Il tumore del seno colpisce circa 1 donna su 18 nel periodo di massima incidenza (50-69 anni) e 1 donna su 8 nel corso della vita. Si può però fare molto per ridurre il rischio del tumore al seno o per diagnosticare la malattia in fasi precoci, quando è più curabile.
Secondo il rapporto “I numeri del cancro 2023”, pubblicato a cura di AIRTUM, AIOM e Fondazione AIOM, in Italia per il 2023 sono state stimate circa 55.500 nuove diagnosi di tumore al seno nelle persone di sesso femminile e circa 500 nelle persone di sesso maschile. Si tratta della neoplasia più frequente nelle donne in tutte le fasce di età, con un continuo aumento dell’incidenza (+0,2 per cento ogni anno negli ultimi anni). Grazie, però, ai continui progressi della medicina e agli screening di popolazione per la diagnosi precoce, oggi di tumore del seno si muore meno che in passato. La mortalità è infatti calata di circa il 6 per cento circa dal 2015 al 2020, secondo gli ultimi dati disponibili. Circa 9 donne su 10 (88%) sono vive dopo 5 anni dalla diagnosi di tumore mammario e 8 su 10 (80%) lo sono a 10 anni dalla diagnosi.
Sono stati identificati molti fattori di rischio per questo tipo di tumore. Alcuni sono modificabili, come abitudini e comportamenti dannosi, quali un’alimentazione povera di frutta e verdura e ricca di grassi animali, l’abitudine al fumo e una vita particolarmente sedentaria. Altri fattori di rischio, invece, non si possono modificare, come i fattori genetici e l’età: la maggior parte di tumori del seno colpisce donne oltre i 50 anni.
Ci sono inoltre alcuni fattori legati alla vita riproduttiva della donna che possono influenzare il rischio di tumore del seno: per esempio, una prima gravidanza prima dei 30 anni e l’allattamento al seno sono protettive contro la malattia.
Circa il 510 per cento dei tumori della mammella sono associati a fattori di rischio ereditari, in particolare a mutazioni nel DNA che in circa un quarto dei casi interessano i geni BRCA1 o BRCA2. Secondo le stime sempre di AIRTUM, AIOM e Fondazione AIOM, il rischio di ammalarsi nel corso della vita di tumore mammario è pari a circa il 65 per cento per le donne portatrici di mutazioni del gene BRCA1, mentre la percentuale scende al 40 per cento circa se la mutazione interessa il gene BRCA2. Pertanto, alle donne portatrici di tali mutazioni il servizio sanitario offre gratuitamente la possibilità di entrare in programmi di sorveglianza che includono anche la risonanza magnetica mammaria, a partire dalla giovane età.
La prevenzione del tumore del seno deve cominciare a partire dai 25 anni con l’autopalpazione, affiancata alla mammografia biennale dopo i 45-50 anni. Nelle donne giovani, l’ecografia e la mammografia si eseguono solo in caso di necessità.
L’autopalpazione è un esame che ogni donna può effettuare comodamente a casa propria: permette di cogliere precocemente cambiamenti nelle mammelle.
L’esame si svolge in due fasi: l’osservazione, che permette di individuare alterazioni nella forma del seno o del capezzolo, e la palpazione, che può far percepire la presenza di piccoli noduli che prima non c’erano.
Quando si parla di autopalpazione si pensa solo a un esame per la ricerca di noduli nella ghiandola mammaria, ma in realtà grazie a questo esame possono emergere altri segnali che devono spingere a consultare un medico, come retrazioni o cambiamenti della pelle, perdite di liquido dai capezzoli e cambiamenti di forma della mammella.
A partire dai 25 anni l’esame può essere effettuato una volta al mese tra il settimo e il quattordicesimo giorno del ciclo (contando a partire dal primo giorno di mestruazioni). Rispettare questi tempi è importante perché la struttura del seno si modifica in base ai cambiamenti ormonali mensili, per cui effettuando l’autopalpazione in un periodo diverso da quello consigliato si potrebbero creare confusioni o falsi allarmi.
È bene ricordare che, oltre agli ormoni, anche l’età, il peso corporeo, la familiarità e l’uso di contraccettivi orali influenzano la struttura del seno. A volte, specialmente nelle donne giovani, il seno è particolarmente denso e difficile da valutare correttamente con l’autoesame.
Tra i 40 e i 50 anni il numero di nuovi casi (in gergo, incidenza) di tumore del seno aumenta in modo rapido e costante. Quindi, per le donne in questa fascia di età l’autopalpazione è particolarmente raccomandata come strumento di prevenzione, per cui è importante che sia effettuato con regolarità. Con il sopraggiungere della menopausa si può eseguire questo controllo in qualunque periodo del mese.
L’autopalpazione è un primo strumento di prevenzione del tumore del seno, ma da sola non basta. A partire dai 45-50 anni, o anche prima in caso di familiarità o alterazioni, deve essere abbinata a visite senologiche e a esami strumentali più precisi come ecografia o mammografia.
La visita senologica consiste nell’esame clinico completo del seno da parte di un medico specializzato. L’esame, semplice e indolore, è effettuato nello studio del medico senza l’ausilio di particolari strumenti. Questo tipo di valutazione da sola in genere non è sufficiente a formulare una diagnosi precisa, ma può essere utile a chiarire situazioni sospette.
Il senologo, prima di cominciare l’esame vero e proprio delle mammelle, si occupa dell’anamnesi, ovvero della raccolta di informazioni utili alla diagnosi: eventuale presenza di casi di tumore del seno in famiglia, età di comparsa del primo ciclo mestruale e della menopausa, numero di gravidanze, alimentazione, uso di terapie ormonali (per esempio contraccettivi orali e terapie ormonali sostitutive in menopausa). Solo dopo aver terminato questa fase il senologo procede con l’esame clinico, che parte con l’osservazione e termina con la palpazione.
La visita annuale dal senologo non è necessaria per le donne più giovani, ma è sufficiente rivolgersi al proprio medico di famiglia o al ginecologo per i controlli. In caso di dubbio sono proprio il medico di famiglia o il ginecologo a consigliare una visita senologica specialistica durante la quale, grazie anche a esami come l’ecografia, è possibile distinguere tra patologie maligne e benigne del seno e se necessario, impostare un percorso terapeutico adeguato.
Esistono strumenti molto efficaci per la diagnosi precoce del tumore del seno, primo tra tutti la mammografia, affiancata da altri, come ecografia o risonanza magnetica. La prevenzione è fondamentale perché individuare un tumore ancora molto piccolo aumenta notevolmente la possibilità di curarlo in modo efficace, ma è importante che venga scelto lo strumento più adatto.
Tra i 20 e i 40 anni generalmente non sono previsti esami particolari. Solo in situazioni specifiche, per esempio in caso di familiarità o di scoperta di noduli, si approfondisce l’analisi con un’ecografia o una biopsia (agoaspirato) del nodulo sospetto. La mammografia non è raccomandata, perché in questa fascia d’età il tessuto mammario è molto denso, per cui renderebbe poco chiari i risultati. Ci sono però alcune eccezioni: nelle linee guida AIOM si legge infatti che sarebbe opportuno iniziare i controlli mammografici già a 25 anni o comunque 10 anni prima dell’età di insorgenza del tumore nella parente più giovane delle donne ad alto rischio, nonostante i limiti di sensibilità della tecnica in questa popolazione. Sono considerate donne ad alto rischio quelle che hanno un’importante storia familiare di carcinoma mammario o che presentano una mutazione di BRCA1 o BRCA2.
Tra i 40 e i 50 anni le donne con casi di tumore del seno in famiglia dovrebbero cominciare a sottoporsi a mammografia, meglio se associata a ecografia, vista la struttura ancora densa del seno.
Tra i 50 e i 69 anni il rischio di sviluppare un tumore del seno è maggiore e di conseguenza alle donne in questa fascia di età è raccomandato un controllo mammografico biennale. All’interno della comunità scientifica internazionale, gli esperti sono in genere d’accordo nel sostenere l’utilità della mammografia come strumento di screening per la popolazione di età compresa tra 50 e 69 anni, mentre rimane aperto il dibattito per quanto riguarda la fascia dai 40 ai 49 anni e anche quella sopra i 70 anni. Anche la frequenza ottimale dei controlli resta oggetto di discussione.
Nelle donne positive al test genetico per BRCA1 o BRCA2, in aggiunta alla mammografia e alla visita clinica è indicata anche una risonanza magnetica annuale.
Quando gli esami strumentali danno esiti dubbi, si procede con ulteriori accertamenti diagnostici, come la biopsia, per escludere o confermare la presenza di un eventuale tumore.
Per la prevenzione del cancro gli esami di controllo periodici sono importanti, ma anche abitudini e comportamenti salutari contribuiscono a ridurre il rischio di ammalarsi. In particolare, si stima che adottare abitudini più sane possa contribuire a evitare la comparsa di circa 1 cancro su 3.
Per raggiungere questo importante traguardo di prevenzione, i suggerimenti sono molto semplici e riguardano in modo particolare alimentazione, esercizio fisico e abitudini voluttuarie, cioè quelle abitudini che danno piacere ma sono pericolose per la salute, come il fumo o il consumo di alcol.
È quindi importante evitare di esporsi a fumo e il più possibile anche agli alcolici nel corso dell’intera vita.
Questi semplici suggerimenti sono validi, con qualche opportuna modifica, per tutte le età.
Gli ormoni, e in particolare gli estrogeni, hanno un ruolo fondamentale nel regolare i processi legati alla fertilità e possono influenzare il rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro. Tutto comincia con il primo ciclo mestruale, che nel corso di ogni mese determina profondi cambiamenti nel corso del periodo fertile fino all’avvento della menopausa, quando si instaurano nuovi equilibri ormonali. Ogni fase della vita della donna è dunque caratterizzata da un tipico quadro ormonale e anche per questo il rischio di sviluppare un tumore cambia con l’età.
Tra i 20 e i 40 anni, per esempio, l’utilizzo della pillola contraccettiva e le eventuali gravidanze sono gli eventi più importanti dal punto di vista ormonale. In particolare, gli ormoni assunti con la pillola potrebbero diminuire il rischio di tumore ovarico (di cui sono, di fatto, l’unico mezzo farmacologico preventivo), a costo di un lievissimo aumento del rischio di tumore al seno (più con le vecchie pillole ad alto dosaggio che con quelle attuali, a basso dosaggio). Invece le gravidanze e l’allattamento al seno per i primi mesi di vita del bebè hanno un effetto protettivo contro il tumore del seno e dell’ovaio. Gli ormoni assunti per le cure contro l’infertilità sembrano aumentare un poco il rischio di sviluppare tumori dell’ovaio, soprattutto nei casi in cui dopo i trattamenti non sono nati bambini, ma i dati non sono ancora conclusivi.
La fascia di età compresa tra i 50 e i 60 anni è in genere caratterizzata da un cambiamento importante dal punto vista ormonale, che avviene durante la menopausa. Le ovaie smettono di produrre ormoni, quindi l’organismo è meno esposto all’azione degli estrogeni, in genere responsabili di un aumento del rischio di cancro. La terapia ormonale sostitutiva a base di estrogeni a volte è utilizzata nella speranza di contrastare alcuni effetti negativi della menopausa (per esempio vampate di calore, osteoporosi e problemi di memoria). Tali trattamenti sono però un fattore di rischio per alcuni tipi di tumore, come quello dell’endometrio e quello del seno. La prescrizione di questa terapia, drasticamente diminuita rispetto al passato, è tuttavia ancora comune e resta oggetto di dibattito. È quindi fondamentale valutare con estrema attenzione assieme al proprio medico i rischi e benefici di una terapia ormonale sostitutiva, ricordando che almeno alcuni sintomi della menopausa possono essere, se non sopportati con pazienza, quantomeno alleviati con modifiche di abitudini e comportamenti.
La maggior parte dei tumori è di tipo sporadico, ovvero si manifesta a causa di nuove mutazioni genetiche, che non sono state trasmesse dai genitori. In non più del 10 per cento di tutti i casi di tumore il rischio è invece anche ereditario, ovvero legato a un gene mutato presente anche in almeno uno dei genitori.
Oggi esistono numerosi test genetici con cui è possibile stabilire la presenza di determinate mutazioni, alcune delle quali possono contribuire all’aumento del rischio di sviluppare un tumore. Tra i tumori per i quali esiste questa possibilità sono proprio quelli del seno e dell’ovaio. È stato infatti osservato che chi ha una madre o una sorella con una di queste patologie, soprattutto se diagnosticata in giovane età, corre un rischio maggiore di svilupparla nel corso della vita rispetto a chi non ha mai avuto casi di tumore del seno o dell’ovaio in famiglia. I geni BRCA1 e BRCA2 predispongono infatti a questi tipi di cancro.
Per fare questi esami occorre rivolgersi a un medico genetista. Esistono criteri molto precisi con cui il medico genetista valuta se sia opportuno eseguire i test genetici. Tali criteri comprendono innanzitutto l’età di insorgenza del tumore al seno o all’ovaio nella paziente, quindi alcune caratteristiche del tumore, l’età di insorgenza dello stesso tipo di tumore nei familiari, nello stesso lato della famiglia, e il grado di parentela.
Più in dettaglio, secondo le ultime linee guida dell’AIOM, il medico può suggerire un consulto con un genetista se vi sono una o più di queste condizioni:
La persona affetta da tumore del seno:
La persona ha avuto un tumore del seno prima dei 50 anni e ha un familiare di primo grado (cioè un genitore, un fratello, una sorella, un figlio o una figlia) che ha avuto:
Inoltre, sempre secondo AIOM, è consigliabile sottoporsi a un consulto con un genetista anche se la paziente ha avuto una diagnosi di tumore al seno dopo i 50 anni ma ha almeno due o più parenti di primo grado tra loro, di cui uno di primo grado con lei, che hanno avuto un tumore della mammella o del pancreas.
Una volta stabilita la necessità di sottoporsi all’esame, dopo il colloquio con un genetista medico, si procede con un banale prelievo di sangue, dal quale in laboratorio viene estratto il DNA da analizzare. Se il risultato è positivo, significa che è stata trovata una delle mutazioni che possono aumentare il rischio di sviluppare un tumore. Se invece il risultato è negativo, significa che le mutazioni non sono state trovate.
Poiché la scoperta di una mutazione che aumenta il rischio di tumore al seno o all’ovaio può riguardare anche altri familiari, il medico genetista può invitare anche questi a considerare di sottoporsi all’esame, per conoscere il proprio assetto genetico e le eventuali misure di contenimento del rischio.
È importante sottolineare che avere ereditato una mutazione di questo tipo non significa essere certi di presentare prima o poi la malattia. Piuttosto, equivale ad avere un rischio più elevato rispetto a chi non ha la mutazione. Il test genetico non è dunque uno strumento di prevenzione nel senso classico del termine, ma serve a fornire informazioni sul rischio eventualmente aumentato di ammalarsi di tumore nel corso della vita, e deve essere svolto solo dopo una consulenza con il genetista medico che ne valuta l’opportunità.
In base al risultato del test, il genetista medico saprà raccomandare un piano di prevenzione individuale, basato su controlli più frequenti e accurati che permetteranno di gestire al meglio il rischio e di individuare un eventuale tumore nelle sue fasi più precoci. Al momento attuale, tranne che per il seno e l’ovaio, non esistono test genetici disponibili per gli altri tipi di tumore esclusivamente femminili, dato che nella maggioranza dei casi non sono legati a fattori ereditari.
Autore originale: Agenzia Zoe
Revisione di Sofia Corradin in data 29/10/2024
Agenzia Zoe
Articolo pubblicato il:
29 ottobre 2024