Ultimo aggiornamento: 29 agosto 2023
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Fare una diagnosi precoce significa individuare un tumore in fase iniziale, quando in genere non dà ancora sintomi e non si è diffuso in altri organi con le metastasi. Per molti tipi di cancro trattare un tumore nei primi stadi è più semplice e le probabilità di successo sono maggiori: gli interventi chirurgici possono infatti essere più circoscritti e le terapie meno pesanti, con una conseguente migliore qualità di vita dei pazienti.
La diagnosi precoce in oncologia può essere casuale, quando per esempio il tumore viene individuato grazie a un esame effettuato per altri motivi e non con lo scopo specifico di cercare un cancro. Più spesso la scoperta precoce di alcuni tra i tumori più diffusi o conosciuti, come seno, collo dell’utero, colon, avviene nell'ambito di un programma di screening di popolazione.
In Italia, secondo le indicazioni del Ministero della salute, il Servizio sanitario nazionale offre la possibilità di fare accertamenti gratuiti per la diagnosi precoce di questi tipi di tumore:
L’adesione dei servizi sanitari territoriali a queste campagne di screening, e le loro modalità, possono variare, generando differenze da regione a regione.
La diagnosi precoce permette di individuare tumori molto piccoli e non ancora diffusi agli organi vicini, per cui l’esito delle cure in molti casi è migliore o addirittura risolutivo, ma il tumore è comunque già presente. Si parla in questo caso di prevenzione secondaria. La prevenzione primaria, invece, consiste in una serie di comportamenti e a volte di terapie che hanno lo scopo di evitare che il tumore si formi.
Ecco qualche esempio per distinguere meglio la prevenzione primaria da quella secondaria.
Per il tumore del colon-retto la prevenzione primaria comprende abitudini e comportamenti che possono contribuire a ridurre il rischio di sviluppare questo tipo di cancro. Tra questi: seguire una dieta ricca di fibre, frutta e verdura e povera invece di grassi, di carni rosse e lavorate, mantenere un peso corporeo sotto controllo e fare esercizio fisico.
Per la diagnosi precoce del tumore del colon-retto, ossia per la prevenzione secondaria, si effettuano invece esami specifici. Questi includono la ricerca periodica di sangue occulto nelle feci o la rettosigmoidoscopia dopo i 50 anni o anche prima se c’è una storia familiare di questo tipo di cancro o di malattie che predispongono alla formazione di tumori intestinali (per esempio la sindrome di Lynch e le sindromi poliposiche adenomatose ereditarie).
Lo screening con il Pap test, oggi nella maggior parte delle regioni sostituito o in via di sostituzione con il test HPV, è stato un importantissimo mezzo di prevenzione secondaria, perché ha permesso di abbattere nei Paesi occidentali la mortalità per tumore della cervice uterina, tramite la diagnosi precoce sia del tumore stesso, sia delle lesioni precoci che predispongono a questa malattia. Nella maggior parte dei casi questo tipo di tumore è, infatti, causato da un’infezione provocata dal virus HPV, che si trasmette per lo più per via sessuale. Le cellule che possono portare al tumore della cervice generano inizialmente lesioni precancerose che possono progredire lentamente fino al tumore o regredire spontaneamente. Per questo, prevenire la formazione di tali lesioni o diagnosticarle in modo precoce è fondamentale. Oggi contro questo virus abbiamo a disposizione un importante strumento di prevenzione primaria, la vaccinazione anti HPV, in grado di proteggere dai ceppi virali più aggressivi, responsabili di circa il 70 per cento dei tumori della cervice.
La diffusione degli screening per la diagnosi precoce ha permesso di migliorare notevolmente la sopravvivenza e di ridurre la mortalità per diversi tipi di cancro, in particolare per il tumore del seno, del colon-retto e del collo dell’utero. Purtroppo non esistono ancora esami di screening di popolazione altrettanto efficaci per tutti gli altri tipi di tumore.
Ci sono infatti alcuni tipi di tumori che crescono e si diffondono con una rapidità tale che individuarli nelle loro fasi più precoci non porterebbe alcun vantaggio in termini di riduzione della mortalità né per i pazienti né a livello di popolazione. Ciò vale, per esempio, per alcune forme di tumore polmonare a rapida metastatizzazione: individuarle precocemente non inciderebbe sulla mortalità.
Ci sono poi casi in cui, invece, il tumore si sviluppa molto lentamente, come per esempio alcuni carcinomi prostatici, ma gli strumenti per la diagnosi precoce a disposizione sono imprecisi. I risultati di numerosi studi hanno infatti dimostrato che l’aumento dei livelli del PSA, l’antigene prostatico specifico, può indicare numerose condizioni diverse dal cancro, come infiammazione, infezioni e forme tumorali benigne. Anche qualora un alto PSA riveli effettivamente la presenza di un cancro, questo spesso cresce talmente lentamente che è improbabile che si manifesti nella vita dei pazienti o che incida sull’aspettativa di vita. Per questa ragione la maggior parte delle linee guida internazionali considera che la misurazione del PSA sia un esame non sufficientemente preciso per screening di popolazione per il tumore alla prostata. Alcune linee guida sono esplicitamente contrarie a misurare il PSA in persone sane e senza sintomi. La maggior parte delle società scientifiche suggeriscono però l’esame possa essere prescritto agli uomini che lo richiedono, purché siano informati su rischi e benefici. In ogni caso, prima dei 50 anni e dopo i 70-75 anni dovrebbe essere comunque sconsigliato, mentre in uomini di età tra 40 e 50 anni che presentano fattori di rischio come familiarità, la possibilità di misurare il PSA dovrebbe essere discussa caso per caso.
Oggi sappiamo che gli screening di popolazione per la diagnosi precoce hanno permesso di individuare un numero maggiore di casi di cancro e di ridurre l’età media in cui un certo tipo di tumore viene diagnosticato. A volte alcuni tumori sono però diagnosticati con esami per la diagnosi precoce, in persone in fasce d’età escluse dagli screening, per esempio in persone anziane. In questi casi i tumori possono essere meno aggressivi che in persone più giovani e per questo si può presupporre che i problemi eventualmente causati ai pazienti non sarebbero stati maggiori anche se la malattia fosse stata diagnosticata successivamente e non precocemente. In altre parole, in certi casi può accadere che viene anticipata la diagnosi, ma la storia del tumore e dei suoi effetti sui pazienti non cambia molto: aumenta il numero di anni di vita dopo la diagnosi precoce di cancro (e questo si traduce in un aumento della sopravvivenza), ma non si vive più a lungo in termini assoluti (la mortalità rimane la stessa). Anche per questo, quando si parla dell’efficacia della diagnosi precoce si fa spesso confusione tra aumento della sopravvivenza e riduzione della mortalità nella popolazione che aderisce allo screening.
In sintesi, diagnosticare la malattia ai primi stadi è fondamentale per alcuni tipi di tumore, ma non porta grossi vantaggi in caso di tumori a rapida crescita, che danno metastasi già nelle fasi iniziali, o in quelli a crescita lentissima, che specialmente nelle persone anziane non fanno in tempo a diventare realmente pericolosi. Resta però il problema di distinguere, al momento della diagnosi, i tumori davvero a crescita lenta da quelli più aggressivi, che richiedono più cure. A oggi la ricerca non è ancora in grado di fare questa distinzione per tutti i pazienti e i tipi di cancro.
Quando un tumore dà segno di sé, perché dà sintomi, la diagnosi non può più essere definita precoce. Gli esami utilizzati per individuarne la presenza, la gravità e le caratteristiche istologiche e genetiche variano moltissimo in base alla sede o al tessuto coinvolto. Per sapere meglio quali sono gli esami diagnostici consigliati per ciascun tipo di tumore e il loro significato si rimanda alle schede sulle singole patologie tumorali presenti in questo sito.
Al termine dei cicli di trattamento prescritti dall’oncologo dopo l’individuazione di un tumore è importante continuare a sottoporsi a periodici esami di controllo. Questi esami costituiscono infatti lo strumento più importante per una diagnosi precoce nel caso di eventuali recidive, cioè nel caso il tumore si ripresenti.
Per molti tumori uno dei controlli più utilizzati è la valutazione dei livelli di particolari marcatori tumorali, sostanze prodotte dal tumore e possibilmente presenti nel sangue. Per esempio, una donna che ha affrontato un trattamento per tumore ovarico si dovrà sottoporre con regolarità a prelievi di sangue per il dosaggio di alcuni marcatori tumorali caratteristici di quel tipo di cancro (per esempio un marcatore chiamato CA125). Nel caso, invece, di un uomo con un precedente carcinoma della prostata si andrà a valutare periodicamente il livello di PSA. I controlli, effettuabili con semplici prelievi di sangue, devono essere effettuati a intervalli di tempo abbastanza ravvicinati nel periodo immediatamente successivo al trattamento del tumore primario, per diventare poi sempre meno frequenti con gli anni, in caso non si verifichino variazioni significative.
Se invece i livelli dei marcatori aumentano, sarà il medico a suggerire altri esami da effettuare per stabilire l’intervento più adatto. Oltre alla valutazione dei livelli dei marcatori tumorali esistono, infatti, altri esami utili a diagnosticare in modo precoce le recidive: per ogni tumore ne sono previsti alcuni specifici, dalla TC alla radiografia, dalla colonscopia all’ecografia eccetera. Per questo invitiamo i lettori a consultare le schede relative al tumore di interesse nella sezione Guida Tumori di questo sito.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zoe