Ultimo aggiornamento: 13 luglio 2021
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Il termine "termoablazione" significa letteralmente "distruzione attraverso il calore" e in medicina identifica anche una delle opzioni terapeutiche disponibili contro il cancro. Non si tratta di una tecnica nuova in oncologia, dal momento che le prime termoablazioni percutanee, ovvero eseguite "attraversando la pelle" senza far ricorso alla classica chirurgia, risalgono agli anni '90 del secolo scorso. Nel corso degli anni, però, i progressi in campo tecnologico e la maggiore comprensione dei meccanismi fisici e biologici alla base della termoablazione hanno reso la terapia sempre più precisa, efficace e sicura. Due sono le forme di termoablazione più utilizzate oggi nella cura dei tumori: quella a radiofrequenza e quella con microonde. Semplificando molto, si può dire che la principale differenza tra i due tipi di termoablazioni è rappresentata dal tipo di "onde" utilizzate per generare calore. Nel primo caso si tratta di onde radio e nel secondo di microonde, che hanno una lunghezza d'onda molto inferiore alle prime. Nella termoablazione a radiofrequenza, una corrente alternata ad alta frequenza crea temperature comprese tra 60 e 100 °C, mentre con le microonde si generano campi magnetici che fanno salire la temperatura oltre i 100 °C. Più di recente è stata sviluppata anche una forma di termoablazione in cui il calore è generato da una sorgente laser. Nella termoablazione a luce laser, l’energia elettrica viene convertita in un fascio luminoso ad alta intensità, che viene fatto arrivare alla sede da trattare attraverso sottilissime fibre ottiche fatte passare attraverso un ago anch’esso molto sottile. Le piccole dimensioni del dispositivo consentono di raggiungere zone difficilmente accessibili.
Come fa il calore a distruggere le cellule tumorali? Tutte le nostre cellule sono sensibili al calore e le cellule cancerose lo sono ancora di più. Per indurre un danno irreversibile alla struttura e al funzionamento cellulare con una temperatura di circa 40-45 °C servono tempi lunghi, dai 30 ai 60 minuti, ma se la temperatura sale oltre i 60 °C si assiste a una rapida distruzione delle proteine che si rivela tossica per la cellula e ne causa la morte per necrosi. In particolare, con la termoablazione si causano al tumore danni diretti che distruggono l'integrità delle membrane delle cellule e degli organelli in essa presenti, e rallentano o bloccano del tutto la replicazione del DNA. Non mancano però anche i danni indiretti (anche questi voluti): dopo la termoablazione si osservano lesioni a cellule e tessuti che vanno dall'apoptosi (morte cellulare programmata), a danni che interessano i vasi sanguigni che nutrono il tumore. Negli ultimi anni è inoltre emerso un altro punto di forza della termoablazione, che consiste nella sua capacità di causare infiammazione e di stimolare quindi il sistema immunitario a reagire contro le cellule tumorali ancora presenti nell'area.
La tecnica presenta però anche alcuni limiti che non la rendono adatta all'uso per tutti i tipi di tumore. Innanzitutto, il calore indotto da questa tecnica è più concentrato nella parte più interna del tumore, ma diventa sempre meno "letale" man mano che ci si allontana dal centro. Inoltre, soprattutto con la radiofrequenza, c'è il rischio che il calore si disperda attraverso il sangue o l'aria contenuta nei tessuti (per esempio quello polmonare) rendendo il trattamento meno efficace. Sono oggi in fase di studio diverse strategie per superare tali problemi: associando per esempio tecniche o farmaci che bloccano il flusso sanguigno si riesce a ridurre la dispersione del calore nella termoablazione a radiofrequenza.
L'intervento di termoablazione dei tumori avviene mediante l'utilizzo di uno speciale "ago", un elettrodo, che viene inserito attraverso la pelle fino a raggiungere la sede. L’ago è in genere guidato da ecografia, tomografia computerizzata o risonanza magnetica, per permettere un posizionamento estremamente preciso. L'intervento dura pochi minuti (tra 10 e 30) e, pur non essendo un'operazione chirurgica classica, richiede l'uso di anestesia, a volte anche generale. È importante che a effettuare il trattamento sia un operatore esperto, perché la corretta localizzazione della sorgente di calore è cruciale per la buona riuscita della terapia. Rispetto ai decenni passati, oggi la tecnica può essere utilizzata in un numero più ampio di tumori, anche benigni, ma in molti casi non viene presa in considerazione poiché si rivelerebbe inefficace. Un primo criterio di scelta è senza dubbio il tipo di tumore. La termoablazione nasce come terapia per il tumore del fegato e ancora oggi il fegato è uno degli organi nei quali il trattamento è più utilizzato, sia nel caso di malattia primaria (ovvero originaria del fegato) sia nel caso di metastasi. Altri tumori contro i quali la termoablazione ha un ruolo importante sono quelli del polmone, dei reni e delle ossa, e più recentemente anche quelli di seno, surrene e testa-collo. Ma anche fra questi tipi di tumore non tutti sono adatti a essere trattati con il calore, che viene in genere riservato ai tumori di dimensioni ridotte (in genere non superiori ai 5 cm) o che si trovano in aree non operabili chirurgicamente, oppure a pazienti che, per diverse ragioni, non possono essere sottoposti a chirurgia. La termoablazione viene correntemente usata per eliminare i noduli della tiroide di natura benigna. Infine, nell’ultimo decennio, la termoablazione con energia laser o LITT (Laser Interstitial Thermal Therapy) è stata sperimentata anche in campo neurochirurgico per il trattamento di lesioni del sistema nervoso centrale, principalmente gliomi recidivanti e metastasi cerebrali. Molti esperti ritengono che la termoablazione rivestirà un ruolo sempre più importante in oncologia in futuro, dal momento che sono sempre di più i tumori diagnosticati in fase iniziale – e quindi ancora di piccole dimensioni – e sono sempre più numerosi i pazienti anziani, nei quali gli interventi chirurgici tradizionali spesso risultano troppo rischiosi.
La termoablazione rappresenta ormai da oltre due decenni una delle possibili terapie per il trattamento del cancro, ma non è sempre utilizzabile e, almeno allo stato attuale delle conoscenze e delle tecnologie, non può sostituire la chirurgia o eliminare le altre terapie cosiddette tradizionali, come chemioterapia e radioterapia. La termoablazione viene oggi riservata a tumori piuttosto piccoli, non operabili o a pazienti particolarmente fragili e non in grado di sottoporsi a un intervento chirurgico. Rispetto alla chirurgia tradizionale presenta il vantaggio di minori complicanze, di riuscire a preservare meglio i tessuti che circondano il tumore, di ridurre i tempi e i costi del ricovero in ospedale e di trattare pazienti che non potrebbero altrimenti essere trattati.
Ci sono però anche svantaggi come la non completa rimozione del tumore e il conseguente possibile ritorno della malattia, anche se l'efficacia varia notevolmente in base al tipo di tumore e di termoablazione. Attualmente mancano studi di confronto diretto che possano stabilire con certezza se l'efficacia della termoablazione è paragonabile a quella della più classica chirurgia nella cura del cancro.
L'idea di evitare il bisturi è chiaramente benvoluta dai pazienti. Questo ha generato l'offerta di un gran numero di trattamenti non scientificamente validati e proposti da strutture non specializzate che promettono addirittura di eliminare il tumore una volta per sempre e di evitare anche la chemioterapia. Purtroppo, malgrado gli indubbi sviluppi tecnologici della termoablazione, la medicina è ancora ben lontana dall'ottenere risultati di questo genere.
Agenzia Zoe