Tumori rari: alla scoperta delle neoplasie ampollari

Ultimo aggiornamento: 28 febbraio 2025

Tumori rari: alla scoperta delle neoplasie ampollari

In occasione della giornata mondiale dedicata alle malattie rare, conosciamo più da vicino uno dei tipi più rari di neoplasie che possono colpire l’apparato digerente.

Delle neoplasie ampollari si parla pochissimo, al punto che la reazione dei pazienti e dei loro familiari al momento della diagnosi è quasi sempre di stupore. Sono malattie oncologiche rare che colpiscono l’ampolla di Vater, un piccolo serbatoio che si trova a livello dell’intestino, e che vengono spesso considerate parte dei tipi di tumore della regione periampollare, insieme al colangiocarcinoma, una neoplasia comunque rara, e il tumore del pancreas. Le neoplasie ampollari sono un insieme di patologie eterogenee, che possono includere anche alcuni tumori di origine neuroendocrina. Data sia la rarità, sia l’eterogeneità, è difficile condurre studi che aiutino a conoscere meglio questi tumori a livello sia biologico, sia epidemiologico, per individuare fattori di rischio e cure. Per questi motivi è importante parlare di questo tipo di tumore in occasioni come la Giornata mondiale dedicata alle malattie rare, che ogni anno cade il 29 febbraio – il giorno più “raro” dell’anno – o il 28 febbraio negli anni non bisestili.

Neoplasie ampollari: di che si tratta?

Le neoplasie ampollari insorgono sull’ampolla di Vater, un’area espansa a mo’ di imbuto nella parete del duodeno che garantisce e regola lo sbocco nel primo tratto dell’intestino dei due condotti che giungono dal pancreas (dotto di Wirsung) e dal fegato (coledoco). La struttura è cruciale nei processi digestivi, poiché i condotti riversano nell’intestino enzimi pancreatici e bile, coinvolti nella demolizione di carboidrati e grassi.

L’anatomia della regione è complessa. Lo spiega Gabriele Capurso, vicedirettore del centro per la ricerca e cura delle malattie del pancreas dell’IRCCS ospedale San Raffaele di Milano: “Sull’ampolla di Vater e nella zona periampollare convergono l’epitelio del duodeno, della via biliare e del dotto pancreatico, che possono dare origine a neoplasie benigne o maligne. Nel primo caso si parla di adenomi e nel secondo di adenocarcinomi”.

I segnali da non sottovalutare

Quali sono i campanelli d’allarme a cui prestare attenzione? “Vista la prossimità a livello anatomico, le neoplasie dell’ampolla di Vater e quelle periampollari che possono interessare la porzione extraepatica del coledoco presentano un esordio simile e generalmente un ritardo diagnostico minore rispetto al tumore del pancreas” prosegue Capurso. “L’aumento dei valori dei cosiddetti indici di stasi biliare è rilevabile attraverso gli esami di laboratorio, mentre l’eventuale comparsa di ittero ostruttivo richiede sempre un approfondimento, che può portare a differenziare una diagnosi benigna da una oncologica. In questo secondo caso, altri sintomi presenti possono essere il dolore addominale, la difficoltà a digerire, la stanchezza profonda, la perdita di peso e la comparsa di pancreatiti acute non altrimenti spiegabili”.

Come completare la diagnosi?

Di fronte a un simile quadro, il percorso verso la diagnosi si fa più complesso. Il primo passo è in genere un esame di imaging: l’ecografia, la TC dell’addome e la risonanza magnetica colangiopancreatografica, un esame utile a studiare fegato, vie biliari e pancreas. In tutti i casi, è inevitabile il ricorso allo studio endoscopico: i due esami chiave, complementari tra loro, sono in particolare l’ecoendoscopia e la colangiopancreatografia retrograda endoscopica (CPRE).

L’ecoendoscopia permette di esplorare quest’area piccola, ma complessa, grazie alla visione ecografica garantita da una sonda posta sulla punta dello strumento. Il passo successivo è quindi la CPRE, una procedura endoscopica e radiologica che consente l’accesso alle vie biliari extraepatiche e al dotto pancreatico. Questo esame può essere dirimente ai fini della diagnosi, grazie all’inquadramento di eventuali restringimenti e all’analisi dei tessuti, che può essere effettuata anche immediatamente in sala endoscopica.

Il riconoscimento di una neoplasia lascia in ogni caso aperto lo scenario a un potenziale ventaglio di diagnosi. A seconda del tipo di cellule alterate, i casi in questione possono essere ricondotti a dei veri e propri tumori ampollari (se l’alterazione riguarda il tessuto epiteliale proprio della papilla) oppure a neoplasie periampollari (colangiocarcinoma o adenocarcinoma duttale del pancreas).

Quale trattamento per le neoplasie ampollari?

L’esame del tessuto prelevato con la biopsia può determinare sia diagnosi sia prognosi differenti della malattia. Le cellule dei tumori ampollari possono infatti derivare dall’intestino o dal pancreas.

In caso di lesione benigna (adenoma), la rimozione è comunque indicata onde evitare una evoluzione tumorale. Riprendendo le conclusioni delle ultime linee guida della Società europea di endoscopia gastrointestinale (ESGE), questo è l’unico caso in cui il trattamento può essere effettuato per via endoscopica, alla stregua di quanto accade nella gestione dei polipi intestinali.

Se invece la natura maligna della malattia è acclarata e l’estensione risulta limitata, “la procedura prevista è la duodenocefalopancreasectomia”. Lo spiega Massimo Falconi, direttore del Centro pancreas e dell’unità di chirurgia pancreatica dell’IRCCS ospedale San Raffaele di Milano. “L’intervento consiste nell’asportazione della testa del pancreas, della porzione del coledoco che vi scorre all’interno, del duodeno e della colecisti. Si tratta di un intervento complesso con rischi elevati, che si riducono nelle strutture che fanno molte operazioni di questo tipo ogni anno”. Oltre all’intervento sul tumore, viene poi valutata l’opportunità di asportare i linfonodi limitrofi. Infine, una volta completata l’analisi dei tessuti prelevati, i medici considerano l’eventuale necessità di una chemioterapia adiuvante.

Quali sono i fattori di rischio per le neoplasie ampollari?

Pur restando neoplasie rare, i casi di tumori ampollari sono in aumento. La crescita dell’incidenza può essere spiegata con un miglioramento delle capacità di rilevamento e quindi di diagnosi. Ma tra gli obiettivi della comunità scientifica vi è anche l’individuazione di potenziali fattori di rischio, che non sembrano includere i più comuni per i tumori, come il tabagismo o una storia familiare di cancro.

Sono interessanti da questo punto di vista i risultati contenuti in un articolo pubblicato sullo United European Gastroenterology Journal, ottenuti grazie all’osservazione dei casi trattati in due grandi ospedali italiani, il San Raffaele e il Policlinico Gemelli di Roma. Gli autori hanno riscontrato una più elevata incidenza di neoplasie ampollari di origine intestinale tra le persone in terapia con gli inibitori di pompa protonica, farmaci utilizzati comunemente contro il reflusso gastroesofageo, e tra coloro che si sono sottoposti a un intervento di colecistectomia. Capurso, tra gli autori dell’articolo, commenta: “Seppur con dati limitati ed eterogenei, l’asportazione della colecisti era già stata individuata come possibile fattore di rischio per l’insorgenza del colangiocarcinoma e dell’adenocarcinoma del pancreas. Lo stesso effetto potrebbe registrarsi rispetto alle neoplasie ampollari”. È possibile che abbia un ruolo l’aumentato flusso di acidi biliari, che potrebbe determinare uno stress ossidativo e danni al DNA delle cellule intestinali. “Sia il ricorso alla colecistectomia sia l’uso degli inibitori di pompa protonica sono cresciuti negli ultimi anni. Un loro ruolo come potenziali fattori di rischio non è da escludere, ma serviranno ulteriori riscontri prima di trarre conclusioni definitive” conclude Capurso.

  • Fabio Di Todaro

    Laureato in scienze biologiche (indirizzo biologia della nutrizione), è giornalista professionista dal 2010. Dopo aver lavorato nella redazione di Altroconsumo e in seguito a una lunga esperienza in Fondazione Umberto Veronesi, ha vinto il concorso nazionale bandito dalla Rai e lavorato per un anno nella redazione della Tgr Basilicata. La passione per il giornalismo medico-scientifico lo ha riportato però alle origini: attualmente è giornalista medico-scientifico della rivista specializzata AboutPharma e collaboratore di Fondazione AIRC. Per oltre dieci anni ha collaborato con i quotidiani La Gazzetta del Mezzogiorno, La Stampa e La Repubblica. È membro dell'Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione (Unamsi) e dell’associazione Science Writers in Italy (Swim).