Ultimo aggiornamento: 23 marzo 2023
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Il China Study è una ricerca epidemiologica svolta dalla Cornell University, dall’Accademia cinese di Medicina preventiva, dall’Accademia cinese di Scienze mediche e dall’Università di Oxford che è stata avviata nel 1983 sotto la supervisione del nutrizionista T. Colin Campbell. Tra gli esperti che hanno fatto parte del gruppo di ricerca vi è anche il noto epidemiologo Richard Peto, uno dei massimi esperti sul legame tra cancro e stili di vita. Scopo dello studio era stabilire il nesso tra alimentazione e salute, discriminando fra cibi benefici e nocivi. Gli autori hanno considerato le abitudini degli abitanti di 128 villaggi cinesi e 65 contee, raccogliendo ben 367 diversi tipi di dati, compresi gli esiti di alcuni test su sangue e urina. La scelta della Cina come laboratorio, per così dire, di osservazione è dipesa dalla disponibilità di informazioni, legata anche al livello di controllo sociale tipico del Paese, difficilmente eguagliabile in un altro luogo.
I risultati del China Study sono stati pubblicati nel 2005 in un libro di cui si è parlato molto e che è diventato un caso editoriale. Tuttavia le conclusioni sono controverse e non del tutto condivise dalla comunità scientifica. Una delle ragioni è che i risultati dello studio non sono mai stati riportati in articoli pubblicati su riviste scientifiche né sono stati valutati tramite il metodo internazionale di peer review.
Il China Study identifica alcune "malattie dell'abbondanza" (infarto, ictus, ipertensione, cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi) legate ai comportamenti individuali e in particolare all’alimentazione. Sotto accusa sono principalmente la carne, i latticini e i grassi di origine animale, che provocherebbero, tra le altre cose, uno sviluppo puberale precoce e una più prolungata esposizione agli ormoni endogeni prodotti dall’organismo stesso. Gli effetti negativi del consumo di carne si vedrebbero soprattutto nello sviluppo del cancro della mammella, un tumore la cui incidenza (cioè il numero di donne che si ammalano) è in effetti molto più bassa in Cina rispetto agli Stati Uniti. Oltre alla dieta con più vegetali, i cinesi possono contare anche sugli effetti benefici di cereali non raffinati.
Questi dati non sono una novità e sono stati confermati anche da altri studi, come lo studio EPIC in Europa, che già nel 1980 ha dedicato particolare attenzione al legame tra alimentazione vegana o vegetariana e salute (Oxford Vegetarian Study, noto anche come Study of Cancer in Vegetarians).
Anche gli esperti della American Cancer Society ricordano che i regimi alimentari vegetariani possono essere utili nel ridurre il rischio di tumori, ma aggiungono anche che “non è altrettanto chiaro se una dieta vegetariana porti speciali benefici per la salute, rispetto a una dieta che includa un consumo di prodotti animali inferiore a quello tipico delle diete occidentali”.
“Già in passato alcune ricerche hanno suggerito che i vegetariani e i pescatariani, persone che includono il pesce ma non la carne nella loro alimentazione, potrebbero avere un rischio inferiore di sviluppare il cancro. Tuttavia le prove a sostegno della riduzione del rischio di specifici tipi di tumore non ha portato a risultati conclusivi” ha spiegato Cody Watling, della Population Health’s Cancer Epidemiology Unit dell’Università di Oxford, commentando i risultati di uno studio, pubblicati nel 2022 sulla rivista BMC Medicine. I dati raccolti nella UK Biobank, e ottenuti da oltre 450.000 persone coinvolte nello studio, hanno mostrato che il rischio di sviluppare un tumore è del 14 per cento più basso nei vegetariani rispetto a chi consuma carne regolarmente. Tuttavia le differenze tra diversi tipi di tumore non sono del tutto spiegabili con la sola assunzione di una dieta povera di alimenti di origine animale.
Nel tempo il libro “The China Study” è diventato per alcuni una sorta di "bibbia dei vegani", soprattutto per via della grande esposizione mediatica degli autori. Mettendo all’indice tutti i cibi di origine animale, lo studio tenderebbe ad avvalorare una dieta che invece altri studi epidemiologici identificano come eccessivamente restrittiva. Una quantità ragionevole di grassi di origine animale, latticini e soprattutto pesce, è infatti considerata salutare dalla maggior parte delle ricerche serie e affidabili sul legame tra alimentazione e sviluppo di malattie, fra cui il cancro.
In Italia il libro è diventato famoso dopo che la nota trasmissione televisiva "Le Iene" l’ha utilizzato per sostenere la dieta vegana nella cura del cancro. Nella trasmissione si affermava che questo tipo di dieta può curare il cancro: un’affermazione che non ha alcun riscontro scientifico.
Ciò che la comunità scientifica ha trovato scarsamente dimostrato è il fatto che, secondo i calcoli del China Study, il consumo anche di piccolissime quantità di grassi e proteine animali (compresi quelli provenienti dai latticini, indicati come particolarmente pericolosi) porterebbe a un incremento importante del rischio. Si tratta di una differenza notevole rispetto agli altri studi epidemiologici, che hanno mostrato un aumento del rischio, ma graduale e dipendente dalle dosi. Un consumo ragionevole di questi alimenti, che fanno parte da sempre della dieta umana, non è da sconsigliare. Nel 2018 il World Cancer Research Fund (WCRF) ha pubblicato un documento interamente dedicato al legame tra cibi di origine animale e rischio di sviluppare diversi tipi di tumore: “Meat, fish and dairy products and the risk of cancer” è il titolo della pubblicazione che fa parte del più ampio progetto WCRF “Diet, Nutrition, Physical Activity and Cancer: a Global Perspective” giunto al terzo rapporto, pubblicato proprio nel 2018. Tra i risultati principali dell’analisi, si nota che in effetti un consumo eccessivo di carne rossa e carne lavorata aumenta il rischio di tumore colorettale, mentre latte e latticini riducono il rischio di sviluppare questa neoplasia. A conclusione dell’analisi, gli esperti raccomandano di limitare il consumo di carne rossa e di evitare se possibile di portare in tavola quella lavorata. Nessuna indicazione specifica invece sul consumo di latte e derivati, considerati comunque una buona fonte di proteine e di calcio.
Per completezza di informazione, è comunque importante sottolineare che molti dei dati disponibili sono stati ottenuti da studi condotti sulla popolazione occidentale, diversa per abitudini alimentari e caratteristiche genetiche da quelle orientali. Queste differenze potrebbero influenzare i risultati relativi all’associazione tra dieta e rischio di cancro. Lo dimostrano i risultati pubblicati sulla rivista BMC Medicine nel 2022, di uno studio condotto su oltre mezzo milione di adulti cinesi seguiti per ben 11 anni. Secondo l’indagine nella popolazione cinese, che in genere consuma meno latticini rispetto agli occidentali, un maggior consumo di latte e derivati si associa a un aumento del rischio di cancro in generale e, più nello specifico, di tumore del fegato e del tumore mammario nelle donne. Come sostengono gli stessi autori dell’articolo, non è comunque possibile dimostrare con certezza che esiste un rapporto causa-effetto tra consumo di latticini e aumento del rischio oncologico e servono quindi ulteriori studi per confermare i dati ottenuti.
Vi sono molte ragioni per cui la comunità scientifica ritiene inattendibili le conclusioni di questo studio così come sono esposte nel libro. La principale riguarda il metodo utilizzato per collegare le possibili cause con gli effetti. Senza entrare in dettagli statistici di difficile comprensione, è importante capire che il nesso tra un evento e un altro può essere facilmente travisato se non si tengono in considerazione tutti i possibili elementi confondenti.
Negli studi epidemiologici rigorosi, i legami apparenti di causa ed effetto tra eventi sono scartati dagli esperti nel processo di revisione, ma questo non è accaduto nel caso del China Study. Per fare un esempio concreto, un legame apparente di causa ed effetto è quello fra il numero di decessi e chi si reca in ospedale o si trova a passare per una strada. Guardando al numero dei decessi per numero di persone che si trovano in un certo luogo, potremmo facilmente dedurre che l’ospedale è un posto potenzialmente più pericoloso di una strada. Si tratta tuttavia della classica correlazione, che non considera alcuni fatti confondenti: l’ospedale è un luogo dove si recano i malati e si assistono le persone in fin di vita, mentre per strada ci vanno tutti, sani e malati, e in un incidente può essere coinvolto chiunque, anche persone giovani e sane. Ecco, il China Study è pieno di correlazioni apparenti come questa, che avrebbero dovuto essere rimosse prima della pubblicazione.
Prendiamo il caso più eclatante, quello della caseina, la proteina contenuta nel latte e nei formaggi. Sulla base dei dati del China Study e del fatto che i cinesi consumano pochissimi latticini, Campbell ha dedotto che i latticini sono cancerogeni. Ha condotto anche un esperimento con ratti con tumori, dimostrando che togliendo la caseina si riduce la dimensione del tumore. Sembrerebbe una prova inconfutabile, con una doppia conferma, negli esseri umani e negli animali. Tuttavia Campbell non ha tenuto in considerazione un altro dato, ottenuto nel 1989 da Schulsinger e collaboratori: un effetto analogo è ottenuto con proteine del grano, se a queste si aggiunge l’amminoacido lisina, che consente all’organismo di produrre autonomamente la caseina. In pratica non importa se la caseina proviene da una fonte animale o è prodotta a partire da un’altra proteina vegetale: quello che conta è la capacità dell’organismo di produrne a sua volta, fornendo così nutrimento al tumore.
Nella dieta di un occidentale la lisina è sempre presente, perché è uno dei nove amminoacidi essenziali che dobbiamo introdurre con la dieta, dato che il nostro organismo non può sintetizzarlo da solo. Ormai da più di un secolo quasi nessuno soffre di carenze nutrizionali nei Paesi occidentali. Quindi suggerire di eliminare i latticini perché sarebbero cancerogeni, conservando però le altre proteine di origine vegetale, non ha senso. Altri studi, tra l’altro, hanno identificato nel siero di latte alcune proteine che hanno l’effetto opposto, ovvero hanno proprietà antitumorali. Non solo: i ratti studiati da Campbell, con dieta priva di caseina, dopo qualche tempo hanno sviluppato un cancro del fegato associato alla carenza di alcune proteine. Tali proteine erano necessarie al corretto funzionamento di questo organo, la cui funzione principale è l’eliminazione delle tossine dall’organismo.
Questo è solo uno degli innumerevoli esempi di analisi selettiva delle prove scientifiche, solo quelle congruenti con la tesi del libro, di cui è pieno il China Study. La conclusione, secondo la quale i Paesi dove si consuma più latte sono anche quelli in cui si muore di più di tumore, non tiene conto di altri fattori importanti, come il fatto che sono anche i Paesi dove si vive più a lungo (e l’età è un fattore di rischio importante per lo sviluppo di un cancro), e dove, all’epoca dello studio, erano maggiori sia l’inquinamento ambientale, sia la sedentarietà.
Il China Study ha anche altri difetti di metodo: per esempio mette in relazione un numero enorme di variabili (367, come si è detto, con oltre 8.000 diverse correlazioni). Ciò consente, con appropriati utilizzi della statistica e in assenza di studi di controllo, di dimostrare apparentemente pressoché qualsiasi teoria preconcetta. Una giovane blogger americana, Denise Minger, ha trascorso circa un mese e mezzo ad analizzare i dati del China Study, valutandone tutte le correlazioni e producendo una critica precisa e puntuale delle molte affermazioni contenute nel libro. Minger è così diventata un punto di riferimento in materia anche per la comunità scientifica (qui si possono leggere i suoi post).
Nella maggior parte dei casi le affermazioni di Campbell e del suo libro non reggono alla prova dei numeri contenuti proprio negli studi che descrive. In particolare Campbell generalizza alcuni dati che riguardano una proteina specifica, studiata in modo isolato e senza tenere conto degli effetti di una dieta varia, per arrivare all’erronea conclusione che sia consigliabile eliminare qualsiasi proteina animale.
Tenendo conto dei risultati descritti nello studio di Campbell e dei più attendibili dati oggi disponibili nella letteratura scientifica, si arriva alla conclusione che è possibile scegliere di diventare vegani, ma al momento non vi sono prove che ciò sia utile o benefico dal punto di vista della salute e per la prevenzione del cancro.
Rimane il fatto che ricerche più serie del China Study dimostrano che una riduzione delle proteine e dei grassi animali diminuisce il rischio di sviluppare un tumore, all'interno però di una dieta varia ed equilibrata che comprenda latte o latticini, uova e pesce. Anche un consumo saltuario di carne è compatibile con una nutrizione equilibrata, ma è sempre necessario prestare attenzione alla qualità del prodotto consumato e al tipo di lavorazione o cottura al quale è sottoposto.
Agenzia Zoe