Il virus del papilloma umano (HPV) è il principale responsabile dell'insorgenza dei tumori della cervice uterina, oltre che di numerosi tumori soprattutto della testa e del collo. Da qualche anno, non solo per le donne, c’è uno strumento in più per difendersi da questo tipo di tumore: il vaccino anti-HPV
Il virus del papilloma umano (HPV) è la condizione necessaria per l’insorgenza dei tumori della cervice uterina, anche se, per fortuna, non tutte le infezioni di questo tipo danno origine a un cancro. La maggior parte delle infezioni da HPV si risolve infatti spontaneamente, grazie all’eliminazione spontanea del virus da parte del sistema immunitario. In alcuni casi più rari, tuttavia, l’infezione (in particolare da parte di alcuni ceppi virali) può portare allo sviluppo di un cancro. L’HPV è considerato responsabile della quasi totalità dei tumori della cervice uterina, e di una quota in crescita di altri tumori più rari, per esempio all’ano, alla vagina e al tratto oro-faringeo. Dal 2007 è possibile prevenire le infezioni provocate dai ceppi di HPV più pericolosi con uno strumento semplice e importante: la vaccinazione anti-HPV.
Secondo i dati dell’AIRTUM (Associazione italiana registri tumori), per il 2020 sono stati stimati in Italia 2.365 nuovi casi di tumore della cervice uterina, una malattia che nel 2017 ha causato 494 decessi. Sia i casi sia i decessi sono in continua e forte riduzione fin dall'inizio degli anni Ottanta, per effetto delle campagne di screening per la diagnosi precoce di cancro della cervice tramite il Pap-test. Questo esame permette infatti di individuare eventuali lesioni pre-cancerose e intervenire così prima che si sviluppi il cancro. Dalla sua introduzione negli anni Cinquanta a oggi, il Pap-test ha permesso di ridurre enormemente l’incidenza e la mortalità del carcinoma della cervice uterina, quanto meno nei Paesi ad alto reddito, ed è tutt’ora un esame semplice e di fondamentale importanza.
Il carcinoma della cervice uterina resta invece un’importante causa di malattia e morte per le donne nei Paesi più poveri, dove i programmi di screening, quando esistono, non riescono a raggiungere ampie fasce della popolazione.
Negli ultimi anni al Pap-test si sta affiancando il cosiddetto HPV-DNA test, un esame per identificare sulla superficie del collo dell'utero la presenza di tracce di DNA di papillomavirus.
Insieme agli esami di screening, uno strumento importantissimo per limitare il rischio di sviluppare un cancro associato all’HPV è la vaccinazione. Con i vaccini si possono infatti prevenire le infezioni, dato che sono efficaci contro i ceppi virali responsabili della maggior parte dei casi di tumore. I vaccini anti-HPV sono raccomandati in Italia a partire dal compimento degli 11 anni a maschi e femmine, perché anche i maschi possono sviluppare alcuni tipi di cancro associati a questa infezione. Inoltre, vaccinando ragazzi di entrambi i sessi, si limita ulteriormente la circolazione virale. La vaccinazione è gratuita ed è molto efficace nel prevenire le lesioni precancerose associate a HPV. La somministrazione avviene per via intramuscolare e consiste in due richiami per chi si vaccina prima dei 15 anni, e in tre per chi si vaccina successivamente.
I primi vaccini a partire dal 2007 sono stati di due tipi. Il bivalente era diretto contro i ceppi 16 e 18 del virus, in grado di causare lesioni precancerose e responsabili del 70 per cento circa dei tumori della cervice uterina. Il quadrivalente poteva invece prevenire l’infezione anche dei ceppi 6 e 11, che causano la formazione a livello genitale di condilomi, escrescenze o protuberanze dovute a lesioni di natura benigna della cute o delle mucose.
Dal 2017 è in uso un terzo vaccino, detto nonavalente, che oltre a HPV 6, 11, 16 e 18, assicura la protezione contro altri cinque ceppi capaci di indurre il cancro, prevenendo oltre il 90 per cento delle forme tumorali associate al virus.
In un primo tempo la vaccinazione era articolata in tre dosi somministrate nell’arco di sei mesi, mentre oggi è stato dimostrato che, entro i 15 anni di età, anche due dosi garantiscono una buona protezione. Per vaccinazioni in età successive, invece, ne sono ancora consigliate tre.
Gli studi clinici hanno dimostrato che i vaccini sono in grado di prevenire oltre il 90 per cento dei tumori associati a HPV. Infatti, prevenendo l’infezione da parte dei ceppi del virus contro cui sono diretti, prevengono anche la formazione di lesioni precancerose che nel tempo potrebbero progredire in un tumore. Oltre a essere altamente efficaci, questi vaccini sono anche sicuri e generalmente ben tollerati.
Data la loro introduzione relativamente recente, non è invece ancora nota con certezza la durata della protezione. Sulla base delle osservazioni raccolte finora, sembra che si estenda almeno a dodici anni per i vaccini bivalenti e quadrivalenti, e almeno a sei per il nonavalente. Alcuni esperti ritengono possa essere anche più lunga, ma non si può, al contrario, neanche escludere che in futuro si dimostrerà necessario aggiungere successive dosi di richiamo per rafforzarne l’effetto.
Anche le persone vaccinate devono sottoporsi a regolari controlli di screening per il tumore del collo dell'utero a partire dai 25 anni. Il vaccino-anti HPV protegge, infatti, solo da alcuni ceppi pericolosi del virus e non da altri che, anche se più raramente, possono causare lesioni cellulari a livello della cervice. L’uso del profilattico non basta a proteggere dall’infezione, perché il virus può comunque infettare le mucose orali o le aree genitali non coperte dal preservativo. Quest’ultimo deve essere comunque raccomandato sempre, anche alle persone vaccinate, tanto per evitare gravidanze indesiderate quanto per proteggere da molte altre infezioni a trasmissione sessuale.
L’altissima protezione offerta dal vaccino può venire meno contro ceppi che l’organismo può avere già incontrato. Ecco perché la vaccinazione è raccomandata e gratuita per l’età (11-12 anni), in cui normalmente ragazzi e ragazze non hanno ancora iniziato l’attività sessuale, il principale veicolo di trasmissione del virus. Per eventuali vaccinazioni in età successive, la vaccinazione è comunque approvata dall’Agenzia europea dei medicinali (EMA) e offerta in Italia a prezzo agevolato in alcune regioni fino a 26 anni, dato che può comunque prevenire infezioni di ceppi virali non ancora incontrati dalle persone.
I dati emersi da studi condotti oramai su milioni di ragazze hanno mostrato che i vaccini anti-HPV non provocano eventi avversi di rilievo. I più comuni effetti collaterali sono una leggera febbre e arrossamento e gonfiore nel punto di iniezione. Potrebbero inoltre insorgere mal di testa, disturbi gastrointestinali, un leggero senso di malessere o dolori muscolari, ma si tratta comunque di fenomeni passeggeri.
I vaccini contro l’HPV sono di ultima generazione: non contengono i virus interi attenuati o inattivati, ma solo proteine in grado di provocare una risposta immune. Poiché non contengono materiale genetico, non possono infettare le cellule né replicarsi.
Alla fine del 2015, il Global Advisory Committee on Vaccine Safety dell'Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un documento in cui conferma la loro tollerabilità. Uno studio francese del 2017 aveva suggerito che, soprattutto nei primi tre mesi dopo la vaccinazione, potrebbe esserci un aumento di incidenza di una rara condizione autoimmune, la sindrome di Guillain-Barré. La revisione sistematica della letteratura e dei casi segnalati raccolti nell’arco di vent’anni, però, evidenzia la mancanza di significatività statistica per questa associazione.
Un certo rilievo è stato dato anche al presunto legame tra la vaccinazione contro HPV e due sindromi chiamate in sigla CRPS (complex regional pain syndrome) e POTS (postural orthostatic tachycardia syndrome). La prima è una condizione dolorosa, che in genere riguarda un solo arto e tende a sparire con il tempo. La seconda è l’accelerazione del battito cardiaco, con possibile svenimento, che segue alla rapida assunzione della posizione eretta. Si tratta in entrambi i casi di sintomi aspecifici, che potrebbero avere molte cause, compreso anche il calo dell’adrenalina che segue all’ansia della vaccinazione specie nelle bambine, e che si sovrappongono parzialmente a quelli della sindrome da affaticamento cronico. A oggi non è stato dimostrato un legame tra questi sintomi e la vaccinazione.
In generale, alla fine del 2022 l’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un position paper nel quale riporta che il vaccino è stato introdotto nei programmi vaccinali di 125 paesi per le ragazze, e in 47 anche per i ragazzi. Dal 2006, quando è stato autorizzato il primo vaccino, sono state somministrate oltre 500 milioni di dosi, senza gravi rischi per la salute a esclusione di rari casi di reazioni allergiche (anafilassi).
Il virus del papilloma umano (HPV, dall'inglese Human Papilloma Virus) comprende una famiglia di ceppi virali a DNA che infettano le cellule epiteliali squamose, cioè quelle cellule piatte che ricoprono la superficie della pelle e delle mucose, ma anche le cellule epiteliali che costituiscono le ghiandole. Sono coinvolti nella genesi sia di tumori squamosi sia di adenocarcinomi. Attaccano quindi la cute e i rivestimenti di alcune cavità corporee come quelle di bocca, gola, cervice, vulva, vagina e ano.
Si conoscono più di 120 ceppi diversi di HPV, ognuno contraddistinto da un numero, ma solo alcuni di essi, circa 13 tra i 40 che colpiscono le zone genitali, sono responsabili del tumore della cervice uterina e, pertanto, sono chiamati ceppi ad alto rischio. A livello cutaneo è possibile che alcuni tipi di HPV inducano la formazione di verruche o di condilomi, escrescenze benigne che compaiono nell'area ano-genitale di uomini e donne. I ceppi di HPV 6 e 11 sono responsabili di circa il 90 per cento di tali manifestazioni e sono detti a basso rischio, poiché generalmente non causano cambiamenti cellulari che possono evolvere in tumore.
Nella maggior parte dei casi l'infezione causata da un virus HPV passa inosservata poiché non provoca effetti di rilievo. Così com'è arrivata, spesso se ne va senza che i pazienti se ne accorgano. Nel 70-90 per cento dei casi il sistema immunitario riesce, infatti, a debellare il virus spontaneamente nel giro di due anni. Quando però l'infezione da parte di un ceppo ad alto rischio persiste e non viene trattata, specie in concomitanza di contemporanei fenomeni di immunodepressione che impediscono l’eliminazione spontanea del virus, può dare origine a lesioni cellulari precancerose. Queste possono guarire spontaneamente o evolvere in un vero e proprio tumore, anche a distanza di vent’anni. Non vi è modo però di prevedere quali lesioni regrediranno da sole e quali invece no. I ceppi di HPV responsabili del 70 per cento circa di tutti i tumori della cervice uterina sono il 16 e il 18, contro cui sono diretti tutti i vaccini anti-HPV oggi utilizzati.
Le infezioni da HPV sono molto diffuse e sono le principali infezioni a trasmissione sessuale. Si stima che ben otto donne su dieci circa, sessualmente attive, contraggano un’infezione da virus HPV, di qualunque tipo, nel corso della loro vita, e che circa il 50 per cento di esse si infetti con un ceppo ad alto rischio.
I virus che colpiscono la cute e causano le comuni verruche si trasmettono tramite il contatto con la pelle di una persona infetta. Anche per i ceppi che attaccano le zone genitali, il contagio avviene tramite contatto fisico, in particolare durante i rapporti sessuali, non necessariamente completi, di tipo vaginale, orale o anale. L’uso del preservativo, spesso indicato per difendersi da altre malattie a trasmissione sessuale, in questo caso può ridurre il rischio di contagio, ma non protegge completamente dall’infezione poiché ci si può infettare con l'HPV anche attraverso il contatto di regioni della pelle non coperte dal profilattico.
Le probabilità di contagio non sono uguali per tutte le fasce di età. L’incidenza dell'infezione, in particolare con i ceppi oncogeni, è maggiore tra le ragazze più giovani. I tipi di virus più frequenti a livello globale sono l'HPV 16 e 18, entrambi oncogeni. Inoltre il rischio di contrarre l’HPV è tanto maggiore quanto più è precoce l’età del primo rapporto sessuale, sotto i 16 anni, e più sono i partner.
La maggior parte delle persone infette può trasmettere il virus ad altri senza accorgersene Avere un partner stabile da molto tempo non è quindi garanzia di sicurezza contro l'infezione. Il contatto con il virus potrebbe essere avvenuto in una precedente relazione anche molti anni prima, senza manifestare alcun sintomo. Come avviene poi per altre patologie infettive, il rischio di contagio da HPV aumenta ulteriormente nelle persone che, per malattie o terapie immunosoppressive, hanno un sistema immunitario indebolito.
Può anche succedere che una persona si reinfetti sia con lo stesso ceppo di HPV, sia con altri ceppi. I vaccini anti-HPV proteggono dunque dai ceppi più pericolosi dal punto di vista oncologico e della formazione di condilomi, non da tutti gli altri.
La quasi totalità dei tumori della cervice uterina, la parte dell’utero rivolta verso la vagina, è causata da un ceppo di HPV ad alto rischio. Essere infettati dal virus è dunque una condizione necessaria per lo sviluppo di questo tipo di cancro, ma ciò non significa che sia sufficiente. In realtà solo una piccola percentuale delle donne positive per un ceppo di HPV ad alto rischio svilupperà il carcinoma della cervice.
Le infezioni causate da questi virus, se persistono nel tempo e non scompaiono spontaneamente, possono provocare modificazioni cellulari nella vulva, nella vagina o nella cervice uterina che danno origine a lesioni chiamate displasie. Tali lesioni possono anche essere indicate con le sigle CIN (neoplasia intraepiteliale cervicale) e SIL (lesione squamosa intraepiteliale). Generalmente queste lesioni regrediscono spontaneamente quando sono di basso grado, mentre in casi più rari, di alto grado, possono trasformarsi in un vero e proprio carcinoma. Il processo di trasformazione richiede però tempi lunghi. Ecco perché l’efficace campagna di screening, a cui è importante aderire, può fare molto per prevenire la degenerazione di lesioni benigne in qualcosa di più serio.
Per la prevenzione del tumore della cervice uterina è particolarmente importante ridurre la circolazione del virus HPV e di conseguenza l’infezione, dato che il virus è pressoché l’unico fattore di rischio per questo tipo di cancro. La diffusione della vaccinazione offre anche il vantaggio. limitando i casi di infezioni, di ridurre la necessità di interventi per rimuovere le lesioni precancerose del collo dell'utero, spesso diagnosticate grazie allo screening. Si tratta di interventi che provocano ansia e disagio, oltre a costi economici per gli individui e la società.
Fra i fattori di rischio che favoriscono la trasformazione delle displasie in tumore, vi sono il fumo, la compresenza di altri agenti infettivi sessualmente trasmessi, una debolezza del sistema immunitario, l’assunzione di pillole contraccettive e la presenza di familiarità per la patologia.
Il tumore del collo dell'utero non è però la sola neoplasia di cui alcuni ceppi di HPV sono responsabili, anche se è certamente la più diffusa. L’HPV è riconosciuto come causa principale di percentuali variabili di tumori rari, ma spesso diagnosticati in fase avanzata e che hanno una mortalità elevata, a differenza di quelli alla cervice, per i quali è disponibile lo screening che consente una diagnosi precoce. Si tratta dei tumori di pene, vulva, vagina, orofaringei e della maggior parte dei tumori dell'ano. Per i casi di tumore che si sviluppano sulle tonsille e alla base della lingua, si stima che la maggior parte sia causata dall’abuso di alcol e fumo. Tuttavia, i risultati di uno studio del 2018 suggeriscono che siano in aumento anche i casi di questo tipo legati a infezioni da HPV, in particolare per quanto riguarda le tonsille. Anche per queste ragioni si è deciso in Italia e in altri Paesi, di raccomandare la vaccinazione anche ai maschi.
Agenzia Zoe
Articolo pubblicato il:
4 aprile 2023