Ultimo aggiornamento: 5 giugno 2024
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Chi si oppone all’uso degli animali nella ricerca medica e scientifica sostiene che esistono metodi alternativi in grado di dare risultati altrettanto validi. Ma è davvero così? In realtà, nella maggioranza dei casi, i metodi studiati per sostituire gli animali nella sperimentazione scientifica andrebbero considerati complementari più che alternativi.
Una ricerca condotta con un organismo intero, come è un animale, fornisce risultati che possono essere almeno in parte estrapolati agli esseri umani, date le somiglianze nel patrimonio genetico e nel funzionamento di cellule, tessuti e organi. Per questo l’uso degli animali è obbligatorio per legge nella sperimentazione di nuovi farmaci. I metodi che non utilizzano animali non sono in grado di offrire un’alternativa valida. Per poter sostituire gli animali, bisogna infatti che i nuovi metodi siano attendibili quanto quelli in uso e, al momento, non si hanno tali garanzie nella ricerca biomedica.
Ciononostante, vi sono alcuni filoni di studio importanti che già oggi consentono di limitare il numero di animali usati nella ricerca e altri che, in futuro, potranno sostituire gli animali almeno in alcune delle tappe del processo di sperimentazione. Gli esperti restano però scettici sulla possibilità di fare a meno della sperimentazione animale, perché è difficile ricreare in laboratorio la complessità di un organismo intero con tutte le sue interazioni.
Contrariamente a quanto pensano molti oppositori della ricerca animale, sono i ricercatori stessi e persino le industrie a spingere per fare ricerca in questo settore. A nessuno infatti fa piacere fare ricerca con gli animali, sia per ragioni etiche sia per i costi piuttosto elevati. Al momento però sono pochissimi i sistemi sostitutivi approvati, alcuni dei quali sono elencati sul sito del Centro referenza nazionale metodi alternativi, benessere e cura degli animali, presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZSLER). Si tratta, nella quasi totalità dei casi, di sistemi per valutare l’irritazione cutanea e oculare provocata dalle sostanze, utili soprattutto nel campo della cosmetica più che della ricerca medica.
Non è un caso che riguardino l’aspetto più semplice della tossicologia, ovvero i possibili effetti sulla pelle o sugli occhi, che dipendono in gran parte dalla struttura chimico-fisica dei prodotti, fattori noti ai ricercatori anche prima di cominciare i test. Non appena gli esperti si trovano a studiare gli effetti di una sostanza in situazioni più complesse, devono tornare a usare gli animali.
Sempre nel campo della tossicità (uno degli ambiti in cui gli animali sono più utilizzati), l’Unione Europea ha stabilito, con una normativa chiamata REACH, l’istituzione di una banca dati in cui le industrie sono tenute a depositare i protocolli e i risultati di tutte le sperimentazioni effettuate con gli animali per una determinata sostanza. Si è infatti scoperto che alcune sostanze sono state testate più e più volte solo perché un’industria non era a conoscenza del fatto che un’altra aveva già condotto la stessa sperimentazione. Grazie alla banca dati, ora chiunque può sapere se l’analisi di tossicità di un composto è già stata effettuata e con quale esito. È possibile anche sapere se qualcuno ha condotto studi specifici, per esempio nel campo della cancerogenicità, e mettere insieme le informazioni provenienti da fonti diverse, evitando di ripetere esperimenti già fatti e di coinvolgere così altri animali.
Con le nuove normative europee in materia di sperimentazione animale sono stati stanziati anche fondi specifici per la ricerca di metodi alternativi. Nonostante gli investimenti italiani abbiano già superato il mezzo miliardo di euro, i risultati non hanno rispettato le attese. A oggi non più del 20 per cento delle sperimentazioni con animali è sostituibile con metodi alternativi che offrano uguale attendibilità, secondo lo European Union Reference Laboratory for Alternatives to Animal Testing (EURL-ECVAM), il centro europeo di riferimento per lo sviluppo e la validazione dei metodi alternativi alla sperimentazione animale che ha sede in Italia (a Ispra).
Significa che i suoi risultati devono essere validi almeno quanto quelli del sistema di riferimento, che a oggi rimane la sperimentazione negli animali. Secondo i dati raccolti recentemente dal database internazionale REACH, l’attendibilità della sperimentazione animale si aggira intorno all’85-90 per cento. Ciò significa che, su 10 esperimenti eseguiti con animali, 9 daranno risultati attendibili.
Può sembrare poco, ma in realtà è un livello di attendibilità molto alto in biologia e medicina, dove si deve tener conto del fatto che gli organismi viventi non sono mai perfettamente uguali tra loro e dove il 100 per cento non è mai raggiungibile. I metodi cosiddetti alternativi forniscono risultati meno attendibili perché nessuno è riuscito a creare modelli artificiali di un organismo che siano al tempo stesso complessi, variabili e flessibili, come sono gli esseri viventi. E infatti, benché la messa a punto di diversi sistemi sperimentali sia stata pubblicata su riviste scientifiche, sono pochissimi quelli che hanno passato l’esame di validazione, cioè che sono stati effettivamente autorizzati nella pratica.
Gli organoidi
Un’area di ricerca promettente prevede la creazione di organi in coltura, detti organoidi. Si tratta di insiemi di cellule e tessuti che, pur non avendo la complessità del corrispondente organo completo, possono essere più utili a capire gli effetti di una sostanza sull’organismo rispetto a cellule di un solo tipo cresciute in singolo strato in piastre di coltura. Per fare un esempio pratico, se uno scienziato vuole capire gli effetti di un farmaco sul cervello, non può limitarsi a studiare la sostanza in un singolo strato di neuroni isolati in coltura, perché nel cervello ci sono anche altre cellule e altri tessuti, oltre a quello nervoso in senso stretto. Inoltre, i diversi tipi di cellule dialogano tra loro, quindi il farmaco potrebbe interferire con numerosi processi. Uno studio condotto soltanto con cellule in coltura non permetterebbe mai di mettere in luce questi aspetti.
Sono così state sviluppate tecniche per produrre minuscole sfere di tessuto che idealmente dovrebbero contenere tutti gli elementi cellulari noti del cervello. Questi cosiddetti “mini cervelli” sono grossi quanto una capocchia di spillo, simili a sfere cave. Sono già utilizzati in sperimentazione e sono utili soprattutto perché permettono di valutare una sostanza su un gran numero di campioni, evitando di dover ricorrere a molti esemplari di animali di laboratorio. I “mini cervelli”, tuttavia, non sono uno strumento adeguato per ricerche in cui è necessario studiare un cervello in un organismo intero. Per esempio, un organoide di tessuto cerebrale non potrebbe aiutare a comprendere se il farmaco riesce, per esempio, a superare la barriera ematoencefalica che separa e protegge il cervello stesso dal resto del corpo.
Partendo da cellule prelevate da tumori sono stati creati organoidi di tumore del colon, del pancreas, del seno e della prostata. Generare per lo stesso paziente organoidi di tessuto sano e di tumore può aiutare sia a comprendere i meccanismi responsabili della trasformazione neoplastica sia a scegliere la terapia più adatta. Sperimentando una batteria di farmaci sugli organoidi del paziente si possono, per esempio, selezionare quelli che uccidono le cellule del tumore senza danneggiare quelle normali. Gli organoidi potrebbero quindi dare un forte impulso alla medicina di precisione in campo oncologico.
I modelli “in silico”
Un altro filone di studio riguarda i cosiddetti modelli “in silico”, cioè simulazioni computerizzate di processi cellulari e fisiologici che possono offrire informazioni preliminari sulle attività di una sostanza. Per ora questi sistemi sono utilissimi a classificare le sostanze in probabilmente innocue o probabilmente tossiche in base alle loro caratteristiche chimiche e fisiche. Questo permette di ridurre il numero di animali impiegati nello studio di un nuovo farmaco, ma certo non basta a eliminarli del tutto.
I metodi che utilizzano i computer offrono qualche vantaggio rispetto a quelli che impiegano gli animali. Per esempio, i computer sono in grado di “imparare” da precedenti risultati e utilizzare le conoscenze generate dagli studi scientifici per migliorare le proprie capacità predittive su nuove sostanze. Un altro vantaggio è la velocità: i computer sono in grado di analizzare le caratteristiche di tantissime sostanze in poco tempo.
I ricercatori stanno valutando anche una nuova strategia: invece di costruire algoritmi che classificano le sostanze in base a qualità chimico-fisiche, cercano di elaborare strumenti informatici che mimano i possibili meccanismi d’azione. È un passo avanti nella ricostruzione virtuale della complessità dei viventi, ma è ancora ben lontano dai risultati necessari.
Molto probabilmente l’intelligenza artificiale avrà un ruolo sempre più importante in questo campo della scienza, come in altri. A questo proposito, l’ECVAM ha recentemente lanciato uno studio pilota, finanziato dal Parlamento Europeo, per sviluppare un database basato sull’intelligenza artificiale con cui raccogliere, organizzare e condividere le informazioni sui metodi alternativi alla sperimentazione animale usati nella ricerca biomedica.
La ricerca sui cosiddetti metodi alternativi ha dimostrato che possono certamente essere utili, per esempio per diminuire il numero di animali usati in laboratorio, anche se non sono quasi mai risolutivi. Tuttavia, è importante ricordare che, quando lo sono (per esempio per accertare le proprietà irritanti), vengono immediatamente adottati. Gli investimenti nel settore stanno crescendo, anche perché si spera di ottenere, un giorno, non solo una soluzione ai problemi etici, ma anche a quelli economici legati all’uso di animali e una migliore attendibilità dei test. Un traguardo che per ora appare ancora lontano.
Agenzia Zoe