Ultimo aggiornamento: 25 marzo 2019
Titolo originale dell'articolo: Immune signature drives leukemia escape and relapse after hematopoietic cell transplantation
Titolo della rivista: Nature Medicine
Data di pubblicazione originale: 25 marzo 2019
I risultati di due ricerche, pubblicati in contemporanea, descrivono i meccanismi che le cellule leucemiche mettono in atto per sfuggire all’attacco del sistema immunitario dopo il trapianto di midollo osseo. Una scoperta che potrà avere importanti ricadute cliniche.
La leucemia mieloide acuta è un tumore del sangue che si sviluppa dalle cellule staminali ematopoietiche contenute nel midollo osseo e dà origine a globuli bianchi anomali.
La distruzione delle cellule staminali malate con la chemioterapia e il successivo trapianto di midollo osseo da donatore è una delle terapie più efficaci per curare questa forma tumorale. Sebbene questa strategia dia ottimi risultati, una fetta consistente dei pazienti va però incontro a una recidiva.
Recentemente si è scoperto che una parte importante delle recidive è dovuta alla capacità delle cellule leucemiche di trasformarsi e sfuggire così all’attacco del sistema immunitario. In particolare le cellule tumorali sono in grado di indurre mutazioni nel proprio DNA che le rendono simili (e quindi invisibili) alle cellule del sistema immunitario trapiantato. Grazie a questa scoperta oggi si sa che in questi casi è necessario ricorrere a un secondo trapianto di midollo, da un donatore diverso dal primo.
Questa strategia viene messa in atto però soltanto nel 30 per cento delle recidive. Ora i risultati di due studi, realizzati grazie al sostegno dell'AIRC e pubblicati in contemporanea su Nature Medicine e Nature Communications, hanno svelato cosa avviene in un altro 50 per cento delle recidive, fornendo così una strategia per personalizzare sempre di più il trattamento dei pazienti con leucemia mieloide acuta che vanno incontro a ricadute.
La ricerca è stata coordinata da Luca Vago, Chiara Bonini e Fabio Ciceri, rispettivamente medico e capo unità di ricerca; vice direttrice della divisione di ricerca in Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive; e primario dell’Unità di Ematologia e Trapianti di Midollo Osseo presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
“Abbiamo scoperto che le cellule leucemiche sono capaci di mettere in atto due differenti strategie epigenetiche: una consiste nel nascondere dalla propria superficie le molecole di cui il sistema immunitario ha bisogno per riconoscerle, l’altra è dotarsi di molecole che spengono il sistema immune. Nel primo caso, dunque, si rendono invisibili ai sistemi di difesa dell’organismo, nell’altro ne compromettono la funzionalità”, dice Luca Vago.
Queste modifiche, a differenza delle mutazioni del DNA, non sono irreversibili: con opportune misure è dunque possibile ripristinare l’efficacia della risposta del sistema immunitario e contrastare la recidiva.
“Nel primo caso, attraverso un’opportuna gestione dei farmaci immunosoppressori che vengono normalmente usati dopo il trapianto di midollo, è possibile indurre uno stato infiammatorio in grado di rendere nuovamente riconoscibili le cellule leucemiche al sistema immunitario”, dice ancora Vago. “Nel secondo potrebbero dimostrarsi efficaci quegli stessi farmaci immuno-oncologici che negli ultimi anni hanno rivoluzionato la cura di alcuni tumori come il melanoma, e che funzionano proprio “riattivando” il sistema immunitario”.
Occorreranno altre ricerche prima di giungere all’applicazione clinica, che richiederà, oltre alla verifica dell’efficacia e della sicurezza di questi approcci, l’utilizzo di strumenti diagnostici che consentano di distinguere a quale delle due strategie è imputabile la recidiva. “Invertire i trattamenti nei due casi rischia di essere non solo inefficace, ma addirittura controproducente”, precisa Vago. “Tuttavia comprendere, caso per caso, quale meccanismo dà origine alla recidiva permetterà di classificare i pazienti e dare loro un trattamento specifico. Un approccio personalizzato che permetterà sicuramente di migliorare gli esiti terapeutici”.
Antonino Michienzi