Ultimo aggiornamento: 16 marzo 2023
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I mezzi di informazione riportano frequentemente notizie che riguardano i possibili legami tra il consumo di un particolare alimento e il rischio di ammalarsi di tumore e non c’è giorno in cui non si parli del cibo come elemento chiave capace di prevenire o addirittura curare le malattie, cancro compreso. Ma succede anche che un alimento presentato ieri come “buono”, perché proteggerebbe contro un tumore, sia detto in seguito “cattivo”, perché un nuovo studio ne avrebbe dimostrato la capacità di aumentare il rischio di ammalarsi. A chi credere in questi casi? Com’è possibile che uno stesso alimento possa generare risultati opposti in due diverse ricerche? La questione è complessa, ma una cosa è certa: nessun alimento è buono o cattivo di per sé: quando si parla del legame tra alimentazione e cancro le variabili in gioco sono molte e non è semplice arrivare a conclusioni definitive e in bianco e nero.
Uno dei primi problemi legati agli studi sulla nutrizione riguarda la complessità di ciò che si sta esaminando. Un alimento è composto da un’infinità di sostanze e, anche quando si identifica quella che potrebbe avere un effetto anticancro (come per esempio gli antiossidanti nella frutta e nella verdura), l’effetto del consumo di quel particolare cibo è dato anche dall’interazione con altre componenti (per esempio gli zuccheri della frutta, le fibre vegetali e così via).
Inoltre, alcuni studi sui principi attivi di origine alimentare condotti in cellule o in animali di laboratorio, hanno utilizzato concentrazioni di sostanze molto alte, difficilmente raggiungibili con la normale alimentazione. Quando però i ricercatori cercano di riprodurre sinteticamente composti naturali, aumentarne la concentrazione e proporli sotto forma di integratori alimentari, spesso non ottengono gli stessi benefici riscontrati tra coloro che consumavano l’alimento intero nella versione naturale.
I benefici di una dieta sana nascono quindi dall’interazione tra i diversi componenti dei cibi, e non soltanto da specifiche sostanze isolate. Ecco perché non ha senso assumere integratori alimentari invece di adottare una dieta sana e variegata.
La maggior parte degli studi sulla nutrizione utilizzano gli strumenti dell’epidemiologia e in particolare attraverso la somministrazione di questionari. In pratica si seleziona una determinata popolazione e si chiede alle persone di ricordare cosa hanno mangiato nel passato e per quanto tempo (studio retrospettivo). Oppure si domanda alle persone di registrare tutto ciò che mangiano dal momento in cui inizia lo studio e per molti anni a seguire (studio prospettico). Il secondo tipo di studio è più affidabile perché elimina in parte il problema dei buchi di memoria o dei ricordi selettivi. Un problema cognitivo di entrambi questi studi è il cosiddetto pregiudizio di selezione, per cui tendiamo a sottostimare il peso dei comportamenti che sappiamo essere inadeguati o poco sani.
Con in mano l’elenco di ciò che ciascun partecipante ha mangiato, gli epidemiologi osservano anche di che cosa ogni soggetto si è eventualmente ammalato, e cercano di individuare delle associazioni statisticamente significative. In altre parole cercano di scoprire se chi si ammala di un certo tipo di tumore (o, viceversa, chi non si ammala) sia un assiduo consumatore di un particolare tipo di alimenti.
Una correlazione, però, non prova un nesso di causa ed effetto. Le correlazioni possono essere una coincidenza, un caso. Per questo è necessario che l’eventuale nesso tra causa ed effetto sia dimostrato sperimentalmente. Per esempio, il fatto che le fibre riducano il tempo di contatto tra la parete intestinale e le sostanze tossiche che si sviluppano dalla putrefazione dei cibi potrebbe giustificare la loro azione nella riduzione del rischio di sviluppare il cancro del colon. L’effetto anticancro che viene attribuito alle sostanze antiossidanti (es. curcumina) potrebbe derivare dal fatto che l’ossidazione è uno dei meccanismi ben noti di danno cellulare. Infatti, la presenza nella carne rossa del gruppo eme, contenente il ferro, che è anche un potente ossidante, potrebbe sostenere la correlazione tra l’aumento di certi tipi di tumori e il suo consumo in grandi quantità.
Ognuna di queste ipotesi, per essere considerata una prova a favore di una correlazione fra un tipo di alimenti e un effetto salutare o nocivo, deve essere rafforzata con dati ottenuti sperimentalmente. Ma anche questo non è semplice perché sostanze e alimenti esercitano i loro effetti insieme a un’infinità di altri composti. Per tutte queste ragioni è complicato ottenere risposte chiare che permettano di indicare in un singolo alimento la possibile causa di una malattia, o la soluzione per prevenirla.
È questa la domanda che si sono posti alcuni anni fa Jonathan Schoenfeld della Harvard Medical School di Boston e John Ioannidis della Stanford University. Per cercare di rispondere, i due ricercatori hanno messo mano a un libro di ricette e hanno valutato 50 ingredienti scelti a caso, andando a cercare tutti gli articoli che li legassero in qualche modo al rischio di cancro. Ebbene, secondo i risultati del loro studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition, per l’80 per cento circa degli ingredienti analizzati risultava un legame – positivo o negativo – con uno o più tipi di tumori. Alla domanda si dovrebbe quindi rispondere con un sì.
Il problema è che non tutti i dati che riguardano ciascun alimento vanno nella stessa direzione: in alcuni casi si trovano indizi sia in positivo, sia in negativo. Inoltre, buona parte dei risultati ottenuti non ha una sufficiente affidabilità statistica.
Si possono però evidenziare alcuni risultati significativi: se si analizzano alimenti come la carne rossa o l’alcol, appare piuttosto chiara la loro tendenza ad aumentare il rischio di tumore, mentre per alimenti di origine vegetale, come cipolle, carote o limoni, risulta piuttosto chiaro il contrario.
Uno degli errori più comuni che si commettono quando si cercano informazioni sul ruolo positivo o negativo di un particolare alimento rispetto al rischio di cancro è puntare l'attenzione su un unico studio, neppure sempre clinico. Un esempio è quello della vitamina E contenuta in diversi alimenti. Ci sono analisi che dimostrano come questo micronutriente – così vengono definite le vitamine e i sali minerali – abbia effetti protettivi contro il cancro di colon, prostata e vescica, soprattutto grazie alle capacità antiossidanti e stimolanti il sistema immunitario. Tuttavia, in altre indagini sono stati trovati risultati contrari: per esempio, che assumere integratori a base di vitamina E aumenti il rischio di tumore della prostata. Quale di queste affermazioni è vera? La vitamina E protegge dal cancro della prostata o lo causa? In un certo senso entrambe le affermazioni sono corrette: l’effetto rilevato nei diversi studi, infatti, è in un caso protettivo e nell’altro dannoso per la salute della prostata. Le differenze possono dipendere da come sono progettate le ricerche: possono cambiare il numero di pazienti, le caratteristiche dei partecipanti (per età, sesso o presenza di altre malattie), la dose di alimento o nutriente consumata, il modo di quantificare le dosi stesse ecc. La lista delle differenze tra studi sullo stesso alimento può essere molto lunga e può influenzare in modo decisivo i risultati, spiegando la variabilità delle conclusioni.
Quando una ricerca si riferisce a un alimento intero e alle sue proprietà – per esempio il broccolo, in genere considerato un’arma di prevenzione efficace – bisogna chiarire cosa intendono i ricercatori quando affermano che "mangiare tanti broccoli previene il tumore". Come già accennato, gli alimenti sono composti da tante sostanze e quella benefica può essere una sola, oppure una combinazione presente solo in quel determinato prodotto. Inoltre il termine “porzione” non ha per tutti lo stesso significato ed è quindi fondamentale cercare di capire quanti broccoli hanno effettivamente mangiato coloro che hanno ottenuto un beneficio dal loro consumo. Ecco perché prendere in considerazione i risultati di un solo studio per chiarire il rapporto tra cibo e cancro può dare adito a confusione.
Un aiuto a dirimere i dubbi viene dalla statistica e dal lavoro degli esperti che, consapevoli dei limiti di ogni singolo studio, si preoccupano di mettere insieme tutte le informazioni disponibili, pubblicate nella letteratura scientifica, per arrivare a conclusioni più attendibili. Ciò è a volte possibile tramite un esercizio di raccolta e analisi di tutti i dati pubblicati, detto revisione sistematica o metanalisi. Il World Cancer Research Fund (WCRF), un ente internazionale che si dedica ad attività di revisione e metanalisi nel campo della nutrizione e dei tumori, fornisce dati e raccomandazioni continuamente aggiornati al passo con la ricerca. Ciascuna delle raccomandazioni è il frutto dell’analisi di quasi tutti i dati disponibili e non di un unico studio, e viene valutata tenendo conto anche delle eventuali differenze tra gli studi. Mantenere un peso nella norma, limitare il consumo di alimenti processati, carne rossa, alcol e bevande zuccherate sono alcune delle raccomandazioni per la prevenzione del cancro presenti nella terza edizione (2018) del rapporto Diet, Nutrition, Physical Activity and the Prevention of Cancer: a Global Perspective. Si consiglia inoltre di seguire un’alimentazione ricca di cereali integrali, verdure, frutta e legumi. Altre linee guida internazionali seguono la stessa scia. Per esempio le raccomandazioni dell’American Cancer Society pubblicate nel 2020 sulla dieta e l’attività fisica per la prevenzione del cancro suggeriscono di prediligere alimenti ricchi in nutrienti che aiutino a raggiungere e mantenere un peso corporeo salutare, consumare cereali integrali, una gran varietà di prodotti vegetali e frutta di tutti i colori.
Il messaggio più importante che rimane costante nel tempo è questo: nessun alimento, da solo, ha un effetto anticancro; alcuni (come la carne rossa o l’alcol) hanno l’effetto opposto aumentando il rischio di ammalarsi, ma la dimensione del rischio dipende da fattori individuali di tipo genetico e legati al complesso di comportamenti e abitudini. È l'insieme della dieta, combinata all’attività fisica e all’abitudine o meno al fumo, che può fare davvero la differenza, non il singolo cibo. Quindi, se anche un alimento che abbiamo consumato fino a oggi si rivelasse in futuro meno benefico del previsto, l’effetto generale sulla salute non potrà essere particolarmente importante. Tra le diverse diete note, quella mediterranea, basata su vegetali, cereali integrali, pesce, olio di oliva e poche proteine animali, sembra essere una delle più sicure ed efficaci.
Studiare gli effetti dei singoli alimenti sull’organismo è più complicato di quanto si possa pensare. Il tipo di studio, la popolazione coinvolta, la scelta degli alimenti o nutrienti analizzati, così come le quantità, sono alcuni dei fattori che influenzano i risultati, con la conseguenza che le conclusioni di diverse ricerche possono essere, in alcuni casi, in conflitto tra loro. Soprattutto, non è quasi mai un singolo alimento a causare o prevenire il cancro, ma l’insieme di diverse componenti legate alla genetica, all’ambiente e alle abitudini di ciascuno, tra cui quelle alimentari. La raccomandazione condivisa dagli esperti internazionali è di seguire una dieta varia, sana e moderata, e fare attenzione ai comportamenti a rischio (come fumo, alcol, scarsa attività fisica, sovrappeso).
Agenzia Zoe