Ultimo aggiornamento: 11 luglio 2024
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Col termine “cellula staminale” si indica in generale una cellula non specializzata, capace di riprodursi in due cellule figlie in maniera asimmetrica. Da tale divisione, una delle due cellule figlie rimane non specializzata, mentre l’altra si differenzia in uno dei molti tipi di cellule diverse presenti nel nostro corpo (per esempio, un neurone, un globulo bianco o una cellula della pelle).
Le cellule staminali possono essere classificate in base alla capacità di differenziarsi nelle cellule che compongono uno o più tessuti dell’organismo.
Se prelevate nelle fasi precocissime dello sviluppo, le cellule staminali embrionali sono totipotenti, altrimenti sono pluripotenti.
Le cellule staminali sono usate nella ricerca medica nel campo della cosiddetta medicina rigenerativa, con cui si spera di riuscire a crescere in laboratorio tessuti o addirittura organi interi per sostituire quelli malfunzionanti. Le cellule staminali embrionali sono usate soprattutto nella ricerca sul sistema nervoso centrale, per rigenerare strutture danneggiate da malattie degenerative come il morbo di Parkinson o quello di Alzheimer, o sul sistema nervoso periferico, per riparare il midollo spinale in caso di lesioni irreversibili.
Finora i risultati sono stati al di sotto delle aspettative per alcuni problemi. Poiché queste cellule si dividono così tanto (e così in fretta), possono dare facilmente origine a tumori. Inoltre, la ricerca è stata limitata dal dibattito etico e legale sull’uso degli embrioni umani per guarire malattie oggi incurabili. Nei limiti consentiti dalla legge la ricerca va avanti, per esempio nel tentativo di riprodurre tessuti come quello cardiaco, che in età adulta non si rigenera da solo in caso di danno o malattia.
Dato che le cellule staminali embrionali si riproducono molto velocemente, sono anche usate come sistema in cui studiare i geni coinvolti nella proliferazione cellulare. Queste informazioni sono preziose per la ricerca sul cancro, poiché i tumori sono caratterizzati da una proliferazione cellulare incontrollata, a volte causata dalla riattivazione di geni che dovrebbero funzionare solo nella fase embrionale della vita di un individuo.
Negli ultimi anni la ricerca ha fatto passi avanti per superare i problemi etici legati all’uso delle cellule embrionali. Alcuni laboratori sono per esempio riusciti a utilizzare con successo cellule prelevate nel corso dei test prenatali, amniocentesi e villocentesi, che hanno caratteristiche simili alle cellule embrionali.
A oggi, in Italia non è consentito utilizzare per la ricerca embrioni ottenuti nel nostro Paese, ma è possibile acquistare all’estero linee cellulari ottenute coltivando in laboratorio cellule embrionali, prelevate anche molto tempo prima da un embrione.
Il sangue presente nel cordone ombelicale contiene cellule staminali adulte ematopoietiche, cioè capaci di trasformarsi in tutti gli elementi del sangue, e può essere utile a curare i tumori del sangue e altre malattie. Per questo, negli ospedali italiani dove nascono i bambini se ne consiglia il prelievo al momento del parto e la donazione alle banche di sangue cordonale, che in Italia sono pubbliche.
Molte persone sono convinte che sia meglio conservare il sangue cordonale per curare un’eventuale malattia futura del proprio bambino. Ciò è oggi fattibile solo inviando il prelievo in strutture all’estero, pagando i costi della conservazione. Non ci sono tuttavia ragioni scientificamente valide per farlo. Infatti, il sangue cordonale viene usato talvolta per curare la porfiria o rare forme di nanismo (sindrome di Hunter) e, più comunemente, per trattare i malati di leucemia. In genere è molto più facile trovare un donatore compatibile in una banca pubblica, ben collegata con una rete mondiale, che non usare il sangue cordonale che è stato conservato in una struttura privata all’estero. Conservare il sangue cordonale per il proprio figlio, per l’eventualità fortunatamente remota che si ammali, riduce le probabilità di guarigione di tutti gli altri senza aumentare la sua.
È bene anche ricordare che, al momento attuale, non ci sono applicazioni pratiche delle cellule staminali cordonali in medicina rigenerativa. Spesso le società private che conservano all’estero il sangue cordonale promettono applicazioni future mirabolanti, nessuna delle quali è oggi una realtà sostenuta da evidenze scientifiche. Inoltre, poiché non è ancora chiaro per quanti anni è possibile conservare correttamente le cellule del sangue cordonale, non è detto che eventuali future applicazioni avranno successo con il materiale biologico che è stato messo da parte decenni prima. Ammesso, peraltro, che tali strutture non falliscano per ragioni commerciali.
In tutti gli organismi adulti esistono cellule staminali che funzionano da riserva per la riparazione dei tessuti. Le cellule ematopoietiche del midollo osseo sono staminali adulte che possono essere usate nella terapia di alcuni tumori del sangue, per esempio determinati tipi di leucemie e linfomi. Sono prelevate da un donatore geneticamente compatibile con il malato, che non è necessariamente un parente. Nel trapianto di midollo, il midollo osseo è prelevato dalle ossa del bacino del donatore, usando una siringa e aghi lunghi e sottili, e viene poi iniettato nel sangue del ricevente (il midollo osseo è diverso dal midollo spinale, una parte del sistema nervoso contenuta nella colonna vertebrale). Oggi si preferisce parlare di trapianto di cellule staminali ematopoietiche perché, usando alcune molecole chiamate fattori di crescita, è possibile fare migrare le cellule da trapiantare dal midollo al sangue del donatore, da dove esse vengono poi purificate per essere infine trasfuse nel ricevente. Negli ultimi anni si è iniziato a usare sperimentalmente le staminali ematopoietiche anche per riprogrammare il sistema immunitario, affinché quest’ultimo sia più efficace nel combattere alcuni tipi di tumori solidi.
La grande sfida della medicina rigenerativa consiste nel riprogrammare le cellule staminali adulte in modo da ottenere anche tessuti di altro tipo. In pratica si tenta così di aumentare le potenzialità di specializzazione delle staminali adulte per poter rigenerare qualsiasi tessuto senza ricorrere alle staminali embrionali. Alcune riprogrammazioni hanno già avuto successo: dalle cellule staminali adulte mesenchimali (presenti nei tessuti connettivi) è possibile ottenere cellule del sistema nervoso o cellule del pancreas che producono insulina. Si tratta di procedure sperimentali, ancora al vaglio della comunità scientifica.
Nel 2006 è stata messa a punto una tecnica che consente di “riprogrammare” cellule completamente differenziate e ottenerne di nuove che abbiano le caratteristiche di quelle staminali. Si tratta delle cosiddette “cellule staminali pluripotenti indotte” (iPSC). Per generarle si parte da cellule adulte, per esempio quelle della pelle, facili da prelevare, e vi si inseriscono artificialmente quattro geni che ne ripristinano la capacità di differenziarsi in altri tipi cellulari. Le iPSC possono essere utilizzate per studiare i meccanismi alla base di determinate malattie e per sperimentare potenziali trattamenti terapeutici. Partendo dalle cellule di un paziente è inoltre possibile studiare cellule malate con il materiale genetico di quel preciso paziente. Le iPSC sono guardate con molto interesse dalla comunità scientifica perché non comportano i problemi etici delle cellule staminali embrionali. Per i loro studi sulle iPSC, nel 2012, gli scienziati Shinya Yamanaka e John Gurdon sono stati insigniti del premio Nobel per la fisiologia o la medicina.
Il termine “staminale” è usato anche per indicare una particolare popolazione di cellule presenti nei tumori: le cosiddette cellule staminali tumorali. In questo caso si tratta di cellule tumorali che servono da riserva per il cancro. Ogni cellula staminale tumorale, quando si riproduce, sembra dare origine a una cellula tumorale e a un’altra staminale, e così via. Le cellule staminali tumorali sono più difficili da eliminare rispetto alle cellule tumorali poiché sono più resistenti ai trattamenti. Inoltre, possono dare origine a metastasi, poiché sono in grado di diffondersi nell’organismo. Le staminali tumorali sono quindi un bersaglio importante per le terapie anticancro, ma non sono uno strumento di cura.
Dal momento che l’uso dello stesso aggettivo (staminale) per indicare due tipi di cellule molto diverse fra loro (tumorale e non tumorale) genera confusione, vale la pena ricordare due concetti fondamentali:
Le cellule staminali sono cellule non specializzate che hanno la capacità, riproducendosi, di differenziarsi in altri tipi di cellule più specializzati. Non tutte le cellule staminali hanno le stesse caratteristiche: quelle provenienti dagli embrioni, dal liquido amniotico o dai villi coriali sono in grado di trasformarsi in quasi ogni tessuto dell’organismo; quelle che invece originano dal sangue del cordone ombelicale e dai tessuti adulti possono differenziarsi solo in alcuni tipi di cellule e tessuti.
Le cellule staminali sono usate nella ricerca medica nella speranza di poter un giorno sostituire un tessuto o organo malato del corpo, ricreandolo in laboratorio. Nella ricerca sul cancro si utilizzano per studiare i meccanismi alla base della proliferazione delle cellule tumorali. Al momento, le cellule staminali sono utilizzate come terapia oncologica, nel trapianto di cellule staminali ematopoietiche e per curare alcuni tipi di tumori del sangue.
Le cellule staminali tumorali, invece, sono cellule tumorali con capacità pressoché infinite di riproduzione e grande resistenza alle terapie: per questo motivo sono studiate dalla ricerca oncologica come bersaglio di alcune delle più innovative terapie antitumorali.
Testo originale pubblicato in data 27 aprile 2021
Testo aggiornato pubblicato in data 11 luglio 2024
Agenzia Zoe