Ultimo aggiornamento: 4 maggio 2017
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L'uso di macchine in grado di filtrare le rare cellule che si sono staccate dai vari organi e che sono riuscite a entrare nel circolo sanguigno è una tecnica utilizzata in molti laboratori. Esistono molti macchinari capaci di eseguire questa particolare filtrazione dei campioni di sangue. In genere i ricercatori scelgono il tipo di macchina sulla base delle necessità sperimentali, dei costi o della semplicità di utilizzo.
Recentemente i media italiani hanno dato molto risalto a un test eseguito grazie a uno di questi macchinari, il cosiddetto test ISET (Isolation by Size of Tumor Cells), descritto con molta enfasi da una delle ricercatrici coinvolte nella sua messa a punto, l'italo-francese Patrizia Paterlini-Bréchot, in un libro autobiografico. Secondo quanto ha più volte affermato in pubblico e in televisione la ricercatrice, con questo test sarebbe possibile diagnosticare la presenza di un tumore prima che questo sia localizzabile con i comuni strumenti di diagnostica per immagini (imaging).
L'idea alla base di questo esame è che i tumori, specie i più aggressivi, rilascino nel sangue alcune cellule maligne in fase molto precoce, ancora prima di essere sufficientemente grandi da poter essere visibili con i comuni esami diagnostici.
Grazie al filtro presente nella macchina, le cellule che non appartengono normalmente al sangue (cioè tutte le cellule che non sono globuli rossi, bianchi e piastrine) vengono isolate (attraverso una sorta di setaccio) e possono essere osservate al microscopio da un esperto citologo, cioè da un patologo in grado di valutare la forma e l'aspetto della cellula e di decretare se si tratta di una cellula maligna o meno.
Quello che né la macchina né l'esperto sono però in grado di capire è da dove proviene la cellula maligna filtrata, cioè in quale organo si sta, eventualmente, sviluppando un tumore. Inoltre il patologo non può sapere se la cellula avrebbe potuto davvero attecchire in un altro organo e dare origine a metastasi. Questo tipo di informazioni non si può dedurre dall'aspetto della cellula (cioè dalla cosiddetta morfologia): bisogna fare esami più specifici su alcune molecole (proteine) presenti sulla superficie cellulare e analizzare i geni.
Il primo problema legato ai test che si basano sulla presenza di cellule tumorali circolanti riguarda proprio la relazione tra la loro presenza e il possibile sviluppo di un tumore. Le cellule del nostro corpo subiscono mutazioni continue, che spesso vengono riparate spontaneamente dai nostri sistemi di difesa cellulare e che non danno origine a masse tumorali. Oltre ai sistemi di riparazione interni alla cellula, disponiamo del sistema immunitario che in genere attacca e distrugge le cellule mutate o maligne. Ecco perché trovare una cellula tumorale circolante nel sangue di una persona sana e priva di sintomi non vuol dire che vi sia effettivamente un tumore in fase di sviluppo.
Paradossalmente, è possibile anche il contrario: molti tumori, prima di dare origine a cellule circolanti, hanno bisogno di raggiungere una discreta dimensione e aggressività, quindi sono teoricamente già identificabili con i classici strumenti diagnostici (TC, risonanze, ecografie eccetera).
Inoltre non tutte le cellule maligne circolanti danno origine a metastasi: molte, proprio grazie all'azione del sistema immunitario, non riescono a raggiungere gli organi bersaglio e muoiono prima di poter fare danni.
In pratica, anche se si riesce a identificare con certezza la presenza di cellule tumorali maligne circolanti in una persona sana, bisognerebbe sottoporre tale persona a una gran quantità di test per capire se davvero ha un tumore in fase precoce. Tali test andrebbero ripetuti nel tempo e non sarebbero mai certi al 100 per cento, dato che i risultati possono essere falsi positivi. Ciò esporrebbe la persona a ulteriori esami, interventi e ricerche inutili.
Sono stati pubblicati alcuni studi che dimostrano una relazione tra l'aggressività di un tumore e il numero di cellule tumorali circolanti identificate con test simili a quello che stiamo descrivendo. In alcuni centri i ricercatori stanno sperimentando l'uso di un test per verificare, in laboratorio, la sensibilità delle cellule maligne, ottenute in questo modo, a determinati farmaci chemioterapici, nella speranza di scegliere per ciascun paziente una terapia con buone probabilità di riuscita.
Si tratta però di un uso ancora sperimentale e limitato, soprattutto perché l'identificazione della malignità delle cellule in questo tipo di test dipende molto dall'occhio del citologo, cioè è limitata dalle capacità dell'operatore.
Per questo la ricerca oncologica si sta orientando verso altri strumenti più precisi, in grado di identificare precocemente un tumore o di aiutare i medici a scegliere i farmaci più efficaci.
I tumori, ancor prima di rilasciare nel sangue eventuali cellule maligne, liberano una grande quantità di sostanze dette biomarcatori. Si tratta di molecole (in genere proteine) che aumentano in presenza della malattia. Già oggi gli oncologi dispongono di diversi biomarcatori utilizzati proprio per valutare l'efficacia di una cura antitumorale e, in alcuni casi, per aiutare una diagnosi precoce. I biomarcatori, però, hanno un limite: non sono molto specifici e possono comparire nel sangue in presenza di tumori diversi o addirittura di malattie non tumorali.
Ecco perché il filone ritenuto più promettente è quello che va alla ricerca, nel sangue, del materiale genetico rilasciato dal tumore: il DNA tumorale o i cosiddetti microRNA, frammenti di RNA tumorale fuoriusciti dalle cellule, che consentono di identificare con maggiore certezza la presenza di un tumore e addirittura di capire di quale tumore si tratta, cosa che la tecnica citologica, come abbiamo visto, non consente di fare.
Alcuni gruppi di ricerca (tra i quali anche quello della stessa ricercatrice francese che ha lanciato il test e ne possiede i diritti economici di sfruttamento, insieme a istituzioni pubbliche francesi come l'INSERM e l'Università di Parigi) stanno cercando di combinare la tecnica citologica con l'uso di marcatori presenti sulla cellula stessa. Si tratta di tecniche sperimentali non ancora validate.
Nel 2014 la rivista PlosOne ha pubblicato uno studio condotto dal gruppo di Paul Hofman, dell'Università di Nizza Sophia Antipolis (in Francia), in 245 persone senza cancro, di cui 168 forti fumatori colpiti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), una patologia legata al fumo. Tutti sono stati sottoposti al test ISET: in 5 pazienti su 168 con BPCO i citologi hanno identificato cellule potenzialmente tumorali. Questi sono stati indirizzati a un programma di sorveglianza annuale con TC spirale che ha permesso di scoprire, in un periodo che va da uno a quattro anni dopo il test, la comparsa di noduli polmonari che sono stati tolti precocemente con un intervento chirurgico. La maggiore critica metodologica a questo studio riguarda il piccolo numero di persone coinvolte (per validare un test diagnostico bisogna fare studi su migliaia e migliaia di pazienti) e il fatto che i forti fumatori, per lo più già malati di BPCO, rientrano già tra le categorie considerate a rischio e che vanno sorvegliate nel tempo anche senza bisogno di ricorrere a un test aggiuntivo.
Nei giorni successivi alla pubblicazione del libro-autobiografia della professoressa Paterlini-Bréchot sono comparse in rete diverse petizioni che chiedono al Servizio sanitario nazionale di introdurre gratuitamente questo test anche in Italia.
È bene chiarire che al momento il test non è disponibile gratuitamente in nessun Paese perché non è considerato sufficientemente valido. Inoltre, come abbiamo detto, altri test più specifici e puntuali sono allo studio.
Perché un test sia considerato utile nella diagnosi precoce di un tumore in una persona sana, e anche per l'identificazione delle recidive in un paziente già malato, deve avere le seguenti caratteristiche:
Per questa ragione nessun Paese ha rimborsato questo test e per la stessa ragione non è utile sottoporvisi privatamente (il costo si aggira intorno ai 480 euro).
Infine alcune considerazioni generali:
Agenzia Zoe