Ultimo aggiornamento: 7 gennaio 2019
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Nessuna patologia è causata soltanto dal consumo di carne rossa. Tuttavia gli epidemiologi concordano sul fatto che gli individui che seguono diete ricche di proteine animali, soprattutto carni rosse e lavorate, hanno un maggior rischio di sviluppare patologie come diabete, infarto e problemi cardiovascolari, obesità e cancro. Riguardo ai tumori, il rischio aumenta soprattutto per quelli dell'apparato gastro-intestinale, come il cancro al colon-retto e allo stomaco, ma anche per alcuni tumori dipendenti dagli ormoni, come quello al seno, alla prostata e all'endometrio. Nel 2015 l'International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, un'agenzia dell'Organizzazione mondiale della sanità che valuta e classifica le prove di cancerogenicità delle sostanze, ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena (classe 2A della classificazione dello IARC) e la carne rossa lavorata (insaccati e salumi) come sicuramente cancerogena (classe 1 della classificazione dello IARC). Tutti i dati che hanno portato a tale classificazione e le riflessioni sul tema sono contenuti e descritti in dettaglio in una monografia dedicata a “Carni rosse e lavorate”, pubblicata dagli esperti IARC nel 2018 e basata sulla revisione di oltre 800 studi sull’argomento.
Vi è molta confusione riguardo al significato della decisione dello IARC di includere le carni rosse e le carni rosse lavorate rispettivamente nella classe 2A e nella classe 1 delle sostanze cancerogene.
La decisione è stata presa dopo un'attenta revisione degli studi disponibili in merito, ma non significa che i salumi siano sempre e necessariamente più pericolosi della carne rossa fresca. La classificazione di cancerogenicità non è una classificazione del livello di rischio, ma una misura del grado di fiducia che gli esperti hanno nei dati per potersi esprimere sulla cancerogenicità di un prodotto. In pratica ci dice solo che gli studi su salumi e insaccati hanno una qualità e un'ampiezza tale da farci dire con minore incertezza che i salumi possono aumentare il rischio di ammalarsi, mentre gli studi sulle carni rosse non lavorate sono statisticamente meno forti e quindi ci permettono solo di dire che probabilmente, ma non certamente, l'associazione esiste. Per quel che riguarda le carni bianche (pollame e coniglio), gli esperti affermano solo che non esistono studi sufficientemente attendibili e che quindi non possono pronunciarsi né in un senso né nell'altro, anche se la conoscenza dei meccanismi molecolari che rendono la carne rossa potenzialmente cancerogena (per esempio la presenza del ferro EME) permette di dire che le carni bianche (che ne contengono, in generale, in piccolissima quantità) sono probabilmente più sicure.
La classificazione dello IARC, inoltre, non ci dice niente sulla potenza di una sostanza nel provocare tumori. Molti giornali hanno titolato, per esempio, che la carne rossa lavorata è "cancerogena come il fumo". Si tratta di una interpretazione sbagliata: è inserita nella stessa categoria del tabacco – quella delle sostanze sicuramente cancerogene per gli esseri umani – perché per ambedue sono disponibili prove scientifiche sufficienti perché gli esperti possano esprimere un parere affidabile. Ma il fumo è un cancerogeno molto più potente degli insaccati, per cui ragionevolmente una fetta di salame di tanto in tanto potrebbe avere minore influenza sulla salute di un paio di sigarette.
Nessuno ha una risposta precisa a questa domanda. Gli studi epidemiologici valutano l'aumento del rischio sui grandi numeri e non a livello del singolo individuo. Gli esperti hanno stabilito che il 18-21 per cento dei tumori al colon, e il 3 per cento di tutti i tumori, sono probabilmente legati al consumo di carni rosse e insaccati. Il fumo di sigaretta, tanto per dare un parametro di confronto, è responsabile dell'86 per cento dei tumori al polmone e del 19 per cento di tutti i tumori, secondo i dati della charity Cancer Research UK. L'agenzia britannica ha anche stimato che se tutti gli abitanti della Gran Bretagna smettessero di fumare, ci sarebbero 64.500 casi in meno di cancro l'anno, mentre se tutti diventassero vegetariani ci sarebbero 8.800 casi in meno l'anno.
Un documento pubblicato nel 2017 dal World Cancer Research Fund sul rischio di tumore colorettale ha stimato che un consumo elevato di carni rosse lavorate (50 grammi al giorno) aumenta del 16 per cento il rischio di ammalarsi di questa neoplasia. Si tratta però del cosiddetto rischio relativo, che va cioè aggiunto al rischio assoluto degli individui. Facciamo un esempio: persone che non hanno familiarità per il cancro del colon e per il cancro in generale, hanno abitudini di vita salutari (non fumano, fanno esercizio fisico) ma sono consumatrici frequenti di salumi, accresceranno il proprio rischio di ammalarsi del 16 per cento circa rispetto a persone con le stesse caratteristiche e abitudini tranne che per i salumi. Il rischio di entrambi i gruppi, tuttavia, resterà comunque molto basso perché complessivamente rischio assoluto e rischio relativo sono entrambi bassi. Ciò significa che in termini sia assoluti sia relativi quelle persone non avranno modificato di molto il proprio rischio di ammalarsi di cancro al colon.
Viceversa persone che hanno una malattia infiammatoria dell'intestino o una elevata familiarità per cancro del colon-retto (due condizioni che accrescono di molto il rischio), mangiando insaccati in grande quantità accresceranno il proprio rischio assoluto, relativamente elevato, del 16 per cento di rischio relativo, rispetto a persone che nelle stesse condizioni evitano gli insaccati.
Le indicazioni dello IARC vanno considerate in termini di popolazione e di salute pubblica. Non andrebbero mai tradotte in termini di indicazioni individuali, dato che il proprio rischio di ammalarsi dipende anche da altri fattori, come appunto la familiarità e l'insieme degli stili di vita, e può essere valutato con il medico di fiducia. Può darsi che per qualcuno sia opportuno ridurre o eliminare del tutto la carne rossa mentre per la maggior parte delle persone basta consumarne con moderazione.
Resta in ogni caso la raccomandazione degli epidemiologi dello IARC a consumi moderati di carne rossa e molto limitati di carne rossa processata, anche alla luce del fatto che nella storia dell'umanità non si è mai consumata così tanta carne e in modo così diffuso. Ciò significa che ci sono margini per una ragionevole riduzione, senza arrivare necessariamente a scelte drastiche.
La carne contiene prevalentemente proteine. Dal punto di vista biochimico tutte le proteine che costituiscono gli organismi viventi sono costruite nello stesso modo, tramite l'assemblaggio di 20 "mattoncini", gli amminoacidi, uguali in tutte le specie, sia animali sia vegetali. La maggior parte di esse provengono dalla carne, e in particolare dalle carni rosse: manzo, maiale, agnello e capretto. Il colore rosso è dato dalla presenza nei tessuti di due proteine imparentate fra loro: l'emoglobina e la mioglobina. Entrambe contengono una molecola, detta gruppo eme, con al centro un atomo di ferro. Il gruppo eme è la "trappola molecolare" per catturare le molecole di ossigeno, essenziali per l’ossigenazione dei tessuti e la produzione di energia, e per questo ne vengono immagazzinate grandi quantità nei muscoli, che si colorano di rosso.
Diversi studi indicano che il gruppo eme stimola nell'intestino la produzione di alcune sostanze cancerogene e provoca infiammazione nelle pareti intestinali. Un'infiammazione prolungata nel tempo dovuta a una massiccia ingestione di carne rossa aumenta le probabilità di sviluppare tumori al colon-retto, che nei Paesi industrializzati, dove il consumo di carni rosse è molto diffuso, rappresenta una delle neoplasie più comuni e una delle principali cause di morte per malattie oncologiche. Non solo: le carni rosse possono essere lavorate mediante essicazione, salatura o affumicatura, e conservate con additivi come nitrati, nitriti e idrocarburi policiclici aromatici. Negli studi epidemiologici in generale si distingue il consumo di carne fresca da quello di salumi e insaccati, proprio per via della diversa composizione.
Non bisogna dimenticare infine che la carne contiene anche grassi, in proporzione variabile a seconda del tipo di carne preso in considerazione: si va da un 1 per cento delle carni bianche magre fino al 47 per cento delle carni di maiale.
Nel 2013 sono stati pubblicati i risultati del Progetto EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), promosso dall'Unione europea, dallo IARC e sostenuto anche da AIRC. Condotto con oltre mezzo milione di partecipanti in tutta Europa, lo studio ha confermato con i propri risultati un'associazione tra consumo di carni lavorate e morti premature per malattie cardiovascolari e per cancro, soprattutto al colon-retto e al seno. Lo studio EPIC ha però anche dimostrato, di contro, che un consumo di piccole quantità di carne rossa ha effetti benefici per la salute, fornendo importanti vitamine e nutrienti specifici. L'effetto mutageno della carne rossa fresca è attribuito soprattutto alla presenza del ferro nel gruppo eme (un potente ossidante) e probabilmente anche alla capacità della carne nell'intestino di produrre sostanze che modificano la composizione delle colonie di batteri che lì risiedono. Nell'insieme questi effetti sembrano avere un ruolo rilevante nella genesi del cancro del colon. Diversi studi hanno mostrato come i processi di lavorazione e conservazione aumentano la capacità delle carni di danneggiare la salute umana. Una grande metanalisi pubblicata nel 2010 dall'Harvard School for Public Health ha rilevato un aumento di rischio di infarto e diabete in chi consuma carne rossa lavorata, come bacon e salsicce, ma non in chi consumava carne rossa fresca, mentre per quel che riguarda il cancro, il rischio esiste anche per i forti consumatori di carne fresca. I meccanismi molecolari non sono ancora del tutto chiari ma è probabile che la differente quantità di sale e conservanti contribuisca a modulare il rischio tra carne rossa lavorata e non lavorata. Anche il già citato studio EPIC ha fornito osservazioni in questa direzione: il rischio di morire prematuramente di cancro o malattie cardiovascolari aumenta all'aumentare della quantità di carne lavorata consumata. Secondo EPIC le morti premature potrebbero essere ridotte del 3 per cento ogni anno se le persone consumassero non più di 20 grammi di carne lavorata al giorno. È bene chiarire che gli studi epidemiologici non fanno distinzioni sulla base della qualità del prodotto (carne di alta qualità o bassa, salumi artigianali o industriali). Per quel che riguarda le carni rosse non lavorate una tale distinzione non avrebbe nemmeno senso, perché i composti chimici che risultano mutageni (il ferro nel gruppo eme e alcune molecole che si formano nell’intestino durante la demolizione degli alimenti) sono proprietà intrinseche che non dipendono dalla qualità della carne.
Su altri meccanismi studiati dallo IARC, come la modificazione del microbiota intestinale (i batteri che ci possono proteggere dalle sostanze mutagene) non si può, invece, al momento, fare una distinzione tra un tipo di proteina animale e l'altro, perché non sono disponibili informazioni sufficienti. Per essere precisi, gli esperti IARC fanno notare che attualmente non disponiamo di dati diretti di una eventuale alterazione dell’equilibrio del microbiota intestinale causata dal consumo di carne rossa o lavorata.
La cottura della carne alla griglia o in padella ha molti vantaggi: le alte temperature "sterilizzano" la carne diminuendo il pericolo di contaminazioni da microorganismi e causano cambiamenti nella struttura chimica delle proteine aumentandone la digeribilità e il potenziale nutritivo. Tuttavia nel processo si formano anche sostanze, come le ammine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici aromatici, potenzialmente tossiche e cancerogene. Queste abbondano per esempio all'interno della classica "crosta bruciacchiata" della carne. Nel 2011 i risultati pubblicati sul British Journal of Cancer di uno studio condotto con 17.000 partecipanti hanno mostrato una frequenza maggiore di cancro al colon rispettivamente del 56 per cento e del 59 per cento in chi consumava la carne più grigliata o più cotta. È sempre meglio evitare una cottura eccessiva (a temperature troppo elevate e con la carne a contatto diretto con la fiamma), rimuovere le parti nere e prediligere altre forme di cottura più sane.
Per chi pensa di passare a una dieta vegetariana, deve tenere conto degli studi che negli ultimi anni hanno messo in luce i benefici generali sulla salute di questo tipo di alimentazione, a patto che tali diete siano rigorosamente controllate, in modo da garantire un apporto nutrizionale completo.
Tuttavia al momento non esistono dati che indichino una relazione convincente tra rischio di malattie in assoluto (quindi non solo cancro) e un modesto consumo di proteine animali. Quando si parla di modificazioni drastiche dello stile di vita è bene prendere in considerazioni gli effetti complessivi di tali scelte e non solo per il rischio di cancro.
Il World Cancer Research Fund raccomanda non più di tre porzioni a settimana di carne rossa, che equivalgono a circa 350-500 g, e di evitare o limitare al massimo la carne rossa processata. Inoltre suggerisce di consumare almeno cinque porzioni di frutta e verdura per un totale di almeno 400 grammi al giorno. L'Harvard School of Medicine restringe il limite di consumo di carni rosse a porzioni non superiori a 110-115 grammi, al massimo due volte a settimana. Lo IARC raccomanda di consumare una quantità di carne rossa non superiore a 500 grammi alla settimana per limitare il rischio di cancro.
La carne rossa e in particolare la carne rossa lavorata sono rispettivamente cancerogeni umani probabili e certi. Una gran mole di studi condotti nel tempo ha dimostrato che un consumo abbondante di carne rossa, soprattutto se lavorata o cotta ad alte temperature, aumenta il rischio di sviluppare molte malattie, prima fra tutte il cancro al colon-retto. È bene quindi limitare il consumo di proteine animali ottenute da questa fonte e sostituire la carne rossa, ogniqualvolta possibile, con pollo o pesce, o meglio ancora con proteine vegetali come i legumi e la soia. Infine, vanno fortemente limitate, se non evitate, le carni lavorate come i salumi e quelle molto cotte e abbrustolite.
In generale tre quarti di ciò che mangiamo complessivamente dovrebbe essere costituito da cibi vegetali.
Agenzia Zoe