirurgici che mirano a “salvare” il seno, rimuovendo solo la parte in cui si trova la lesione. Questa tecnica è chiamata anche quadrantectomia (o ampia resezione mammaria) e consiste nell’asportazione del tessuto mammario che circoscrive la neoplasia.
Talvolta è necessario asportare più di un quadrante di seno: in questo caso si parla di mastectomia parziale o totale a seconda della quantità di tessuto prelevato nell’intervento. In molti casi oggi è possibile salvare il capezzolo e gran parte della cute con la tecnica della mastectomia che conserva il complesso di areola e capezzolo (nipple sparing mastectomy). La zona areolare viene protetta con una dose di radioterapia mirata che può essere erogata direttamente in sala operatoria o nei giorni successivi.
Numerosi studi hanno dimostrato che nelle donne che hanno la possibilità di scegliere tra i due tipi di intervento, la chirurgia conservativa (seguita da radioterapia) è efficace quanto la mastectomia in termini di sopravvivenza.
La chirurgia ha un ruolo importante anche nel determinare la diffusione della malattia ai linfonodi ascellari. Asportando e poi analizzando i cosiddetti linfonodi sentinella, ovvero i primi linfonodi ascellari ai quali si può diffondere la malattia, i medici sono in grado di individuare l’eventuale presenza di cellule tumorali in tali linfonodi e definire così se sia necessario procedere alla rimozione completa o parziale di tutti i linfonodi ascellari (linfadenectomia o “svuotamento ascellare”).
Che la chirurgia sia conservativa o si tratti di una mastectomia, si può procedere alla ricostruzione del seno. In rari casi, se la donna deve sottoporsi a radioterapia, si tende ad aspettare la fine della terapia, che può interferire con la cicatrizzazione, altrimenti si può procedere alla plastica del seno anche nel corso dell'intervento stesso.
La radioterapia adiuvante (effettuata dopo l’intervento chirurgico) viene utilizzata allo scopo di proteggere la restante ghiandola mammaria sia dal rischio di recidiva locale sia dalla comparsa di una nuova neoplasia mammaria. Il trattamento dura pochi minuti e va ripetuto in genere per cinque giorni alla settimana, fino a cinque-sei settimane di seguito. In alcuni casi si può scegliere di somministrare le prime dosi di radioterapia già nel corso dell’intervento chirurgico.
Dopo l'intervento chirurgico la valutazione istologica e biologica è essenziale per definire le terapie mediche precauzionali e ridurre al minimo il rischio che la malattia possa ripresentarsi o colpire altri organi (metastasi a distanza).
Per questo motivo a molte pazienti viene proposta una terapia con farmaci anticancro, come la chemioterapia, le terapie ormonali o i trattamenti con farmaci che vanno a colpire specifici bersagli molecolari.
La chemioterapia è utile, ma non sempre è necessaria, e viene prescritta dopo una valutazione personalizzata delle caratteristiche di ogni caso. In alcuni casi selezionati di tumori in fase iniziale con recettori ormonali positivi (ER+) e con recettori del fattore di crescita epidermico umano 2 negativi (HER2-), può essere valutato da parte dei medici l’utilizzo di test genomici, per esempio l’Oncotype DX Breast Recurrence Score® di cui è stata approvata a luglio 2021 la rimborsabilità. Questo test, che analizza l’espressione di un gruppo di geni del tumore del seno asportato, aiuta a identificare le donne per le quali la chemioterapia adiuvante può essere utile in aggiunta a quella ormonale, distinguendole da quelle che invece possono evitarla.
Alcune volte può invece essere necessario ricorrere all'uso della chemioterapia neoadiuvante, ovvero somministrata prima dell'intervento chirurgico per ridurre la dimensione del tumore.
Come già accennato in altre sezioni, gli ormoni svolgono un ruolo importante del determinare il rischio di tumore del seno, ma sono fondamentali anche nella scelta del trattamento adiuvante. Se una malattia presenta infatti recettori ormonali per gli estrogeni e per il progesterone (circa 2 tumori su 3), è possibile fare ricorso a farmaci che – agendo proprio su tali recettori – riescono a bloccare l’azione degli ormoni e di conseguenza limitare la crescita delle cellule tumorali. Il tamoxifene, una delle terapie ormonali più note e diffuse, viene prescritto sottoforma di pillole per cinque anni dopo l'intervento.
Sempre allo scopo di ridurre l’azione degli ormoni, in questo caso abbassandone il livello, vengono utilizzati anche gli inibitori delle aromatasi, utili soprattutto nelle donne che sono già in menopausa.
Nelle donne in età fertile può invece essere anche necessario prescrivere un inibitore LH-RH analogo, un farmaco che induce una menopausa temporanea. Tale trattamento viene associato al tamoxifene o a un inibitore dell’aromatasi.
Le terapie a bersaglio molecolare, note anche come farmaci mirati, possono avere un ruolo centrale nella terapia del tumore del seno, se sono presenti specifiche caratteristiche molecolari della cellula tumorale.
Nel caso di tumori positivi per HER2, che rappresentano circa il 15 per cento circa di tutti i tumori del seno e tendono a crescere più velocemente, sono disponibili diversi farmaci mirati, tutti pensati per colpire il bersaglio HER2: in particolare gli anticorpi monoclonali come trastuzumab e pertuzumab.
Per quanto riguarda il tumore al seno in stadio avanzato, e quindi che ha già prodotto metastasi, anche in questo caso esistono diversi tipi di trattamenti, come per esempio terapie anti-ormonali, chemioterapie o terapie a bersaglio molecolare anti-HER2, che possono essere prescritti dal medico oncologo, sulla base delle caratteristiche della paziente e di quelle istologiche e molecolari del tumore.
Esistono anche nuovi farmaci che vengono associati alle terapie antiormonali, come gli inibitori di CDK4/6 (palbociclib, ribociclib o abemaciclib) o il trattamento mirato contro la mutazione di PIK3CA (alpelisib) per quei tumori che presentano tale alterazione.
A questo gruppo già numeroso di terapie, vanno aggiunti infine gli inibitori di PARP (olaparib o talazoparib), farmaci specifici che hanno appunto come bersaglio la proteina PARP, coinvolta nei meccanismi di riparazione del DNA, e che sono oggi riservati a pazienti con tumori in stadio avanzato che presentano mutazioni nei geni BRCA.
Infine, non meno importante è anche l’immunoterapia in combinazione con la chemioterapia, che può essere utile nel trattamento di alcuni tumori mammari in stadio avanzato, in particolare quelli definiti tripli negativi (che cioè non presentano i tre bersagli molecolari contro i quali sono disponibili terapie efficaci: ER, PR e HER2) e che esprimono la proteina PDL1.
Molte donne di età compresa tra i 30 e i 50 anni mostrano segni di displasia mammaria, un'alterazione benigna dei tessuti del seno che non ha nulla a che vedere col tumore ma che può suscitare qualche preoccupazione al momento della diagnosi.
Esistono diverse forme di displasia, la più comune delle quali è la malattia fibrocistica.
Nella displasia fibrocistica a piccole cisti, più frequente tra i 30 e i 40 anni, sono presenti cisti piccole, ripiene di liquido, più evidenti durante il periodo premestruale. Può essere presente dolore. Nella displasia a grosse cisti, più frequente nelle donne tra i 40 e i 50 anni, si osserva invece la presenza di una o più grandi cisti, di forma rotondeggiante, a contenuto liquido.
Il tumore benigno più frequente è il fibroadenoma, che compare soprattutto tra i 25 e i 30 anni. Si presenta come un singolo nodulo, duro e molto mobile, generalmente doloroso.
I sintomi che accompagnano le displasie e i fibroadenomi sono senso di tensione al seno, dolore alla mammella, comparsa di noduli palpabili.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zoe