Tipi di cottura e cancro: cosa sappiamo

A influire sul rischio di sviluppare un tumore non è soltanto cosa mangiamo, ma anche come prepariamo i piatti che portiamo in tavola.

A oggi sappiamo che circa 4 casi di cancro su 10 potrebbero essere prevenuti evitando l’esposizione a una serie di fattori di rischio. Una recente conferma è giunta dai risultati di uno studio pubblicati a luglio 2024 su CA: A Cancer Journal for Clinicians, una rivista dell’American Cancer Society. Tra i fattori di rischio rientra la dieta, soprattutto in relazione alle probabilità di sviluppare nel tempo un tumore a carico di uno degli organi dell’apparato digerente, a partire dal colon-retto. La scelta degli alimenti che compongono il nostro regime alimentare è dunque una delle leve su cui agire per cercare di prevenire i tumori. Negli ultimi due decenni si è scoperto però che anche le modalità con cui i cibi vengono preparati può avere un ruolo importante, dato che per esempio nella cottura si possono produrre sostanze cancerogene. Emerge quindi quanto è importante prestare attenzione a come preparare i cibi in modo più consapevole.

L'importanza della cottura

La capacità di dominare il fuoco è stata una delle scoperte più significative nella storia evolutiva degli esseri umani. Ha per esempio consentito la cottura dei cibi, rendendoli più digeribili e sicuri, migliorando così la dieta e la salute dei nostri antenati.

Per esempio, pensando agli alimenti disponibili oggi, senza cottura non sarebbero commestibili il pollo, le patate e la maggior parte dei legumi. Alcuni di questi ultimi, infatti, pur dopo una lunga masticazione rimarrebbero non digeriti e sarebbero espulsi. Altri cibi, invece, non offrirebbero tutti i loro valori nutrizionali: è il caso delle uova, perché nell’albume è presente una proteina, chiamata avidina, che rende non disponibile la vitamina B8. L’avidina è però inattivata dalla cottura.

Altri effetti positivi garantiti dalla cottura dei cibi sono la riduzione del rischio di infezioni alimentari, la maggiore conservabilità e l’esaltazione del gusto di alcuni alimenti.

Nell’insieme, poiché la tecnologia della cottura rende disponibili maggiori quantità di nutrienti ed energia, sembra avere aumentato le capacità cerebrali dei nostri antenati e liberato tempo per occuparsi di aspetti diversi dalla consumazione, in precedenza, molto lunga del cibo.

Cosa vuol dire cuocere un alimento?

La cottura consiste nel passaggio di energia da una fonte di calore al cibo. Quando cuciniamo, il calore si può trasferire per contatto diretto (conduzione) o attraverso fluidi come l’acqua o l’aria (convezione).

Il trasferimento di energia comporta delle trasformazioni chimiche negli alimenti:

  • le proteine alla temperatura di 50-60 gradi tendono a coagularsi e a cambiare colore (denaturazione). Una cottura prolungata determina anche una parziale scissione in molecole più semplici, che rende le proteine più digeribili. Se troppo prolungata, la cottura può però determinare una minore disponibilità di alcuni amminoacidi essenziali, la carbonizzazione delle sostanze proteiche, se al tempo prolungato si abbina anche una temperatura elevata, e la formazione di composti tossici.
  • Negli amidi, il calore determina la scissione delle macromolecole nelle più piccole destrine. Inoltre, come osserviamo con la pasta, quando gli amidi vengono cotti in un liquido lo assorbono e si gonfiano.
  • Con il calore i grassi possono invece fondere (se solidi, come il burro) o degradarsi (se liquidi), generando prodotti di ossidazione e polimerizzazione a volte anche tossici (come nel caso dell’acroleina).
  • Con la cottura, soprattutto se prolungata e ad alte temperature, le vitamine (soprattutto quelle del gruppo B e la C) possono degradarsi, e i sali minerali disperdersi nel liquido di cottura, impoverendo così il profilo nutrizionale di un alimento.

Quindi, con la cottura gli alimenti possono subire una certa perdita nutrizionale, a seconda delle loro caratteristiche, tra cui il tipo di vitamine e sali minerali contenuti e la temperatura di preparazione. Per tutte queste ragioni, per trarre il meglio da ogni piatto è sempre bene prestare attenzione al metodo di cottura.

Le diverse modalità di cottura

Nei secoli, le modalità di cottura utilizzate dall’umanità sono state diverse. Quelle che oggi usiamo maggiormente sono:

Bollitura

La cottura in acqua bollente rappresenta uno dei metodi più usati soprattutto per gli ortaggi e per i cereali. Consente di evitare l’aggiunta di grassi di condimento. L’elevata temperatura dell’acqua può però comportare una perdita di alcuni sali minerali e vitamine fino al 60-70 per cento.

Cottura in pentola a pressione

Portare l’acqua anche oltre i 100 °C accorcia i tempi di cottura (soprattutto per i legumi), e le perdite di nutrienti idrosolubili risultano minori rispetto ad altri tipi di cottura in umido (bollitura). Attenzione però a nutrienti come la vitamina C, più suscettibili al calore

Cottura a vapore

È la più indicata per verdure e pesce poiché, non essendoci contatto diretto con l’acqua, la perdita di vitamine e minerali è trascurabile (a eccezione della vitamina C)

Brasatura e stufatura

Ideale per le carni, il raggiungimento di temperature inferiori a quelle di altre modalità di cottura riduce le alterazioni a carico di proteine e grassi. Vitamine e minerali vengono solitamente apportati attraverso i condimenti che fanno parte della preparazione.

Cottura al forno

Ideale per le carni, il raggiungimento di temperature inferiori a quelle di altre modalità di cottura riduce le alterazioni a carico di proteine e grassi. Vitamine e minerali vengono solitamente apportati attraverso i condimenti che fanno parte della preparazione.

Cottura alla griglia o alla brace

Adatta a carne e verdure, non prevede l’aggiunta di grassi e il ricorso a soffritti, ma richiede una particolare attenzione al controllo della temperatura. Infatti, con la carbonizzazione della carne possono generarsi molecole potenzialmente cancerogene.

Cottura a microonde

La sua brevità consente di preservare le caratteristiche nutrizionali delle verdure, a partire dall’apporto di vitamine del gruppo B (mentre la vitamina C, data la sensibilità alle alte temperature, va persa).

Sottovuoto a bassa temperatura

Con questa modalità di preparazione, prima di essere cotto, ogni alimento viene sigillato all’interno di un sacchetto di plastica a chiusura ermetica. Dopo aver estratto l’aria, si immerge l’alimento così confezionato nell’acqua calda, controllando e mantenendo stabile la temperatura. Utilizzabile per tutti i cibi, ma impiegata soprattutto nella preparazione dei secondi, questa tecnica riduce la degradazione delle proteine e quindi ne aumenta la disponibilità. Inoltre, si limita l’utilizzo di sale. Tutti i nutrienti risultano maggiormente preservati: da qui un maggiore apporto a parità di peso di alimento consumato.

Frittura

È tra i metodi di cottura meno salutari, sia per la quantità di olio assorbita dagli alimenti, sia perché quando l’olio raggiunge il suo punto di fumo, ovvero inizia a emettere fumi perché viene cotto a un’alta temperatura, si ha la formazione di sostanze potenzialmente tossiche, come acroleina e acrilamide.

Grigliate: nessun divieto, ma consapevolezza

I benefici della cottura sono indubbiamente superiori ai rischi. Tuttavia, i metodi di cottura usati per grigliate e barbecue espongono i cibi (carne, pesce, pollame) a temperature molto elevate. In tal modo, soprattutto se si cuociono i cibi per molto tempo, si generano composti come le amine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici aromatici. Questi in esperimenti di laboratorio, sono risultati mutageni, ovvero in grado di provocare cambiamenti nel DNA che possono aumentare le probabilità di sviluppare diverse forme di cancro, come quelle allo stomaco, all’intestino, alla prostata, al seno, al polmone e della pelle. Questo potenziale cancerogeno potrebbe manifestarsi in seguito al consumo degli alimenti da cui si sono sviluppate le sostanze tossiche o anche, in alcuni casi, solo per inalazione.

Per questi motivi è opportuno ricorrere raramente a questi metodi di cottura. Per ridurre il rischio che si formino sostanze potenzialmente cancerogene con la cottura, occorre dunque evitare il più possibile di bruciare il cibo. Infatti, la carbonizzazione è il principale segnale della formazione di sostanze mutagene. Si può inoltre utilizzare il termometro da cucina per monitorare le temperature di cottura. Con questa tecnica ne beneficerà anche il gusto dei piatti. Si raccomanda, inoltre, di associare sempre abbondanti verdure a ogni pasto, in modo da limitare l’assorbimento di sostanze nocive nel tratto digerente.

Attenzione anche all’acrilammide

Un’altra insidia è rappresentata dall’acrilammide, una sostanza utilizzata a livello industriale per produrre carta, coloranti e materie plastiche. L’acrilammide si crea però anche spontaneamente in alcuni alimenti quando vengono arrostiti, fritti o grigliati a temperature molto elevate, oltre 120 °C, per lungo tempo. L’acrilammide è considerata un probabile cancerogeno per gli esseri umani dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). Le prove, anche se ancora limitate, mostrano infatti che assumere elevate quantità di questa molecola comporterebbe un maggior rischio di sviluppare tumori del rene, dell’endometrio%20rappresentano,di%20tumore%20nel%20sesso%20femminile).">endometrio e delle ovaie. Per saperne di più si consiglia di consultare l’approfondimento in merito.

Tra le fonti alimentari più esposte alla possibile sintesi di acrilammide ci sono le patatine fritte, il caffè e tutti i farinacei: dal pane ai toast, dai cracker ai biscotti e ai cereali per la prima colazione. Rilevante è anche il tempo: più lungo è il processo di cottura, maggiore è la quantità di acrilammide che si forma. In altre parole, quando il cibo acquista una sfumatura di colore marrone scuro (reazione di Maillard), tipica delle patatine fritte, aumenta la quantità di acrilammide (per questo il colore della frittura è un parametro da tenere in considerazione per valutare la salubrità). Si sconsiglia inoltre di conservare le patate in frigorifero: le basse temperature inducono un aumento della produzione di zuccheri, elemento chiave della reazione di Maillard (assieme all’amminoacido asparagina presente nei cibi amidacei).

Evitare il consumo di bevande a elevata temperatura

Quando si analizza il rischio oncologico legato alle modalità di preparazione dei cibi, occorre menzionare anche l’insidia rappresentata dal consumo di bevande molto calde (60-65 gradi) più volte al giorno. Dal 2016, in seguito alla pubblicazione di diversi studi condotti sia in Paesi del Sudamerica sia dell’Asia, la IARC considera questa abitudine correlata a un probabile rischio cancerogeno per gli esseri umani, in relazione al potenziale sviluppo del carcinoma squamocellulare dell’esofago. Dati questi risultati, è consigliabile attendere qualche minuto e aspettare che pietanze e bevande bollenti si raffreddino un po’.

I rischi legati all’inquinamento “indoor” in cucina

Gli effetti della cottura non si trasmettono soltanto tramite ciò che mangiamo, ma anche attraverso l’inalazione. Questo è vero soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove spesso si cuoce su fuochi improvvisati in mezzo a una stanza senza canna fumaria. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ricorda che l’utilizzo di combustibili solidi (legna, scarti di raccolto e carbone) senza sistemi di areazione adeguati può portare allo sprigionamento di fumo. Questo, una volta inalato, rappresenta un rischio soprattutto per i polmoni, ma non solo. Tra le malattie a cui contribuisce questo tipo di inquinamento degli spazi interni vi sono ictus, cardiopatie ischemiche, broncopneumopatie croniche ostruttive e cancro ai polmoni.

Anche alcuni ingredienti presenti nei cibi che cuciniamo possono causare inquinamento dell’aria interna. Secondo i risultati di uno studio pubblicati nel 2017 sul Journal of Cancer Research and Clinical Oncology, l’esposizione ai fumi dell’olio da cucina (maggiore se la frittura avviene in padella piuttosto che in immersione) aumenterebbe il rischio di sviluppare una neoplasia polmonare. Sebbene preliminare, un’evidenza sovrapponibile è emersa anche in relazione al tumore al seno. Fonte di questi dati è uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Public Health.

  • Fabio Di Todaro

    Laureato in scienze biologiche (indirizzo biologia della nutrizione), è giornalista professionista dal 2010. Dopo aver lavorato nella redazione di Altroconsumo e in seguito a una lunga esperienza in Fondazione Umberto Veronesi, ha vinto il concorso nazionale bandito dalla Rai e lavorato per un anno nella redazione della Tgr Basilicata. La passione per il giornalismo medico-scientifico lo ha riportato però alle origini: attualmente è giornalista medico-scientifico della rivista specializzata AboutPharma e collaboratore di Fondazione AIRC. Per oltre dieci anni ha collaborato con i quotidiani La Gazzetta del Mezzogiorno, La Stampa e La Repubblica. È membro dell'Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione (Unamsi) e dell’associazione Science Writers in Italy (Swim).
  • Articolo pubblicato il:

    26 agosto 2024