Ultimo aggiornamento: 18 novembre 2024
Questa condizione può avere ripercussioni sia per i pazienti oncologici sia per chi non si è ancora ammalato. Farmaci più mirati sono il primo strumento per affrontarla, ferma restando l’importanza di non assumere antibiotici senza prescrizione.
La resistenza antimicrobica (AMR) mette a rischio molti progressi della medicina moderna. Quando anche il più potente degli antibiotici non funziona per l’insorgenza della resistenza, per le persone più fragili diventa un grosso problema. Questo fenomeno ha due tipi di impatti sul cancro. Il primo è la difficoltà di curare infezioni resistenti nei malati oncologici, che aumenta sensibilmente i tassi di mortalità in pazienti il cui tumore poteva essere trattato. Il secondo tema riguarda il nesso vero e proprio fra un elevato consumo di antibiotici e lo sviluppo del cancro. Diversa letteratura scientifica ha evidenziato una correlazione fra un uso prolungato di antibiotici e la formazione di tumori, in particolare nel tratto gastro-intestinale.
Chi segue una terapia oncologica è quasi sempre immunodepresso: per queste persone sarebbe cruciale non entrare in contatto con patogeni, ma purtroppo ciò è di fatto molto difficile, soprattutto in ambiente ospedaliero. Una volta che si contrae un’infezione, è poi importante diagnosticarla rapidamente e curarla con l’antibiotico giusto. La regola generale sarebbe prescrivere meno antibiotici ad ampio spettro e più farmaci mirati per evitare l’insorgenza delle resistenze. “L’unica strada per affrontare questo problema emergente è puntare sulla diagnosi precoce per iniziare da subito il trattamento appropriato, che per il paziente oncologico è spesso un salvavita” spiega Daniela Maria Cirillo, capo dell’Unità patogeni batterici emergenti dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. “Nuovi antibiotici stanno entrando sul mercato, frutto della ricerca in questo campo, in grado di dribblare la resistenza per diversi patogeni. Purtroppo, però, spesso mancano i diagnostici rapidi in grado di guidare i clinici nell’uso corretto di queste molecole.” Il risultato è che questi nuovi farmaci vengono usati in modo talvolta non appropriato, favorendo lo sviluppo di ulteriore resistenza in poco tempo, anche se sono già disponibili dei test molecolari che consentono di avere una diagnosi rapida prima di somministrare un antibiotico ad ampio spettro sono già disponibili. È responsabilità del medico anzitutto eseguire un test prima di suggerire qualsiasi antibiotico, anche il meno specifico.
La ricerca sul microbiota, che sta procedendo a grande velocità negli ultimi anni, sta aggiungendo tasselli importanti nella comprensione di come si originano certi tumori e sul perché alcune persone rispondono meglio o peggio alle terapie. Una revisione pubblicata su Cell nel 2024 conclude proprio definendo l’esplorazione delle interazioni metaboliche tra il microbiota intestinale dell’ospite e i tumori gastrointestinali come una frontiera promettente nella battaglia in corso contro queste malattie. Non vi è ancora un parere unanime all’interno della comunità scientifica, ma sono diversi gli studi ampi e pubblicati su riviste scientifiche quotate che sembrano confermare la correlazione fra l’abuso antibiotici e l’insorgenza di molti tipi di tumori del tratto gastrointestinale e del pancreas. “Questo aspetto potrebbe essere legato all’effetto dell’antibiotico” continua Cirillo “che per quanto mirato non uccide solo i batteri patogeni ma danneggia il microbiota, generando disbiosi, cioè disequilibrio tra i patogeni dannosi e quelli invece importanti per l’organismo.” Al centro di tutto c’è il comprovato legame fra infiammazione e cancro. “Sappiamo che il microbiota ha un ruolo fondamentale nel mantenere un’omeostasi corretta, cioè un’autoregolazione delle cellule, che si traduce in un bilanciamento corretto dei meccanismi di interrelazione tra batteri, cellule epiteliali e infiammazione. Un microbiota danneggiato può quindi essere una causa di infiammazione cronica, condizione che a sua volta aumenta il rischio di sviluppo del cancro.”
Abbiamo poche nuove molecole in via di sviluppo con potenziale di diventare farmaci utili contro le infezioni resistenti agli antibiotici oggi disponibili, e sappiamo già in partenza che solo una minima parte di loro supereranno positivamente tutte le fasi della ricerca e andrà in commercio. La resistenza dei batteri invece evolve molto più velocemente. “Produrre antibiotici è oggi poco redditizio per le aziende farmaceutiche rispetto a investire su altre classi di farmaci: la ricerca per introdurli sul mercato è onerosa, molti finiscono per essere scartati, e i guadagni finali non sono elevati perché sono farmaci che sul mercato costano relativamente poco o hanno un mercato limitato” spiega Cirillo. “Non è semplice, perché non tutti i Paesi del mondo prevedono la medesima regolamentazione nell’uso di antibiotici e anche perché non è faci-le capire, nello sviluppo di resistenza, quanto pesi la dieta, quanto l’aver fatto un uso eccessivo di antibiotici, quanto l’esposizione ambientale. A livello mondiale esistono aziende produttrici di antibiotici che dislocano le fabbriche per la produzione in Paesi dove non vi sono criteri di controllo sull’emissione delle scorie, e quindi parte di queste molecole ancora hanno la possibilità di entrare nella catena alimentare” continua Cirillo. Lo stesso vale per la carne e i prodotti che importiamo dagli allevamenti intensivi. In veterinaria in Italia l’uso di antibiotici è regolamentato in modo ferreo, il che significa che l’animale viene macellato dopo che l’antibiotico è stato smaltito. “Resta il fatto che esistono molecole molto simili agli antibiotici che però non sono classificate come tali, ma come integratori, il cui uso non è dunque regolamentato neanche a livello della comunità europea” aggiunge Cirillo, che poi conclude con una raccomandazione: “La terapia antibiotica deve essere utilizzata solo quando prescritta dal medico e seguendone strettamente le indicazioni - dosaggio, intervalli di somministrazione e durata”.
Redazione