Ultimo aggiornamento: 12 febbraio 2024
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L’idea che i cani, grazie al loro potente olfatto, siano in grado di individuare la presenza di tumori negli esseri umani è comparsa per la prima volta nella letteratura scientifica nel 1989, quando la rivista The Lancet ha pubblicato la segnalazione di due dermatologi britannici che raccontavano di una paziente il cui cane aveva cominciato ad annusare, per diverse ore al giorno, un neo che la donna aveva sulla coscia. Preoccupata, la paziente si era fatta controllare scoprendo così di avere un melanoma maligno.
A questa prima pubblicazione ne sono seguite altre che hanno risvegliato la curiosità dei ricercatori. È noto che il metabolismo dei tessuti tumorali è diverso da quello dei tessuti sani e che alcune sostanze prodotte dalle cellule sono molecole volatili odorose che possono essere intercettate dal sistema olfattivo degli animali con una certa precisione. Il naso degli animali, e di certe razze di cani in particolare, è fornito infatti di un gran numero di recettori olfattivi specializzati (circa 220 milioni di recettori contro i 5 milioni di un naso umano).
Nel 2004 un gruppo di ricercatori britannici ha pubblicato sul British Medical Journal i risultati del primo studio sistematico della capacità diagnostica dei cani. I ricercatori hanno addestrato sei cani a distinguere, annusandole, le urine di pazienti con cancro alla vescica dalle urine di individui sani. Ogni volta che i cani distinguevano correttamente le urine dei malati venivano premiati, fino al completamento dell’addestramento.
In seguito, i cani sono stati esposti a sette nuovi campioni di urine, uno solo dei quali appartenente a un paziente con cancro della vescica. Gli animali hanno identificato correttamente il campione del malato nel 41 per cento dei casi (cioè in 22 su 54 esposizioni al campione). I risultati sono modestamente migliori rispetto a una scelta completamente casuale, in cui la statistica ci dice che avrebbero azzeccato il campione del malato solo nel 14 per cento dei casi (cioè in un caso su sette). Lo studio dimostra quindi che in alcune condizioni controllate i cani possono differenziare le urine dei malati e quelle di persone sane. Non lo sanno però fare in tutti i casi e soprattutto non con l’accuratezza richiesta da un moderno metodo diagnostico affidabile.
Due anni dopo, un gruppo statunitense ha pubblicato sulla rivista Integrative Cancer Therapy i risultati di uno studio in cui avevano addestrato un gruppo di 5 cani ad annusare campioni di fiato emesso da pazienti con cancro al polmone o alla mammella, oltre a 83 campioni di fiato di persone sane. Il test era in doppio cieco, cioè né i proprietari dei cani né i ricercatori sapevano a chi appartenessero i campioni. I risultati sono stati promettenti perché con poche settimane di addestramento i cani hanno imparato a distinguere i campioni dei malati con un elevato livello di accuratezza.
Due anni dopo, nel 2008, i risultati di uno studio, pubblicati sul Journal of Alternative and Complementary Medicine hanno mostrato esiti diversi. L’esperimento ha coinvolto sei cani e campioni di urine provenienti da donne malate di cancro al seno oltre che da soggetti sani. Solo 2 cani hanno imparato a distinguere i campioni delle paziente da quelle dei volontari sani con una frequenza superiore al caso.
Nel 2015 un gruppo di ricercatori austriaci ha pubblicato sul Journal of Breath Research i risultati di uno studio in cui ai cani è stato chiesto di identificare in fase precoce il cancro al polmone in campioni di fiato provenienti da forti fumatori. Su 122 partecipanti, 29 avevano già una diagnosi di cancro al polmone non ancora trattato, mentre 93 erano sani al momento dell’arruolamento nello studio. Anche in questo caso è stato usato un protocollo in doppio cieco. Il tasso di identificazione dei campioni di pazienti con cancro al polmone superava di poco il 30 per cento, mentre la correttezza diagnostica, nel caso di campioni di fiato di individui sani, era dell’84 per cento. In altre parole, nel 16 per cento dei casi i cani hanno sbagliato, attribuendo un tumore a chi non lo aveva. Tuttavia, gli autori dell’articolo sostengono che il metodo sperimentale in doppio cieco, considerato il migliore possibile in medicina, non sarebbe adatto a questo tipo di studi perché i ricercatori, non sapendo se il cane identifica il campione corretto (ovvero quello del malato tra una serie di campioni sani) non può ricompensarli. Mancherebbe così uno dei fondamenti dell’addestramento animale, che è il meccanismo di rinforzo legato all’approvazione del padrone.
Sempre nel 2015 una fondazione britannica, la Medical Detection Dogs, ha annunciato l’avvio di uno studio di grandi dimensioni, con oltre campioni ottenuti da 3.000 pazienti e l’aiuto di 9 cani, per verificare la capacità diagnostica di questi animali su urine di malati di cancro della prostata, della vescica e del rene. Al momento lo studio è ancora in corso, ma la fondazione è stata molto criticata perché prima della pubblicazione dei dati offre già i propri animali come strumento diagnostico a pagamento.
La ricerca sull’argomento va avanti, come dimostrano le pubblicazioni più recenti. Tra questi possiamo citare uno studio del 2021 condotto dalla stessa Medical Detection Dogs in collaborazione con altri enti, che mostra come i cani possano essere addestrati a rilevare una delle forme più aggressive di cancro alla prostata mediante composti organici volatili (VOC). In questo caso si è trattato di uno studio “controllato” in cui anche i ricercatori non sapevano quali campioni provenissero da partecipanti sani o malati.
Combinando diversi approcci e prevedendo l’uso dell’intelligenza artificiale, secondo gli autori di quest’ultima ricerca, in futuro potrebbe essere possibile sviluppare strumenti diagnostici olfattivi automatici, in pratica dei “nasi robotici” che non richiederebbero di coinvolgere i cani.
È molto probabile che i cani siano in grado di identificare particolari molecole volatili legate al metabolismo dei tessuti tumorali. Ciò non significa che possano essere davvero utili come metodo diagnostico. Qualsiasi test per la diagnosi di cancro deve infatti essere: affidabile, ossia dare pochi falsi negativi e pochi falsi positivi;specifico, ossia il meccanismo molecolare su cui si basa deve essere ben compreso e anche per questo i risultati devono essere ripetibili; e deve essere pratico, ossia altrettanto semplice ed economico di un analogo test convenzionale.
Gli studi disponibili mostrano che i test con i cani sono meno accurati, più costosi e meno pratici dei test diagnostici esistenti, perché gli animali devono essere addestrati, perché i meccanismi molecolari coinvolti non sono del tutto compresi e perché, se confrontati con una macchina, sono meno affidabili. Come tutti gli esseri viventi, infatti, i cani possono mostrare un’alta variabilità: avere giornate positive e altre negative, ammalarsi o avere una sensibilità fluttuante.
Potrebbero però essere utili per aiutare gli scienziati a sviluppare delle macchine in grado di leggere la particolare “firma odorosa” di determinati tumori (i cosiddetti nasi elettronici), facilitando l’identificazione delle molecole volatili prodotte dalle cellule tumorali. Un filone della ricerca tecnologica si sta orientando in questa direzione.
Il fatto che i cani in generale non siano un buon metodo diagnostico da utilizzare in ambulatori e ospedali non significa che si debbano sottostimare i segnali inviati da un singolo animale nei confronti del proprio padrone. Data la grande quantità di segnalazioni aneddotiche di cani che insistono nell’annusare parti del corpo dei propri padroni in presenza di una malattia, se questo accade vale la pena di farsi controllare da un medico, che per la diagnosi utilizzerà test diagnostici validati e controllati.
Agenzia Zoe